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PELLEGRINAGGIO APOSTOLICO IN PORTOGALLO
(12-15 MAGGIO 1982)

INCONTRO CON I DOCENTI UNIVERSITARI
E GLI UOMINI DI CULTURA

DISCORSO DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II

Coimbra
Sabato, 15 maggio 1982

 

Eccellentissimo signor Magnifico Rettore,
signori Professori e Alunni di questa Università,
Signori e Signore.

1. È per me un momento di grande gioia, trovarmi in questa Università, una delle più antiche d’Europa, e intimamente legata ai fatti della Chiesa. Fin dai suoi primordi, posta sotto la protezione di Dio e della santissima Vergine, ha assunto nel decorrere della sua storia, anche un formale impegno di difendere la dottrina della Immacolata Concezione di Maria santissima. Sento per questo qui palpitare una lunga tradizione di devozione mariana, elevata al più alto livello della cultura nazionale.

Saluto particolarmente il Magnifico Rettore che mi ha accolto, saluto il Corpo docente, i Professori, i Professori Straordinari e Assistenti e il Corpo discente, i cari studenti, e quanti completano in questa famosa Università la comunità di lavoro intellettuale. Saluto, con intensità di sentimento, tutti gli uomini di cultura di questa nobile Nazione, qui presenti o qui rappresentati.

Riconoscendo il valore del vostro lavoro a favore dell’uomo, vengo a quest’incontro con rispettosa stima, ricordando i lunghi anni in cui lavoravo nello stesso ambiente universitario, e dei momenti felici che questa convivenza mi offrì. Siamo tutti convinti che è in primo luogo con l’intelligenza e, solo dopo, con il lavoro che si può modellare una nuova civiltà, in sintonia con le aspirazioni e le necessità della nostra epoca. Sta a voi, uomini di cultura, il compito primordiale di proiettarla per i giorni a venire, basandovi sugli inestimabili valori della vostra tradizione culturale e nelle immense ricchezze dell’anima portoghese. Mi trovo qui come un amico che apre il cuore con fiducia in una attitudine d’incitamento e di comunione per gli identici problemi.

2. Conoscete bene quanto la Chiesa sia grata alla cultura e quanto rispetti la sua promozione. Essa è molto interessata alla cultura, perché sa bene cosa questa significhi per l’uomo. La persona umana, infatti, non potrà svilupparsi completamente, sia a livello individuale che sociale, se non mediante la cultura.

Questo sembra evidente, se consideriamo che la cultura, nella sua realtà più profonda, non è se non il modo particolare che un popolo ha di coltivare le proprie relazioni con la natura, tra i suoi membri, e con Dio, in modo da raggiungere un livello di vita veramente umano; è lo “stile di vita comune” che caratterizza un determinato popolo (Gaudium et Spes, 53).

Tra le varie culture, occupa un posto d’onore la cultura portoghese. Una cultura plurisecolare, ricca, con caratteristiche ben precise che la distinguono chiaramente dagli altri popoli. Essa esprime il modo personale dei portoghesi di “stare al mondo”, la loro propria concezione di vita ed il loro senso religioso dell’esistenza. È una cultura forgiata nel decorrere di otto secoli come Nazione, e arricchita dai molteplici e prolungati contatti che il Portogallo ebbe durante la sua storia, con i più diversi popoli dei vari continenti.

Mi è grato, in questo momento, ricordare l’ammirevole opera di civilizzazione che i portoghesi, insieme alla evangelizzazione, realizzarono attraverso i secoli in tutte quelle parti del mondo dove arrivarono. In questo ambiente di contatti con nuovi mondi, e in questo livello di cultura, come non ricordare Luis de Camões e i suoi “Lusiadas”, giustamente considerati come una delle principali opere della letteratura mondiale. Voglio ricordare anche il notevole contributo che il vostro Paese, con le scoperte, ha dato allo sviluppo della scienza. Tra i molti nomi che potremmo citare, mi limito a evocare Pedro Nuñes, l’inventore “Nónio”, e il medico e naturalista Garcia de Horta. Anche nel campo delle arti, questo incontro di civilizzazione si materializzò nel vostro inconfondibile stile manuelino.

3. La cultura è dell’uomo, a partire dall’uomo e per l’uomo.

La cultura è dell’uomo. Nel passato, quando si voleva definire l’uomo, quasi sempre ci si riferiva all’intelligenza, alla libertà o al linguaggio. I recenti progressi della antropologia culturale e filosofica mostrano che si può ottenere una definizione non meno precisa della realtà umana riferendosi alla cultura. Questa caratterizza l’uomo e lo distingue dagli altri esseri non meno chiaramente che la intelligenza, la libertà e il linguaggio. Tali esseri infatti non hanno cultura, non sono artefici di cultura; al massimo sono recettori passivi di iniziative culturali realizzate dall’uomo. Per crescere e sopravvivere, essi sono dotati dalla natura di certi istinti e determinati sussidi sia per la sopravvivenza che per la difesa; al contrario, l’uomo, invece di queste cose, possiede la ragione e le mani, che sono l’organo degli organi, in quanto con il loro aiuto l’uomo può munirsi di strumenti per conseguire i suoi fini (cf. S. Tommaso, Summa Theologiae, I, 76, 5 ad 4).

