Index   Back Top Print

[ DE  - ES  - IT  - PT ]

VISITA PASTORALE NELLA REPUBBLICA FEDERALE TEDESCA

INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON GLI SCIENZIATI E GLI STUDENTI

Cattedrale di Colonia, 15 novembre 1980


Venerabili confratelli nell’episcopato,
diletti fratelli e sorelle,
gentili signore e signori!

1. Con gioia e riconoscenza saluto voi, donne e uomini di scienza della repubblica federale di Germania, studentesse e studenti delle università tedesche, voi che avete esercitato un influsso così duraturo sulla storia della scienza in Europa. Vi siete radunati qui anche come rappresentanti dei molti ricercatori, docenti, collaboratori e studiosi delle diverse università, accademie ed istituzioni di ricerca. Voi rappresentate inoltre i numerosi collaboratori che, promuovendo a livello statale e non statale la ricerca scientifica, esercitano un influsso non indifferente sullo sviluppo della scienza e della tecnologia e hanno, di conseguenza, una particolare responsabilità nei confronti degli uomini.

2. L’incontro odierno deve essere inteso come un segno della disponibilità al dialogo tra la scienza e la Chiesa. La stessa ricorrenza odierna, come pure il luogo in cui ci troviamo, conferiscono a questo incontro un’importanza particolare. Settecento anni or sono, come oggi, moriva in un convento dei domenicani, non distante da questo duomo (alla cui fondazione egli stesso era stato presente), Alberto “il tedesco”, come i contemporanei lo chiamarono, e al quale, unico tra i dotti, i posteri diedero il soprannome di “Magno”.

Alberto esercitò nel suo tempo una molteplice attività come religioso e predicatore, come superiore religioso, come Vescovo e mediatore di pace nella propria città di Colonia. Ma si conquistò grandezza di fronte alla storia del mondo come ricercatore e scienziato che seppe padroneggiare egregiamente il sapere del suo tempo, riorganizzandolo in una nuova poderosa sintesi vitale. Già i suoi contemporanei riconobbero in lui l’“auctor”, l’iniziatore e il promotore della scienza. I posteri lo definirono il “doctor universalis”. La Chiesa si richiama a lui - essa che lo enumera tra i suoi santi - come uno dei suoi “dottori”, e sotto tale titolo lo onora nella liturgia.

Il nostro ricordo di Alberto Magno non deve però essere solo un atto di dovuta pietà. Più importante è riattualizzare il senso essenziale della sua opera, cui dobbiamo riconoscere un’importanza fondamentale e perenne. Gettiamo brevemente uno sguardo alla situazione storico-culturale dell’epoca di Alberto. Essa è contrassegnata dalla riscoperta crescente della letteratura aristotelica e della scienza araba. L’occidente cristiano fino ad allora aveva tenuto desta e sviluppata scientificamente la tradizione dell’antichità cristiana. Ora essa si incontra in una visione complessiva del mondo non cristiana, fondata unicamente su una razionalità profana. Molti pensatori cristiani, dei quali alcuni rinomati, videro in tale fatto soprattutto un pericolo. Ritennero di dover difendere contro di esso l’identità storica della tradizione cristiana. D’altro lato, vi furono persone e gruppi radicali che, giudicando insolubile il conflitto tra razionalità scientifica e verità di fede, fecero le loro scelte a favore di questa “scientificità”.

Tra questi due estremi Alberto percorre la via di mezzo: viene riconosciuta l’istanza di verità di una scienza razionalmente fondata; anzi, essa viene accettata nei contenuti, completata, corretta e sviluppata nella sua intrinseca esigenza di razionalità. E proprio in questo modo viene resa patrimonio del mondo cristiano. Questi a sua volta vede enormemente arricchita la propria comprensione del mondo, senza per ciò rinnegare alcun elemento essenziale della propria tradizione e soprattutto nessuno dei fondamenti della propria fede. Infatti, tra una ragione, che in conformità con la propria natura che le proviene da Dio è ordinata alla verità ed è abilitata alla conoscenza del vero, e una fede, che si rifà alla stessa sorgente divina di ogni verità, non può insorgere alcun conflitto di fondo. La fede conferma anzi i diritti propri della ragione naturale. Essa li presuppone.

