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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI AL CONGRESSO UNIV '82

Martedì, 6 aprile 1982

 

Carissimi fratelli e sorelle.

1. Sono lieto di incontrarmi ancora una volta con voi che, seguendo una consuetudine tanto significativa, vi siete riuniti a Roma per celebrare il vostro Congresso annuale. Perciò, mentre vi porgo il mio benvenuto, vi saluto tutti di cuore, Docenti e Studenti.

So che, proseguendo anche quest’anno nell’impegno di individuare le caratteristiche di una Università sempre più adeguata alla piena realizzazione della persona umana, quattrocento gruppi di lavoro hanno svolto, in più di cinquecento università di tutto il mondo, una attenta analisi sul tema: “Qualità dello studio, qualità della vita”.

In questo mio incontro con voi, durante la Settimana Santa, desidero invitarvi a confrontare con Gesù Cristo quei suggerimenti, quelle domande, quelle indicazioni operative, a cui il vostro lavoro vi ha condotti. Così vi accorgerete sempre più che Gesù Cristo è l’unico a rivelare il vero contenuto e valore di ogni autentica esigenza umana, mentre, senza la sua luce, ogni intelligenza della vita perde di profondità, di realismo, di concretezza.

2. La tensione, l’aspirazione naturale a un senso ultimo ed esauriente della vita, che la renda degna dell’uomo, cioè degna di essere vissuta, è sempre più coartata nella nostra società.

Quel desiderio di vita più piena e più vera, che accompagna l’uomo fin dall’infanzia e a cui la letteratura e l’arte hanno dato voce e immagini, molto spesso si corrompe anche nei giovani, degenerando in rivolta e violenza disperata, o esaurendosi in velleitarie aspirazioni.

Il passare degli anni sembra costringere tutti a una squallida rassegnazione, a un vacuo ottimismo, o, forse per i più forti di carattere e per coloro che stanno meglio socialmente ed economicamente, a un lucido cinismo: tutti quanti tentano poi di sfuggire la realtà con la distrazione, che può andare dal divertimento in senso banale, al successo professionale, alla passione meramente scientifica, alla lotta politica.

3. Per questo uomo concreto, che spesso inconsciamente cammina nella vita, ma nel quale rimane, continuamente destata dal gesto del Creatore, una apertura alla Verità Infinita, alla Bellezza Infinita, alla Giustizia Infinita, cioè al Mistero di Dio, è venuto il Figlio di Dio, “Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero”: “per noi uomini e per la nostra salvezza”.

Quella “qualità della vita”, di cui l’uomo, ogni uomo è “ignoto amante” (G. Leopardi), si è rivelata, si è fatta vicina, è presente: non più termine di incerta ed errante ricerca, ma possibilità gratuita di incontro e di sequela: infatti “la Vita si è fatta visibile, e noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la Vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi” (1 Gv 1, 2). In Gesù Cristo quella “qualità della vita”, che unicamente risponde all’ampiezza del desiderio e della nostalgia dell’uomo, è donata all’uomo “in sovrabbondanza”: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10, 10).

Nell’incontro con Gesù Cristo il germe della vita vera è gratuitamente comunicato; nel suo invito alla libertà di ogni uomo, “vieni e seguimi”, è contenuta la possibilità semplice e immediata che quel germe di vita cresca “senza che neppure uno sappia come” (Mc 4, 27) e “porti molto frutto” (Gv 15, 8).

Come ho ricordato ai giovani di Francia: “Queste parole "vieni e seguimi" significano che non si può imparare il cristianesimo come una lezione composta da capitoli numerosi e diversi, ma che lo si deve associare sempre ad una persona, ad una persona viva: Gesù Cristo” (1° giugno 1980).

4. Nello stesso movimento di grazia, che conduce l’uomo a scoprire Gesù Cristo e a seguirlo, attirato dall’evidenza di verità della sua Persona e della sua Parola, l’uomo ritrova se stesso, l’uomo riconosce con stupore il valore della sua vita, la dignità della sua intelligenza e della sua libertà.

Nella sequela umile e fedele della sua Presenza, l’uomo cresce in quella profonda meraviglia di se stesso, in quel profondo stupore riguardo alla dignità e al valore della sua vita che lo rende sempre più uomo.