La cultura viene dall’uomo. Questo riceve gratuitamente dalla natura, un insieme di capacità, di talenti, come li chiama il Vangelo, e con la sua intelligenza, la sua volontà e il suo lavoro deve svilupparli e farli fruttificare. Lo sviluppo dei propri talenti tanto da parte dell’individuo come da parte di un gruppo sociale, con il fine di perfezionarsi e di dominare la natura, costruisce la cultura. Così nel coltivare la terra, l’uomo attua il piano creatore di Dio; nel coltivare le scienze e le arti, lavora per l’elevazione della famiglia umana e per arrivare alla contemplazione di Dio.

La cultura è “per” l’uomo. Questo non è solamente l’artefice della cultura, ma anche il suo principale destinatario. Nelle due accezioni fondamentali, di formazione dell’individuo e della forma spirituale della società, la cultura ha come fine la realizzazione della persona in tutte le sue dimensioni, con tutte le sue capacità. L’obiettivo primario della cultura è di sviluppare l’uomo in quanto uomo, l’uomo in quanto persona, ossia, ogni uomo in quanto esemplare unico e irripetibile della famiglia umana.

Intesa in questo modo, la cultura abbraccia la totalità della vita di un popolo: un insieme di valori che lo anima e che essendo condivisa da tutti i cittadini, li riunisce in una stessa “coscienza personale e collettiva” (Paolo VI, Evangelii Nuntiandi, 18); la cultura abbraccia anche le forme attraverso le quali i valori si esprimono e si configurano, ossia, i costumi, la lingua, l’arte, la letteratura, le istituzioni e le strutture della convivenza sociale.

4. Così, l’uomo, come essere culturale - voi lo sapete, Signore e Signori - non è pre-fabbricato. Egli deve costruirsi con le proprie mani. Ma, secondo quale progetto? Che modello, se ne esiste uno, deve avere davanti agli occhi? Non mancarono, lungo la storia proposte di tale modello. E qui, come è risaputo, appare l’importanza della antropologia filosofica.

Per essere valido un progetto culturale non potrà non attribuire il primato alla dimensione spirituale, a quella dimensione che riguarda la crescita dell’essere, più che la crescita dell’avere. Mi permetto, a questo proposito, ricordare quello che dicevo ai rappresentanti dell’UNESCO: “La cultura è quella cosa per la quale l’uomo, in quanto uomo, diventa più uomo, e in più, ha più accesso all’“essere”. È anche qui che si fonda la distinzione capitale tra quello che l’uomo è e quello che l’uomo ha, tra l’essere e l’avere (. . .). L’“avere” dell’uomo non è il più importante per la cultura; non è perlomeno fattore creativo della cultura, se non nella misura in cui serve all’uomo, per “essere” più pienamente uomo, in tutte le dimensioni della sua esistenza, in tutto quello che caratterizza la sua umanità (Giovanni Paolo II, Allocutio ad eos qui conventui Consilii ab exsecutione internationalis organismi compendiariis litteris UNESCO nuncupati affuere, 7, die 2 iun. 1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III, 1 [1980] 1640). L’obiettivo della vera cultura, pertanto, è fare di un uomo una persona, uno spirito pienamente sviluppato, capace di arrivare alla perfetta realizzazione di tutte le sue facoltà.

Storicamente ogni società, ogni nazione, ogni popolo ha cercato di elaborare un progetto umano, un ideale di umanità, attribuendo in maniera generale, il primato ai valori dello spirito.

E la Chiesa, com’è noto, detiene anche un progetto di umanità, ravvivato e proposto dal Concilio Vaticano II. In pieno accordo con i risultati delle ricerche dell’antropologia filosofica e culturale, il Concilio affermò che la natura è un elemento costitutivo essenziale della persona, dovendo, pertanto, essere sollecitato con tutti i mezzi.

Sono parole dello stesso Concilio: la cultura deve tendere alla perfezione dell’uomo, il quale “dedicandosi alle varie discipline della storia, filosofia, scienze matematiche e naturali, e coltivando le arti, può aiutare molto la famiglia umana ad elevarsi a concezioni più sublimi di verità, di bene e di bellezza ed a formare giudizi di valore universale” (Gaudium et Spes, 57).