Infatti la sua accettazione presuppone quella libertà che è propria solo di un essere razionale. Con ciò appare però anche che fede e scienza appartengono a due ordini diversi di conoscenza, che non sono sovrapponibili. In questo si rivela inoltre che la ragione non può tutto da sola; essa è finita.

Essa deve concretizzarsi in una molteplicità di conoscenze parziali, si esplica in una pluralità di scienze singole. Essa può cogliere l’unità, che lega il mondo e la verità alla loro origine solo all’interno di modi parziali di conoscenza. Anche la filosofia e la teologia sono, in quanto scienze, tentativi limitati che possono cogliere l’unità complessa della verità unicamente nella diversità, vale a dire all’interno di un intreccio di conoscenze aperte e complementari.

Lo ripetiamo: Alberto riconosce l’articolarsi della scienza razionale in un complesso di ordine di conoscenze diverse, ove essa trova conferma della sua natura peculiare ed insieme si scopre orientata verso le mete proprie della fede. In questo modo Alberto ha concretizzato lo statuto di una intellettualità cristiana, i cui principi fondamentali sono da ritenersi ancor oggi validi. Né noi sminuiamo l’importanza di tale apporto, quando affermiamo: l’opera di Alberto è da un punto di vista contenutistico legata al proprio tempo ed appartiene pertanto alla storia. La “sintesi” da lui maturata riveste infatti un carattere esemplare, per cui facciamo bene a richiamarne alla memoria i principi fondamentali, ogni qual volta vogliamo affrontare gli interrogativi odierni posti dalla scienza, dalla fede e dalla Chiesa.

3. Molti individuano il nocciolo di questi interrogativi nel rapporto tra la Chiesa e le moderne scienze naturali, ed essi sentono ancora il peso di quei famosi conflitti, sorti per l’interferenza di istanze religiose nel processo di sviluppo della conoscenza scientifica. La Chiesa si ricorda di ciò con rammarico, poiché oggi ci rendiamo conto degli errori e delle deficienze di questi modi di procedere. Possiamo oggi affermare che essi sono stati superati: grazie alla forza di persuasione della scienza, grazie soprattutto al lavoro di una teologia scientifica, che approfondendo la comprensione della fede l’ha liberata dai condizionamenti del tempo. Il magistero ecclesiastico, fin dal Concilio Vaticano I, ed ultimamente in forma esplicita nel Vaticano II (cf. Gaudium et Spes, 36), ha più volte richiamato alla memoria quei principi, che già si possono rintracciare nell’opera di Alberto Magno. Egli ha esplicitamente affermato la distinzione degli ordini di conoscenza tra la fede e la ragione, ha riconosciuto l’autonomia e l’indipendenza delle scienze e ha preso posizione a favore della libertà della ricerca. Noi non temiamo, anzi escludiamo, che una scienza, la quale si fondi su motivi razionali e proceda con serietà metodologica, giunga a conoscenze che entrino in conflitto con la verità di fede. Questo può accadere soltanto quando la distinzione degli ordini di conoscenza viene trascurata oppure negata.

Questo esame, che dovrebbe essere effettuato dagli scienziati, potrebbe aiutare a superare il peso storico del rapporto tra Chiesa e scienza e favorire un dialogo da pari a pari, cosa che già spesso si verifica nella pratica. Non si tratta d’altronde soltanto di un superamento del passato, bensì di nuovi problemi, che derivano dal ruolo delle scienze nell’odierna cultura universale.

