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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DELLA REGIONE DELL'EST DELLA FRANCIA
IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»

Giovedì, 1° aprile 1982

 

Cari fratelli nell’Episcopato.

1. Dopo avervi ascoltato l’uno dopo l’altro in un dialogo personale, sono lieto di accogliervi tutti insieme, pensando alle pesanti responsabilità pastorali che portate ciascuno nella vostra diocesi, o a livello regionale, o a livello nazionale, nelle commissioni e comitati, o perfino, per Monsignor Jean Vilnet, alla Presidenza della Conferenza Episcopale. Conoscendo il vostro coraggio che non risparmia alcuno sforzo, vi auguro un ministero insieme fecondo e sereno, grazie alla speranza che ci viene dal mistero pasquale. Prego il Signore per tutte le vostre intenzioni, e per l’intenzione dei sacerdoti, religiosi e fedeli dell’Alsazia, della Lorena e della Franca Contea.

Sono province francesi che hanno, per la loro storia ricca di vicissitudini, una fisionomia particolare, molto interessante. Il mio paese natale ha avuto legami molto stretti con loro, e specialmente con Nancy e la Lorena. Esse sono state al crocevia delle civiltà franca e germanica; rimangono una porta sempre aperta sulla Germania, la Svizzera e il Lussemburgo; le diverse confessioni cristiane, così come la religione ebraica vi si incontrano naturalmente. Tutto ciò spiega o determina le caratteristiche che voi avete rilevato nei vostri rapporti descrivendo la situazione umana e religiosa: una certa crisi economica che tocca settori vitali; una vocazione europea molto marcata; forti tradizioni religiose; un regime concordatario per due diocesi; un modo particolare di sentire e di vivere le relazioni ecumeniche. Ognuno di questi aspetti potrebbe costituire l’oggetto di uno scambio interessante e di una appropriata trattazione, che non sarebbero possibili oggi. Ma è molto utile che, su questi importanti punti, voi possiate confidare i vostri problemi al Papa e ai Dicasteri romani, che anche se non portano soluzioni precise ed immediate al vostro caso, li registrano nella memoria dello spirito e del cuore come questioni poste alla Chiesa per la sua pastorale comune.

Ho notato anche la vostra preoccupazione per l’invecchiamento e la rarefazione dei sacerdoti, di fronte al carico di molte piccole parrocchie e di mutamenti difficili per loro. Questo resta sicuramente un grosso problema, per voi come per tutto il vostro paese. Non bisogna mai smettere di sperare, di pregare e di agire in favore delle vocazioni, a livello delle famiglie e dei giovani; e, nello stesso tempo, portare, come voi fate, il vostro sostegno e il vostro affetto a questi sacerdoti meritevoli, avendo la preoccupazione della loro formazione permanente. Tutti voi avete peraltro sottolineato una gioiosa partecipazione dei laici all’apostolato e alla vita delle comunità cristiane, in particolare alla catechesi; ma la vostra preoccupazione rimane viva a proposito delle giovani generazioni. Non posso ritornare con voi su questi due importanti temi - quello dei laici e dei giovani - poiché li ho già lungamente trattati con i vostri confratelli del centro della Francia.

Oggi ho preso in esame due altri settori della pastorale: il senso dei valori morali presso i vostri fedeli, e in particolare presso i giovani, perché voi stessi notate nei vostri rapporti come esso si stia seriamente abbassando; e la rigenerazione delle coscienze mediante i sacramenti, e in particolare mediante il sacramento della riconciliazione, perché la festa della Pasqua, ormai molto prossima, incentra tutta la nostra attenzione sul perdono e il rinnovamento dei cuori.

2. Il vacillamento e l’abbassamento dei valori morali vissuti deve infatti preoccupare tutti i Pastori. Ciò che voi costatate in diversi ambiti, specialmente in quello che concerne il matrimonio, non è tanto l’ignoranza dell’etica cristiana, tanto più che si tratta in generale di credenti; ma piuttosto la mancanza di interesse, di convinzione a questo proposito, la rimessa in questione ben fondata, o molto semplicemente la volontà di conservare su questo punto una indipendenza di giudizio e di azione; e persino, come uno di voi ha detto riguardo ai giovani, una allergia verso le esigenze morali richiamate dalla Chiesa.