5. A proporre il suo ideale di umanità, la Chiesa non pretende negare l’autonomia della cultura. Anzi al contrario, nutre per essa il maggior rispetto, come nutre il maggior rispetto per l’uomo; per ambedue difende apertamente la libera iniziativa e lo sviluppo autonomo. Infatti dato che la cultura deriva immediatamente dalla natura razionale e sociale dell’uomo, ha una costante necessità di giusta libertà e di legittima autonomia, di agire secondo i propri principi per svilupparsi. Con ragione, poiché proteggendo sempre, come è evidente, i diritti della persona e della comunità particolare e universale, la cultura ha bisogno di uno spazio di inviolabilità, esige di essere rispettata e di poter mantenere l’esenzione relativamente alle forze politiche o economiche (cf. Ivi. 59).

La storia, però, ci insegna che l’uomo, così come la cultura che costruisce, possono abusare dell’autonomia alla quale hanno diritto. La cultura, come il suo artefice, possono cadere nella tentazione di rivendicare per se stessi una indipendenza assoluta davanti a Dio. Possono arrivare perfino a rivoltarsi contro di lui. Questa verifica, per noi che abbiamo la felicità della fede in Dio, non si fa senza dolore.

La Chiesa è cosciente di questa realtà. Questo fa parte - voi ben sapete, Signore e Signori - di una lotta perenne tra il bene e il male. E la Chiesa è chiamata, per natura, ad additare il bene ed a curare ed estirpare il male. Essa ha ricevuto da Cristo la missione di salvare l’uomo dal male, l’uomo concreto, l’uomo storico, l’uomo con tutto il suo essere: esteriore ed interiore, personale e sociale, spirituale, morale e culturale. E delle vie per il compimento di questa missione della Chiesa, fa parte l’incentivo alla cultura, sia come fondo spirituale che come informazione sociale.

Pertanto, nella visione della Chiesa la cultura non è qualcosa che rimane estranea alla fede, ma da questa può ricevere profondi e benefici influssi. Tuttavia è necessario non considerare la relazione della cultura con la fede come puramente passiva. La cultura non è solo soggetto di redenzione e di elevazione; ma può essere anche fautrice di mediazione e di collaborazione. Infatti, Dio, rivelandosi al popolo eletto, si è servito di una particolare cultura; lo stesso ha fatto Gesù Cristo, Figlio di Dio: la sua incarnazione umana è stata anche un’incarnazione culturale.

“Nello stesso modo, la Chiesa, vivendo nel decorso dei tempi in diversi condizionamenti, impiegò le risorse delle diverse culture, per far arrivare a tutte le genti il messaggio di Cristo, per spiegarlo, comprenderlo e penetrarlo più profondamente e per dargli una espressione migliore; questo appare in modo particolare nella Liturgia” (Gaudium et Spes, 58).

Ai nostri giorni, senza abdicare dalla sua tradizione, ma cosciente della sua missione universale, la Chiesa cerca di dialogare con le diverse forme di cultura. È preoccupata di scoprire cosa unisce il magnifico patrimonio dello spirito umano: nonostante che l’armonia della cultura con la fede non sempre si realizzi senza difficoltà, la Chiesa non desiste dalla ricerca di avvicinamento a tutte le culture, a tutte le concezioni ideologiche e a tutti gli uomini di buona volontà.

6. È ben conosciuto da tutti voi, Signore e Signori, che le condizioni di vita dell’uomo di oggi hanno sofferto di trasformazioni profonde nel campo sociale e culturale, più o meno in tutte le parti; a tal punto che sembra lecito parlare di “una nuova era della storia umana” (Ivi. 54). Lo sviluppo ed il progresso della civilizzazione, marcati dal predominio della tecnica, aprono alla diffusione della cultura nuovi cammini, preparatori all’immenso avanzare delle scienze naturali, umane e sociali e per lo stupendo perfezionamento e coordinazione dei mezzi di comunicazione.

Pertanto credo che tutti noi siamo pieni di gioia, con motivi ben fondati e ci sentiamo profondamente grati al mondo della scienza e ai suoi protagonisti.

Ma questo progresso tanto meraviglioso, nel quale è difficile non intravedere il segnale dell’autentica grandezza dell’uomo, non manca di suscitare alcune preoccupazioni. E, non rara sorge negli spiriti la domanda: questo progresso del quale è autore e fautore l’uomo, lascia sulla terra una vita umana, in tutti i suoi aspetti, “più umana”? L’uomo, in quanto uomo, favorito da tutto questo progresso, diventa migliore? Voglio dire: si presenta e si comporta più maturo spiritualmente, più cosciente della sua dignità, più responsabile, più aperto con gli altri - in particolare con i più deboli e i più bisognosi - e, infine, più disponibile per aiutare tutti (cf. Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 15)?

