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VISITA PASTORALE ALLA DIOCESI DI NORCIA

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II 
AL CLERO DELLA VALNERINA

23 marzo 1980

 

Cari fratelli nel sacerdozio!

Desidero dirvi, con grande sincerità, la mia gioia di parlare a voi, sacerdoti delle diocesi di Norcia e di Spoleto, in un incontro personale, proprio in questo luogo fortunato, nel quale videro la luce i santi Benedetto e Scolastica. C’è un insieme di circostanze esterne e di emozioni interiori, che invitano me e voi ad una breve e serena riflessione sul significato della vostra presenza sacerdotale in questa città, in questa regione, in questa nazione, cioè nella società contemporanea.

1. La società di oggi non è certamente quella del quinto e del sesto secolo dopo Cristo. Ma i problemi fondamentali dell’uomo - come quello di Dio e della religione, quello del significato globale e definitivo della vita, quello del comportamento etico, della giustizia, della dignità dell’uomo - ancora oggi mantengono una analogia con quelli coi quali si imbatté il giovane Benedetto. Sono i problemi che voi, sacerdoti degli anni ottanta vivete, talvolta drammaticamente, sia nel segreto della vostra coscienza o del confessionale, sia quando dovete dire una parola di orientamento o dare un esempio concreto ai vostri fratelli.

Voi siete e dovete essere sacerdoti per la Chiesa e per gli uomini di oggi, i quali vivono in un contesto socio-culturale, che intende mettere tutto in discussione, che pone dubbi, semina incertezze, o pretende soluzioni immediate in tutti i campi, in cui l’uomo si trova ad agire o ad esplicare la sua personalità.

E come tra il quinto e il sesto secolo la presenza di san Benedetto e dei suoi monaci fu provvidenziale per la società di allora, così non v’è dubbio che la società contemporanea, la quale vive fra il tramonto del secondo e l’aurora del terzo millennio del cristianesimo, abbia bisogno dei sacerdoti, proprio perché ha bisogno di Dio.

E voi, cari fratelli, siete “ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio” (cf. 1Cor 4,1); siete stati “scelti fra gli uomini” e “costituiti per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio” (cf. Eb 5,1). È qui tutta la vostra grandezza e dignità.

Col sacramento del presbiterato siete stati configurati a Cristo sacerdote come ministri del capo, allo scopo di far crescere ed edificare tutto il suo corpo che è la Chiesa, in qualità di cooperatori dell’ordine episcopale - vi ha ricordato il Concilio Vaticano II - mediante la consacrazione siete stati elevati alla condizione di strumenti vivi di Cristo, eterno sacerdote, per proseguire nel tempo la sua mirabile opera, che ha reintegrato con divina efficacia l’intero genere umano (cf. Presbyterorum Ordinis, 12).

2. Nella struttura del Popolo di Dio voi, cari fratelli nel sacerdozio, occupate un ruolo ed un posto specifico e qualificato, che trova la sua esplicazione, sull’esempio della vita di Cristo, in una svariata gamma di servizi nei confronti del corpo mistico; servizi che sono espressione della mirabile fioritura del sacerdozio stesso di Cristo, al quale partecipate. “Diverse sono le vie lungo le quali, cari fratelli, - scrivevo nella lettera ai sacerdoti per il Giovedì Santo del 1979 - adempite la vostra vocazione sacerdotale. Gli uni nell’ordinaria pastorale parrocchiale; gli altri nelle terre di missione; altri, ancora, nel campo delle attività connesse con l’insegnamento, con l’istruzione e l’educazione della gioventù, lavorando nei vari ambienti e organizzazioni, e accompagnando lo sviluppo della vita sociale e culturale; altri, infine, accanto ai sofferenti, agli ammalati, agli abbandonati; alle volte, voi stessi, inchiodati a un letto di dolore. Diverse sono queste vie... Nondimeno, in tutte queste differenziazioni, voi siete sempre e dappertutto portatori della vostra particolare vocazione: siete portatori della grazia di Cristo, eterno sacerdote, e del carisma del buon pastore. E questo non potete mai dimenticare; a questo non potete mai rinunciare; questo dovete in ogni tempo e in ogni luogo e in ogni modo attuare” (Giovanni Paolo II, Epistula ad universos Ecclesiae Sacerdotes adveniente Feria V in Cena Domini anno MCMLXXIX, die 8 apr. 1979, 6: AAS 71 [1979] 402).

La conseguenza, che deve dedursi dalla profonda realtà teologica del sacerdozio ministeriale, è questa: per il sacerdote, il centro e il punto fondamentale di riferimento di tutta la vita e di tutta l’attività deve essere Dio: Dio adorato costantemente, in particolare nella beatificante presenza sacramentale dell’Eucaristia, affidata in maniera speciale al ministero dei sacerdoti; Dio invocato e interpellato nella preghiera liturgica, comunitaria e personale, in un dialogo affettuoso tra figlio e Padre; Dio amato e servito nei nostri fratelli, specialmente nei sofferenti e nei poveri. Questo senso della presenza di Dio, questo primato dello spirituale, che deve orientare tutta la vita e il ministero pastorale del sacerdote, è il grande e sempre attuale insegnamento di san Benedetto: “Ubique credimus divinam esse praesentiam... maxime tamen hoc sine aliqua dubitatione credamus cum ad opus divinum adsistimus... ergo consideremus qualiter oporteat in conspectu divinitatis et angelorum eius esse” (S. Benedetto, Regula, XIX). Ed ancora: “Nihil operi Dei praeponatur” (Ivi, XLIII).