Voi non mancate di analizzarne le cause. È tutto il contesto sociale che spiega questa situazione. Non si tratta di lamentarsi dell’immoralità della nostra società. Vi è senza dubbio nell’uomo di oggi il medesimo fondo di generosità e il medesimo fondo di malizia che in quello vissuto mille o duemila anni fa. Ogni uomo che nasce è obbligato a riprendere a sua volta gli sforzi di ordine morale e spirituale che avevano compiuto i suoi genitori e i suoi antenati. Ma il problema è piuttosto quello del senso, dei fondamenti e dei criteri dell’atteggiamento morale. Le nostre regioni occidentali erano per così dire impregnate di un’etica che affondava le sue radici in una lunga storia che rassicurava, in una tradizione culturale cristiana che aveva i suoi precisi punti di riferimento in comunità abbastanza omogenee per sostenere i propri membri. Ora la società è divenuta pluralista e appare come “spaccata”, aperta a tutte le correnti di pensiero, a tutti i comportamenti e a tutti i costumi che può tollerare l’“ordine” pubblico. Se i mass-media possono aiutare a riflettere e a mettersi in comunione con nobili preoccupazioni largamente condivise nel mondo, essi possono anche rafforzare il carattere relativo dei “valori”. Molte informazioni, problemi, sollecitazioni vanno a colpire l’intelligenza dei nostri contemporanei, la loro immaginazione e la loro sensibilità, tanto che molti si sentono come estranei a se stessi, imbarcati in una società che vive nel suo insieme in uno stato di choc per aver perso i suoi punti di riferimento morale. Più ancora, bisognerebbe ricordare i problemi e le rimesse in questione prodotte dalle innovazioni scientifiche e le loro applicazioni pratiche, le nuove concezioni storiche e filosofiche, gli sconvolgimenti sociali o lo spettacolo quotidiano della violenza. In breve, diciamo, perlomeno, che la lucidità e il coraggio morale richiedono oggi una forte personalità.

Nella misura in cui le convinzioni sono scosse, in cui non si vuole riferirsi ad esperienze del passato, e in cui la società è tollerante e permissiva, che cosa in fondo va a determinare il comportamento? Molti sono tentati o di darsi un criterio puramente soggettivo, spontaneo, in funzione dell’interesse e del piacere immediati ed evidenti, o di accettare i nuovi conformismi sociali, o di esaltare le vie del rischio, della libertà, delle esperienze di ogni genere.

3. Ma se tali analisi delle cause hanno una loro utilità, esse non forniscono però, di per se stesse, le soluzioni. Ciò che importa è di cercare come, nelle condizioni di oggi, si possa esaminare ed operare una rinascita morale, preparare l’avvenire delle nuove generazioni.

Notiamo innanzitutto che è necessario verificare in quale senso utilizziamo la parola “etica”. Ogni ideologia pretende di avere una sua etica e una società pluralista può difficilmente raccogliere tutti i propri membri in un’etica comune, o si tratta di un minimo necessario alla vita nella società ed a una certa giustizia. Ma si può fondare un’etica completa, una scienza del bene e del male, senza Assoluto, senza trascendenza, senza la giustificazione del carattere sacro della persona umana? Noi pastori, abbiamo qui in mente l’etica secondo la quale l’uomo scopre al fondo della sua coscienza vera e retta una legge che egli non si è dato da solo, e tende a conformarsi alle norme oggettive della moralità (cf. Gaudium et Spes, 16). E più precisamente, noi vi ravvisiamo l’etica della Rivelazione: Dio ha dapprima interpellato il popolo eletto mediante la Legge di Mosè, perché esso fosse fedele al dono dell’alleanza aspettando di inscrivere questa Legge nel loro cuore (cf. Ger 31, 33); poi Gesù Cristo ha chiamato tutti gli uomini a conformarsi alle Beatitudini come cammino di salvezza e di vita. “Il giogo è dolce ed il carico leggero” per chi ha fede, e l’ha riposta nello Spirito Santo; altrimenti, le esigenze possono apparire difficili o impossibili. Cioè non si può pretendere di suscitare una pratica di valori morali cristiani senza suscitare prima e nel medesimo tempo un rinnovamento di fede. L’etica cristiana non può sussistere senza una fede profonda, che l’alimenta come un terreno che nutre, capace di molteplici fecondità; una fede che cresce nell’accoglimento del Vangelo, nella preghiera, nei sacramenti e in un quotidiano impegno.