La conoscenza scientifica ha condotto ad una radicale trasformazione della tecnica umana. Per conseguenza le condizioni della vita umana su questa terra sono mutate in modo enorme ed anche ampiamente migliorate. Il progresso della conoscenza scientifica è divenuto il motore di un generale progresso culturale. La trasformazione del mondo a livello tecnico è apparsa a molti come il senso e lo scopo della scienza. Nel frattempo è accaduto che il progredire della civiltà non sempre segna il miglioramento delle condizioni di vita. Vi sono conseguenze involontarie ed impreviste, che possono diventare pericolose e nocive. Io richiamo soltanto il problema ecologico, sorto in seguito al progredire dell’industrializzazione tecnico-scientifica. Nascono così seri dubbi sulla capacità del progresso, nel suo insieme, di servire l’uomo. Tali dubbi si ripercuotono sulla scienza, intesa in senso tecnico. Il suo senso, il suo obiettivo, il suo significato umano vengono messi in dubbio.

Un peso particolare acquista questo interrogativo di fronte all’impiego del pensiero scientifico in rapporto all’uomo. Le cosiddette scienze umane hanno fornito sicuramente importanti e progredienti conoscenze nei confronti dell’attività e del comportamento umano. Esse corrono però il pericolo in una cultura determinata dalla tecnica, di essere utilizzate per manipolare l’uomo, per scopi di dominazione economica e politica.

Se la scienza è intesa essenzialmente come “un fatto tecnico”, allora la si può concepire come ricerca di quei processi che conducono ad un successo di tipo tecnico. Come “conoscenza” ha valore quindi ciò che conduce al successo. Il mondo, a livello di dato scientifico, diviene un semplice complesso di fenomeni manipolabili, l’oggetto della scienza una connessione funzionale, che viene analizzata soltanto in riferimento alla sua funzionalità. Una tale scienza può concepirsi soltanto come pura funzione. Il concetto di verità diventa quindi superfluo, anzi talvolta viene esplicitamente rifiutato. La stessa ragione appare, in definitiva, come semplice funzione o come strumento di un essere che trova il senso della sua esistenza fuori della conoscenza e della scienza, nel migliore dei casi nella vita soltanto.

La nostra cultura, in tutti i suoi settori, è impregnata di una scienza, che procede in modo largamente funzionalistico. Ciò vale anche per il settore dei valori e delle norme, degli orientamenti spirituali in genere. Proprio qui la scienza si scontra con i propri limiti. Si parla di una crisi di legittimazione della scienza, anzi di una crisi di orientamento dell’intera nostra cultura scientifica.

Quale ne è l’essenza? La scienza da sola non è in grado di dare una risposta completa al problema dei significati, da cui è posta in crisi. Le affermazioni scientifiche sono sempre particolari. Esse si giustificano soltanto in considerazione di un determinato punto di partenza, si situano in un processo di sviluppo ed in esso sono correggibili e superabili. Ma soprattutto: come potrebbe costituire il risultato di un punto di partenza scientifico un qualcosa che prima ancora giustifica questo punto di partenza e che dunque deve essere già da esso presupposto?

La scienza da sola non è in grado di rispondere al problema dei significati, anzi non può nemmeno situarlo nell’ambito del suo punto di partenza. E d’altronde questo problema dei significati non sopporta che la risposta venga rinviata all’infinito. Se una diffusa fiducia nella scienza resta delusa, allora lo stato d’animo si muta facilmente in astio contro la scienza. In questo spazio rimasto vuoto irrompono improvvisamente le ideologie. Esse si danno talvolta l’aria di “scientificità”, in realtà attingono la loro forza di persuasione dallo stringente bisogno di risposta al problema dei significati e all’interesse di cambiamento sociale o politico. La scienza puramente funzionale, destituita di valore e di verità può essere completamente asservita da queste ideologie. Infine si riscontrano ancora nuove manifestazioni di superstizione, di settarismo e le cosiddette “nuove religioni” la cui comparsa è in stretta connessione con la crisi di orientamento della cultura.

Queste false strade possono essere individuate ed evitate dalla fede. Ma la crisi comune riguarda anche lo scienziato credente. Egli è chiamato a chiedersi con quale spirito, con quale orientamento coltiva la sua scienza. Deve assumersi il compito, immediatamente o mediatamente, di esaminare, in forma costantemente rinnovata, il procedimento e l’obiettivo della scienza sotto l’aspetto del problema dei significati. Noi siamo corresponsabili di questa cultura e siamo stimolati a cooperare al superamento della crisi.