Nell’esperienza di questa “qualità della vita”, sorprendente e gratuita e insieme “più umana”, ciascuno di noi riconosce la verità esistenziale della promessa di Gesù Cristo ai discepoli: “Chi mi segue avrà in eredità la vita eterna e il centuplo quaggiù” (cf. Mt 19, 29), “Chi mi segue non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8, 12).

5. Anche a noi oggi, come ai primi discepoli, è data la stessa possibilità di incontro, di sequela, di familiarità, di esperienza di una “qualità della vita” più vera, più libera, più umana.

La Chiesa, Corpo di Cristo, modalità della sua Presenza oggi tra gli uomini, è “segno e strumento efficace” (cf. Lumen Gentium, 1) di questa “comunione intima” col Figlio di Dio e col Padre nello Spirito.

Nel coinvolgimento cosciente e libero nella vita della Chiesa, nei suoi gesti, nei sacramenti della fede, nella sua preghiera, nella testimonianza dei suoi santi, nella sua tradizione vivente, l’uomo impara a conoscere concretamente Gesù Cristo, si mette alla sua sequela, penetra in tutto il suo Mistero. Solo dentro la vita della Chiesa l’iniziale stupore e meraviglia dell’incontro con Gesù Cristo diventa evidenza pienamente ragionevole e libera, che fa ripetere a ognuno di noi con certezza: “Tu solo hai parole di vita eterna” (Gv 6, 68), “Tu sei la via, la verità e la vita (cf. Gv 14, 6).

Dove l’appartenenza alla Chiesa, alla sua vita e al suo magistero, è soltanto formale e l’uomo rimane attaccato al suo individualismo, non può accadere il prodigio di una personalità integralmente cristiana: ci si deve rassegnare alla tristezza di “un sale che diventa insipido e non serve più a niente” (Mt 5, 13) o di un talento messo sotto terra per paura di perderlo (cf. Mt 25, 25).

6. Perché il germe di vita vera, che l’incontro e la sequela di Gesù Cristo comunica all’uomo, cresca e maturi, occorre che ciascuno di noi affronti tutti i problemi e tutte le circostanze della vita alla luce di quell’incontro e in quella sequela, avendo davanti agli occhi e nel cuore lo stupore e la certezza della fede.

Dove la fede non illumina, purifica, valorizza ogni aspetto dell’esistenza umana, dove esiste una “artificiosa separazione” tra la fede e gli impegni di studio, di lavoro, di vita familiare e sociale, la fede, quando non viene meno, si riduce facilmente ad astrattezza, a vago sentimento, a un insieme di doveri non pienamente ragionevoli e liberi.

Nel discorso che ho rivolto ai sacerdoti della diocesi di Roma in un incontro di lavoro sulla pastorale universitaria, parlando del profondo legame che sussiste tra la Chiesa e l’università, ho detto:

“La fede, che la Chiesa annuncia, è una "fides quaerens intellectum": una fede che esige di penetrare nell’intelligenza dell’uomo, di essere pensata dall’intelligenza dell’uomo. Non giustapponendosi a quanto l’intelligenza può conoscere con la sua luce naturale, ma permeando dal di dentro questa stessa conoscenza. Perciò, come il mio predecessore Paolo VI - soprattutto nell’esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi" - così anch’io in varie occasioni ho richiamato questa esigenza che ha la fede di divenire cultura”.

7. Cari fratelli e sorelle, ancora vi ringrazio per la vostra odierna presenza, e, mentre vi porgo i miei auguri di una Buona Pasqua, vi assicuro anche il mio ricordo nella preghiera. Voglia il Signore sostenervi e confortarvi nel testimoniare ogni giorno ai vostri colleghi e docenti una “qualità di vita” più umana, una vita nella quale è possibile essere lieti, senza negare o dimenticare nulla della realtà, e nella quale è possibile essere intelligenti ed aperti a tutto il reale, senza diventare col tempo cinici o senza speranza. In tal modo, potrete essere “pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1 Pt 3, 15).

A Maria, Madre di Dio e Madre nostra, “di speranza fontana vivace” (Dante Alighieri, La Divina Commedia, Paradiso, XXXIII, v. 10) affido ciascuno di voi e la vostra testimonianza cristiana nel mondo di oggi.

Da parte mia, sono lieto di avvalorare questi voti, impartendo di cuore a tutti voi una particolare benedizione apostolica, che amo estendere al vostri familiari, ai vostri amici e a quanti vi sono cari. 

                                                



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