4. Tuttavia, vi è un livello specifico di formazione morale che è necessario assicurare, perché per i credenti stessi, una fede o una preghiera che trascuri le esigenze etiche è illusoria. E coloro che sono indifferenti alla fede o coloro che credono in modo imperfetto hanno bisogno anche di conoscere le vie e i fondamenti dell’etica, nell’attesa che “operando la verità, essi pervengano, se Dio lo vuole, alla luce” (cf. Gv 3, 19.21). Bisogna dunque, come abbiamo avuto modo di dire, “individuare e definire i fondamenti della coscienza”.

Per questo, ci sono delle attitudini fondamentali, delle convinzioni preliminari, sulle quali è importante innanzitutto ottenere il consenso dei giovani o di coloro che sono invitati ad un risveglio morale. Per esempio, bisogna far comprendere loro che la morale non è il “legale”. Bisogna coltivare la lucidità sugli slogan che si diffondono quasi fossero delle evidenze quando invece sono spesso falsi. Bisogna convincere che la verità non è per forza affare della moltitudine, che essa non coincide con la percentuale derivata dai sondaggi, con l’attitudine dell’“uomo medio”; bisogna far prendere coscienza della schiavitù dell’opinione. Allo stesso modo bisogna imparare a valutare ciò che vale la spontaneità del giudizio e del desiderio; bisogna liberare dalle catene del soggettivismo e del neo-positivismo.

Bisogna soprattutto introdurre al vero senso della libertà. Questa libertà è uno degli elementi costitutivi della dignità umana; ma non è in sé un fine: essa è il mezzo, la via, per giungere al vero bene, il bene oggettivo, in modo responsabile. La permissività rigetta questa sana visione, e spinge a cercare la libertà per se stessa, come un assoluto. È importante dunque insegnare alle nuove generazioni la bellezza e le esigenze della libertà e della responsabilità.

In particolare, è buona cosa far loro valutare a che punto l’idolatria si connetta oggi al denaro, al potere, al sesso, e ciò a detrimento dei valori della persona e della verità dei rapporti interpersonali, della comunicazione. Possano le giovani generazioni prendere coscienza anche delle trappole e dei limiti del materialismo, e della società del consumo che limita l’orizzonte alla soddisfazione dei bisogni immediati! Possano riconoscere al contrario il prezzo del superamento di sé, del servizio, della fedeltà che soli sono degni dell’uomo e salvano l’uomo! Penso che tutta questa educazione di base sgombri il cammino per giungere ad accettare con fiducia e coraggio le esigenze dell’etica in generale, e ancor più dell’etica cristiana, che è essenzialmente e principalmente amore a Dio sopra tutto e amore del prossimo per amore di Dio.

5. È in questa ottica, su questi fondamenti, che è possibile allora affrontare i diversi settori della vita morale e farsi convinzioni rinnovate, ad esempio un nuovo modo di accostarsi alla sessualità, con una sana teologia del corpo e della relazione interpersonale nel matrimonio; un’etica delle relazioni familiari; un’etica dei rapporti sociali e politici, un’etica delle relazioni tra i paesi europei sul piano economico, legislativo e culturale; un’etica dei rapporti nord-sud e dei rapporti con il Terzo Mondo. Sono questi altrettanti capitoli che io non posso evidentemente sviluppare oggi.

Ma, direte, come trovare i mezzi di questa educazione? Come fare udire la voce della Chiesa in mezzo a tutte le altre voci? Non è come supporre il problema risolto, poiché è la fede che aiuta ad accettare e a vivere l’etica, ma che precisamente è la fede che manca?