4. In questa situazione la Chiesa non consiglia prudenza e ritegno, bensì coraggio e decisione.

Non esiste motivo per non prendere posizione a favore della verità o di averne timore. La verità e tutto ciò che è vero rappresenta un grande bene a cui dobbiamo rivolgerci con amore e gioia.

Anche la scienza è una strada verso il vero; poiché in essa si sviluppa il dono di Dio nella ragione, che secondo la sua natura è destinata non all’errore, ma alla verità della conoscenza.

Questo può valere anche per la scienza orientata in senso tecnico-funzionale. È riduttivo intendere la conoscenza soltanto come “metodo per il successo”, mentre è al contrario legittimo giudicare come prova della conoscenza l’esito che da essa consegue. Non possiamo guardare al mondo tecnico, opera dell’uomo, come ad un regno completamente estraniato dalla verità. Così pure questo mondo è tutt’altro che privo di senso: è vero invece che esso ha migliorato in modo decisivo le condizioni di vita; e le difficoltà, derivate da effetti deteriori nello sviluppo della civiltà tecnica, non giustificano la dimenticanza dei beni che questo stesso progresso ha apportato.

Non esiste alcun motivo per concepire la cultura tecnico-scientifica in opposizione con il mondo della creazione di Dio. È chiaro senza alcun dubbio che la conoscenza tecnica può essere adoperata per il bene come anche per il male. Chi indaga sugli effetti dei veleni, potrà utilizzare questa conoscenza per guarire come anche per uccidere. Ma non ci possono essere dubbi riguardo alla direzione verso cui guardare per distinguere il bene dal male.

La scienza tecnica, diretta alla trasformazione del mondo, si giustifica in base al servizio che reca all’uomo e all’umanità.

Non si può dire che il progresso abbia oltrepassato i propri limiti fin quando molti uomini, anzi interi popoli vivranno ancora in condizioni di oppressione e di conculcamento della dignità umana, condizioni che con l’aiuto della conoscenza tecnico-scientifica potrebbero essere migliorate.

Davanti a noi si profilano ancora compiti enormi, cui non possiamo sottrarci. Il loro adempimento rappresenta un servizio fraterno per il nostro prossimo, cui dobbiamo questo impegno, così come al bisognoso è dovuta l’opera della carità, che viene in soccorso della sua necessità.

Noi prestiamo al nostro prossimo un servizio fraterno, perché riconosciamo in lui quella dignità, propria di un essere morale; parliamo di dignità personale. La fede ci insegna che la prerogativa fondamentale dell’uomo consiste nell’essere immagine di Dio. La tradizione cristiana aggiunge che l’uomo ha valore per se stesso, e non è mezzo per qualche altro fine. Perciò la dignità personale dell’uomo rappresenta l’istanza, su cui va giudicato ogni impiego culturale della conoscenza tecnico-scientifica. Il che acquista una particolare importanza, in un tempo in cui l’uomo diviene sempre più materia di ricerca ed oggetto di tecniche umane. Non si tratta ancora in sé di un modo di procedere illecito, perché l’uomo è anche “natura”. Evidentemente sorgono qui pericoli e problemi, che a motivo degli effetti planetari della civiltà tecnica pongono già oggi la maggior parte dei popoli di fronte a compiti totalmente nuovi. Questi pericoli e problemi sono da lungo tempo oggetto di discussione a livello internazionale. Ciò dimostra l’alto grado di consapevolezza e di responsabilità della scienza odierna, che si fa carico di questi fondamentali problemi e si preoccupa di risolverli attraverso mezzi scientifici.