Alla luce di questa essenziale visione teocentrica si illuminano i vari compiti del sacerdote, le esigenze delle sue funzioni, le quali provengono dal Vangelo e sono la misura stessa della vocazione sacerdotale.

Il sacerdote è un dono immenso che Dio ha fatto alla sua Chiesa; e la lieta risposta del sacerdote alla chiamata di Gesù è, come afferma san Giovanni Crisostomo, la più grande prova di amore a Cristo: “Il maestro chiede al discepolo (Pietro) se lo ami, non per saperlo lui stesso..., ma lo fa per insegnare a noi quanto gli stia a cuore la cura del gregge... Non intendeva allora dimostrare quanto Pietro lo amasse..., ma voleva dimostrare quanto lui amasse la sua Chiesa e insegnava a Pietro e a tutti noi quanta cura dovessimo profondere in quest’opera” (cf. S. Giovanni Crisostomo, Dialogus de Sacerdotio, II,1).

3. Carissimi fratelli! Il vostro servizio elevato ed esigente non potrà esser reso - come ho detto ai sacerdoti del Messico nella Basilica di Nostra Signora di Guadalupe - “senza una chiara e radicata convinzione circa la vostra identità di sacerdoti di Cristo, depositari e amministratori dei misteri di Dio, strumenti di salvezza per gli uomini, testimoni di un regno che inizia in questo mondo, ma si completa nell’aldilà. Di fronte a queste certezze di fede, perché dubitare della propria identità? perché titubare circa il valore della propria vita? perché esitare di fronte al cammino intrapreso?” (Giovanni Paolo II, Allocutio ad Presbyteros in Basilica Beatae Mariae Virginis de Guadalupe habita, die 27 ian. 1979: AAS 71 [1979] 180).

Seguite con gioia Cristo, che vi ha amati e chiamati; anche se, col passare degli anni, il corpo sente il peso della stanchezza e l’usura del tempo, il cuore sia sempre vigile e desto, ardente di zelo per le anime, che Dio ha posto sul vostro cammino. Ministri di Cristo, amate e siate fedeli alla Chiesa, sua sposa; non ad una Chiesa utopistica ed astratta, ma alla Chiesa concreta e storica. Siate saldamente ancorati, in serena concordia e leale obbedienza, al Vescovo, di cui siete gli immediati collaboratori; siate fraternamente uniti fra di voi, di modo che il presbiterio sia segno visibile di comunione. In questi tempi di crisi di valori e di certezze, siate, per tutti, “educatori nella fede” (cf. Presbyterorum Ordinis, 6). E come potreste esserlo maggiormente - ho detto a tutti i sacerdoti nella mia recente esortazione apostolica circa la catechesi nel nostro tempo - che “dedicando il meglio dei vostri sforzi alla crescita delle vostre comunità nella fede? Che voi siate titolari di una parrocchia, o insegnanti di scuola, di liceo o di università, responsabili della pastorale a qualsiasi livello, animatori di piccole o grandi comunità e soprattutto di gruppi di giovani, la Chiesa attende da voi che non trascuriate nulla in ordine ad un’opera catechetica ben strutturata e ben orientata... Tutti i credenti hanno diritto alla catechesi, tutti i pastori hanno il dovere di provvedervi” (Giovanni Paolo II, Catechesi Tradendae, 64).

4. Un ultimo pensiero, fratelli carissimi, che mi sta tanto a cuore. Il sacerdote, ho detto poco fa citando la lettera agli Ebrei, è tratto dal popolo e costituito per il bene del popolo (cf. Eb 5,1).

Dovete stare, dunque, vicini al popolo, accanto al popolo, vivendo intensamente i suoi problemi quotidiani, specialmente quando esso soffre e si trova in momenti e in situazioni difficili. E il presente momento, cari fratelli nel sacerdozio, è veramente difficile per il buon popolo italiano, a motivo della dilagante tentazione di odio e di violenza, che serpeggia nel paese. Il consiglio permanente della Conferenza Episcopale Italiana ha indetto proprio per oggi, 23 marzo, una giornata di preghiera e di riflessione contro la furia della violenza e per la vittoria dell’amore.

“Obbligo dei cristiani - dice il messaggio - in special modo è l’educazione della coscienza, propria ed altrui, nella famiglia, nella scuola, negli ambienti di lavoro, nelle associazioni ecclesiali. Nella coscienza avviene la prima e più decisiva sfida alla violenza e al terrorismo, sfida che si deve giocare sui valori della democrazia, della pace, dell’amore. Obbligo dei cristiani è l’impegno solidale, la partecipazione, la condivisione dei problemi e della sorte di chi soffre, in umiltà e coraggio, accettando come Cristo, di pagare di persona, e incarnando in se stessi e nel mondo un Vangelo di pace”. E voi, sacerdoti, dovete essere i primi ad educare le coscienze al rifiuto dell’odio e della violenza; i primi a partecipare ed a condividere i problemi di coloro che soffrono.

Vi ho aperto il mio cuore, cari fratelli, su alcuni aspetti della vita e del ministero sacerdotale. Sui vostri impegni e sui vostri propositi invoco, per l’intercessione dei santi Benedetto e Scolastica, la grazia di Dio.

La Vergine santissima vi aiuti sempre con la sua materna protezione.

Con la mia benedizione apostolica.
  



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