Certo, la Chiesa ha mezzi limitati; essa potrà solamente aiutare i giovani che lo vogliono e che si rivolgono ad essa. Ma non deve temere di proseguire arditamente la sua pastorale in questo campo etico, senza alcun complesso. Possiede numerose istanze in cui può essere posta l’educazione morale, alle differenti età: gruppi di catechesi, per bambini, adolescenti e giovani; movimenti, sessioni, ecc. Essa deve soprattutto contare sulla responsabilità degli educatori e dei professori nei differenti tipi di insegnamento. La scuola cattolica, in particolare, può mettere in opera tutto un programma educativo coerente. La Chiesa dovrebbe utilizzare sempre un maggior numero di moderni mezzi della comunicazione sociale e le riviste. So che molte diocesi francesi fanno tentativi in questo campo. Ma in ogni caso, dal momento che si tratta di una convinzione personale, è la testimonianza dell’uomo all’uomo che, congiunta al sostegno comunitario, costituirà un appello a superare i compromessi, a conquistare una libertà esigente e responsabile, a creare il clima di un’etica più cristiana. Se il magistero deve continuare a tracciare con chiarezza la strada del risveglio morale dei giovani, questi, mi sembra, saranno convinti soprattutto grazie a molteplici testimoni nella cui vita l’etica cristiana sviluppa veramente la parte migliore dell’uomo.

6. Per dei cristiani, uno dei test del senso morale è la coscienza del peccato, il desiderio del perdono, il cammino della penitenza. Lo ricordavo domenica scorsa all’Angelus: lo Spirito Santo è venuto a convincere il mondo del peccato, della giustizia, del giudizio; e la missione della Chiesa è di fare prendere coscienza di ciò, dando ai peccatori la possibilità di essere perdonati, liberati, reintegrati. Il prossimo Sinodo sarà consacrato a questo momento essenziale della penitenza, e comprendete come alla soglia della Settimana santa io mi soffermi un poco su questo aspetto che completa quello della formazione delle coscienze e che ne è anche un mezzo privilegiato, comportando la grazia divina del perdono. C’è bisogno del coraggio di riconoscere i propri errori davanti a Dio, perché i peccati sono sempre delle offese fatte a Dio, anche quando si tratta di torti fatti al prossimo; ci vuole il coraggio di rendere conto alla Chiesa che ha ricevuto il ministero del perdono; e coloro che hanno in qualche aspetto perso il senso del peccato e della Chiesa provano evidentemente fatica ad accettare un tale cammino penitenziale. Ma esso è necessario oggi come ieri, e porta dei frutti notevoli quando è ben compiuto. Ne siete ben convinti. Durante l’assemblea plenaria di Lourdes, nell’ottobre 1979, avete adottato un testo sul “ministero della penitenza e della riconciliazione”. Numerosi Vescovi francesi hanno consacrato la loro Lettera pastorale per intero o in parte a questo soggetto. Questa settimana i vostri sacerdoti consacreranno, spero, molto del loro tempo a questo capitale ministero, che prepara i loro fedeli alla comunione pasquale. È a loro che io penso specialmente, perché li vorrei incoraggiare, con voi, ad accogliere come conviene i peccatori.

7. Il nuovo rituale della penitenza mette in rilievo il carattere ecclesiale della caduta e del perdono, e il posto della Parola di Dio, che permette di meglio porsi di fronte all’amore esigente del Signore. Esso ha così contribuito ad un rinnovamento di vita spirituale e a una presa di coscienza nuova del valore del sacramento, malgrado l’atmosfera generale assai scristianizzata. E se le confessioni sono attualmente meno numerose, sono senza dubbio più serie e ferventi.

Ma bisogna riconoscere anche l’esistenza di una certa crisi del sacramento della penitenza. Molti non vedono più in che cosa hanno peccato e, ancor meno, in che cosa hanno eventualmente peccato gravemente; né soprattutto perché essi debbano domandare perdono davanti ad un rappresentante della Chiesa; altri affermano che le confessioni sono troppo intaccate dalla routine e dal formalismo, ecc. Ci sono del resto serie ragioni di stupirsi e di aver timore nel vedere, in certe regioni, tanti fedeli ricevere l’Eucaristia, quando solo un piccolo numero è ricorso al sacramento della riconciliazione. Su questo punto, una buona catechesi deve condurre i fedeli a mantenere la coscienza del proprio stato di peccatori, a comprendere la necessità e il senso di una scelta personale di riconciliazione prima di ricevere, con l’Eucaristia, tutti i suoi frutti di rinnovamento e di unità con Cristo e la sua Chiesa.