Sembra che non ci siano dubbi oggi, che la cultura moderna, anima della società occidentale durante secoli e, per mezzo di questa, in larga misura anche delle altre società, sta attraversando una crisi: già non si presenta come principio animatore ed unificatore della società, la quale, a sua volta, si presenta disgregata ed in difficoltà per assumere la sua missione, di far crescere interiormente l’uomo in tutta la linea del suo essere. Questa perdita di vigore e di influenza della cultura sembra avere nella sua base una vera crisi. Il senso della verità ha sofferto un serio impatto da tutte le parti. Se osserviamo bene, si tratta, in fondo, di una crisi metafisica. Ne segue la perdita di valore della parola, il disprezzo della quale ha la sua origine in una certa perplessità e sfiducia tra le genti.

L’uomo si chiede angustiato: “infine, chi sono io?”. La visione obiettiva della verità, molte volte è sostituita da una posizione soggettiva più o meno spontanea. La morale oggettiva cede il posto ad una etica individuale, in cui ognuno sembra proporsi a se stesso come norma di azione, e volere che si esiga da lui esser fedele unicamente a questa norma. E la crisi si approfondisce quando l’efficacia assume la funzione di valore. In conseguenza sorgono manipolazioni di tutti gli ordini e 1’uomo si sente ogni volta più insicuro, con l’impressione di vivere in una società che sembra carente di certezze e di ideali e confusa in quanto a valori.

7. Nell’esercizio della missione che per misterioso disegno della Provvidenza mi è stata affidata, nelle pellegrinazioni apostoliche che faccio per il mondo, mi anima sempre il desiderio di essere portatore di un messaggio e di collaborare, con la parte umile, ma per me indeclinabile, finché è nelle mie possibilità, perché un autentico senso dell’uomo prevalga nelle menti e nei cuori, come punto d’incontro di tutte le buone volontà, in vista dell’edificazione di un mondo sempre più degno dell’uomo.

Nel processo di questa convergenza di buone volontà occupano posti di rilievo i centri e gli uomini di cultura. Si tratta effettivamente di operare mentalmente le persone e animare spiritualmente la società; e in questo potranno avere parte preponderante, non solo le istituzioni come la Chiesa, che qui rappresento, ma anche i centri e le strutture destinate alla creazione e promozione della cultura. Così entrano in causa le Università. E conoscete i miei sentimenti, di grande stima e rispetto, per le responsabilità che riconosco alle Università nel mondo contemporaneo.

Sono - per me - uno di quei luoghi, forse il principale luogo di lavoro nel quale la vocazione dell’uomo alla conoscenza, come anche al legame costitutivo dell’uomo con la verità come fine della conoscenza, diventa una realtà quotidiana, diventa in un certo modo, il pane quotidiano per quelli che la frequentano e per molti altri desiderosi di conoscenza della realtà del mondo che li circonda e della conoscenza dei misteri della sua umanità (cf. Giovanni Paolo II, Allocutio ad eos qui conventui Consilii ab exsecutione internationalis organismi compendiariis litteris UNESCO nuncupati affuere, 19, die 2 Iun. 1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III, 1 [1980] 1650s).

Signore e Signori,

Intellettuali e uomini di cultura portoghese:

La situazione può sembrare disperata, precorritrice di una “Nuova Apocalisse”. Ma, in realtà, non è così. Per l’umanità dell’Anno 2000 esiste sicuramente una soluzione e molti motivi di speranza. Basta che tutti gli uomini di buona volontà, soprattutto quelli che professano la fede in Cristo, s’impegnino seriamente in una profonda rinnovazione della cultura alla luce di una sana antropologia e dei principi del Vangelo.

Credo che siate già animati - e questi sono anche i voti che vi esprimo - da un desiderio di migliorare l’aspetto dell’uomo ed abbiate un autentico senso della persona umana, nel vostro nobile lavoro. Avete nelle vostre tradizioni tanti indizi, tanti elementi di universalità, di apertura agli altri popoli, di stima e sensibilità per i nobili sentimenti. Sembra perfino che attraverso i secoli si dia più importanza al cuore che alle costruzioni intellettuali. La civilizzazione che il Portogallo ha diffuso per il mondo si può dire che ebbe in speciale considerazione la persona umana. Approfondito questo, mi permetto di ripetere qui un appello che credo sia da tutti conosciuto:

“Aprite al potere salvatore di Cristo . . . i vasti campi della cultura, della civilizzazione, del progresso. Non abbiate paura. Permettete a Cristo di parlare all’uomo (Giovanni Paolo II, Homilia ob initium ministerii Summi catholicae Ecclesiae Pastoris habita, 5, die 22 Oct. 1978: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, I [1978] 38s), anche in Portogallo, per il quale e per voi auguro le migliori felicità.



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