Le scienze umane e sociali, ma anche le scienze delle culture, non ultime la filosofia e la teologia, hanno in molteplici modi stimolato la riflessione dell’uomo moderno su se stesso e sulla sua esistenza in un mondo dominato dalla scienza e dalla tecnica. Lo spirito della scienza moderna, che incentiva lo sviluppo delle scienze odierne, si è pure prefisso come scopo l’analisi scientifica dell’uomo e del suo mondo vitale, a livello sociale e culturale. Inoltre è stata messa in luce una quasi incalcolabile ricchezza di conoscenze, che si ripercuotono ad un tempo sulla vita pubblica e privata.

Il sistema sociale degli odierni stati, l’organizzazione sanitaria ed educativa, i processi economici e le attività culturali sono tutte realtà in diverso modo segnate dall’influsso di queste scienze. Ma è indispensabile che la scienza non renda schiavo l’uomo. Anche nella cultura della tecnica l’uomo, conforme alla sua dignità, deve rimanere libero; anzi, il senso di questa cultura deve tendere a garantire all’uomo una sempre maggiore libertà.

Non è soltanto la fede che offre la percezione della dignità personale dell’uomo e della sua importanza decisiva. Anche la ragione naturale la può intuire, in quanto essa sa distinguere il vero dal falso, il buono dal cattivo e sa pure riconoscere la libertà come condizione fondamentale dell’esistenza umana. È un segno incoraggiante, che si va estendendo a livello internazionale. Il concetto dei diritti dell’uomo non significa nient’altro, e ad esso non possono sfuggire nemmeno coloro che, con le loro azioni, di fatto, vi si oppongono.

Aumentano pure le voci di coloro che non vogliono accontentarsi del limite immanente delle scienze e che pongono interrogativi riguardo ad una verità totale, ove la vita umana trovi il suo esaudimento.

È come se il sapere e la ricerca scientifica si protendessero verso l’infinito, e proprio per questo si ripiegassero di nuovo inappagate verso le proprie origini: l’antico problema del legame tra scienza e fede non appare superato in seguito allo sviluppo delle scienze moderne, al contrario esso manifesta in un mondo sempre più impregnato di scienza la sua piena vitale importanza.

5. Abbiamo finora parlato prevalentemente della scienza che sta a servizio della cultura e conseguentemente dell’uomo. Sarebbe tuttavia troppo poco limitarsi a questo aspetto. Proprio di fronte alla crisi dobbiamo ricordarci che la scienza non è solo servizio per altri fini. La conoscenza della verità ha senso per se stessa. Essa è attuazione di carattere umano e personale, un bene umano di prim’ordine. La pura “teoria” è essa stessa una modalità della “prassi” umana, e il credente è in attesa di una “prassi” suprema, che lo unisca per sempre a Dio: quella “prassi” che è visione, e quindi anche “teoria”.

Abbiamo parlato di “crisi di legittimazione della scienza”. Certo, la scienza ha un suo senso e una sua giustificazione quando la si riconosce capace di conoscere la verità e quando la verità è riconosciuta come un bene umano. Allora si giustifica anche l’esigenza della libertà della scienza; in che modo infatti potrebbe realizzarsi un bene umano, se non mediante la libertà? La scienza deve essere libera anche nel senso che la sua attuazione non venga determinata da fini immediati, da bisogni sociali o da interessi economici. Questo non significa però che per principio debba essere separata dalla “prassi”. Soltanto che, per poter influire efficacemente sulla prassi, essa deve ricevere la sua prima determinazione dalla verità, e quindi essere libera per la verità.

Una scienza libera è asservita unicamente alla verità non si lascia ridurre al modello del funzionalismo o ad altro del genere, che limiti l’ambito conoscitivo della razionalità scientifica. La scienza deve essere aperta, anzi anche multiforme, senza che perciò si debba temere la perdita di un orientamento unitario. Questo è dato dal trinomio della ragione personale, della libertà e della verità, in cui la molteplicità delle attuazioni concrete viene fondata e confermata.

Non esito affatto a collocare anche la scienza della fede nell’orizzonte di una razionalità così intesa.