Si obietta a volte che i preti, assorbiti da altri compiti e spesso poco numerosi, non sono disponibili per questo tipo di ministero. Che essi ricordino l’esempio del santo curato d’Ars e di tanti pastori che, ancora ai nostri giorni, grazie a Dio, praticano ciò che si può chiamare “l’ascesi del confessionale”. Perché noi siamo tutti al servizio dei membri del Popolo di Dio affidati al nostro zelo e, direi, di ciascuno di loro.

8. Questo aspetto della confessione individuale davanti al prete mi porta a ricordare certi problemi di pastorale liturgica e sacramentale relativi alle celebrazioni penitenziali comunitarie. Anche in questo campo, allorquando comportino l’assoluzione individuale, voi stessi avete potuto constatare dei progressi; una catechesi ben fatta conduce allora i fedeli a scoprire il senso comunitario dei propri atti, e più ancora del proprio stato di peccatori davanti a Dio e davanti ai fratelli e a rendere grazie insieme. C’è allora la celebrazione del perdono. Tale è veramente la grazia di questo tempo di quaresima: un approfondimento del senso del peccato che ci rende schiavi e, nella stessa misura, un pressante desiderio di liberazione e di vita nuova con Cristo, vita condivisa nella gioia, il servizio e l’amore fraterno.

Ma bisogna anche stare attenti: l’entusiasmo dei fedeli, e soprattutto dei giovani, per l’aspetto comunitario della vita cristiana, può portarli a dimenticare le azioni individuali che necessariamente si impongono. È il caso delle celebrazioni penitenziali con assoluzione generale. Come sapete, non bisogna fare ricorso a queste ultime che in casi eccezionali in cui ci sia l’impossibilità fisica o morale, in casi di grave necessità (cf. Normae pastorales circa absolutionem generali modo impertiendam, III). Non si può dunque farvi ricorso per rinnovare la pastorale ordinaria del sacramento della penitenza. Inoltre l’assoluzione collettiva non dispensa dalla confessione individuale e completa delle colpe. Questa deve ancora intervenire ogni qualvolta dei peccati gravi saranno stati rimessi con una assoluzione collettiva (cf. Ivi. VII). Il legame tra la confessione e il perdono, già iscritto nella natura delle cose, dipende infatti dall’essenza del sacramento. Non insisterò dunque mai abbastanza sulla necessità di questa confessione personale dei peccati gravi seguita dall’assoluzione individuale, che, essendo innanzitutto una esigenza di ordine dogmatico, è anche un’azione liberatrice ed educatrice, perché permette a ciascuno di riorientare concretamente la propria vita verso Dio. Infatti, il cristiano non esiste solamente come membro della comunità: è una persona individuale, con le sue tendenze e i suoi problemi, il suo luogo e la sua fisicità propria, le sue tentazioni e le sue cadute, la sua coscienza e la sua responsabilità davanti a Dio e davanti ai fratelli. Il Popolo di Dio non è una massa uniforme: ciascuno dei suoi membri è un essere unico davanti a Dio; lo è anche davanti al suo pastore, che è, per ogni fedele, padre, maestro e giudice da parte di Dio.

9. Raggiungendo in spirito tutti i sacerdoti delle vostre diocesi dell’Est, io auguro loro di essere sempre sacerdoti giovani, malgrado il peso degli anni o talune difficoltà del ministero attuale. Auguro ugualmente loro di celebrare con un fervore nuovo le prossime feste pasquali, che saranno una volta di più l’affermazione della vittoria di Cristo sul peccato, sulla morte e su tutte le forze di disgregazione dell’uomo e della società. I miei auguri vanno anche ai vostri diocesani. Che questa celebrazione della Risurrezione sia per loro un’occasione per scegliere nuovamente Cristo e il suo Vangelo. A voi, miei fratelli nell’episcopato, ridico la mia piena solidarietà nei vostri impegni, nelle vostre fatiche, nelle vostre speranze di Pastori delle Chiese affidate alla vostra vigilanza e al vostro affetto. Vi benedico di tutto cuore.

                                          



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