La Chiesa auspica una ricerca teologica autonoma, che non si identifica col magistero ecclesiastico, ma che si sa impegnata di fronte ad esso nel comune servizio alla verità della fede e al Popolo di Dio. Non è da escludere che nascano tensioni e anche conflitti. Ma questo non è mai da escludere anche per quanto concerne il rapporto tra Chiesa e scienza. Il motivo va ricercato nella finitezza della nostra ragione, limitata nella sua estensione e pertanto esposta all’errore. Nondimeno possiamo sempre sperare in una soluzione di riconciliazione, se ci basiamo appunto sulla capacità di questa stessa ragione di raggiungere la verità.

In un’epoca passata, certi precursori della scienza moderna hanno combattuto contro la Chiesa inalberando i vessilli della ragione, della libertà e del progresso. Oggi, di fronte alla crisi del significato della scienza, alle molteplici minacce che insidiano la sua libertà, e alla problematicità del progresso, i fronti di lotta si sono invertiti. Oggi è la Chiesa che prende le difese:

- della ragione e della scienza, riconoscendole la capacità di raggiungere la verità, il che appunto la legittima quale attuazione dell’umano;

- della libertà della scienza, per cui questa possiede la sua dignità di un bene umano e personale;

- del progresso a servizio di una umanità, che ne abbisogna per la sicurezza della sua vita e della sua dignità.

Attuando questo compito, la Chiesa e tutti i cristiani si trovano immersi nel dibattito di questo nostro tempo. Una soluzione adeguata delle pressanti questioni sul senso dell’esistenza umana, sulle norme dell’agire, e sulle prospettive di una speranza a lungo termine, è possibile unicamente nel rinnovato collegamento tra il pensiero scientifico e la forza di fede dell’uomo che cerca la verità. La ricerca di un nuovo umanesimo sul quale possa fondarsi l’avvenire del terzo millennio, potrà avere successo solo a condizione che la conoscenza scientifica entri nuovamente in rapporto vivo con la verità rivelata all’uomo come dono di Dio. La ragione dell’uomo è uno strumento grandioso per la conoscenza e la strutturazione del mondo. Essa necessita tuttavia, per mettere in opera l’intera ricchezza delle possibilità umane, di aprirsi alla parola della verità eterna, che in Cristo è divenuta uomo.

All’inizio ho detto che il nostro incontro di oggi doveva essere un segno della disponibilità al dialogo tra scienza e Chiesa. Da queste riflessioni non è forse emerso chiaramente quanto urgente sia questo dialogo? Ambedue le parti lo devono proseguire con realismo, ascoltandosi a vicenda, e con perseveranza. Abbiamo bisogno l’una dell’altra.

In questo duomo sono conservate e venerate le ossa dei magi, i quali agli albori della nuova epoca, apertasi con l’incarnazione di Dio, si misero in cammino per rendere omaggio al vero Signore del mondo. Questi “domini” nei quali si compendiò il sapere del loro tempo, diventano quindi il modello di ogni uomo che cerca la verità. La scienza, che la ragione conquista, trova il suo compimento nell’adorazione della verità divina. L’uomo, che si incammina verso questa verità, non soffre alcuna perdita della sua libertà: al contrario, nella dedizione fiduciosa allo Spirito che ci è stato promesso mediante l’opera redentrice di Gesù Cristo, è condotto alla libertà totale e a una pienezza di esistenza autenticamente umana.

Agli uomini di scienza, agli studenti universitari e a tutti voi, oggi qui convenuti, rivolgo un pressante invito e vi prego di avere sempre davanti agli occhi, nelle vostre aspirazioni verso la conoscenza scientifica, il fine ultimo del vostro lavoro e dell’intera vostra vita. A questo scopo vi raccomando particolarmente la virtù della fortezza, la quale difende la scienza in un mondo segnato dal dubbio, dal vuoto di verità e dal bisogno di significati, e della umiltà, mediante la quale noi riconosciamo la finitezza della ragione dinanzi alla verità che la trascende. Sono queste le virtù di Alberto Magno.

 



Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana