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ALLOCUZIONE DI GIOVANNI PAOLO II A CONCLUSIONE
DELLA RIUNIONE PLENARIA DEL COLLEGIO CARDINALIZIO

Venerdì, 26 novembre 1982

 

Venerati fratelli membri del Sacro Collegio cardinalizio!

1. Al termine di queste giornate di lavoro, durante le quali l’intero Sacro Collegio si è ritrovato riunito per trattare importanti aspetti del governo centrale della Chiesa, sale spontaneo al nostro labbro il canto del Salmo: “Lodate, servi del Signore, / lodate il nome del Signore. / Sia benedetto il nome del Signore, / ora e sempre” (Sal 112 [113], 1 s).

Sì, fratelli beneamati, insieme lodiamo anzitutto il Signore, che ci ha dato forza e costanza nel rendere una nuova testimonianza della nostra totale adesione alla Chiesa, del nostro impegno vitale perché essa possa continuare felicemente nel mondo, nella ricerca di una continua migliore utilizzazione dei mezzi a propria disposizione, la missione affidatale da Cristo Signore per il servizio dell’uomo. Siamo della Chiesa, viviamo per la Chiesa, e vogliamo spendere per essa tutte le nostre energie, con l’aiuto di Dio. E grazie a lui, in questo pur breve periodo di giorni, abbiamo potuto compiere quanto era nelle intenzioni. “Dal sorgere del sole al suo tramonto / sia lodato il nome del Signore” (Sal 112 [113], 3).

2. Ma un particolare sentimento di gratitudine sento di dover rivolgere anche a tutti voi, venerati fratelli del Sacro Collegio. Come tre anni fa, siete accorsi alla mia chiamata incuranti del disagio che per non pochi di voi ciò ha potuto rappresentare, lasciando temporaneamente le vostre Chiese locali, ciascuna con i suoi problemi e i suoi programmi pastorali. Di questa vostra sollecitudine per i problemi centrali dell’unica Chiesa di Cristo - alla quale converge la “sollicitudo omnium Ecclesiarum” (2 Cor 11, 28) - io vi ringrazio davanti a Dio; come vi ringrazio per la serietà e lo zelo che avete manifestato in questi giorni di lavoro, per l’attenzione prestata agli argomenti trattati, e per i contributi concreti e intelligenti apportati sia individualmente in forma orale o scritta, sia nell’elaborazione collegiale dei voti dei vari Circoli linguistici, corrispondenti alle varie aree della presenza ecclesiale nel mondo.

Le osservazioni e i suggerimenti espressi, come pure le osservazioni che farete pervenire nello spazio indicato di un mese, saranno tenuti nel debito conto, in modo da venire incontro il più possibile alle necessità e alle attese della Chiesa, in questo particolare momento.

3. Al termine di questa seconda riunione del Sacro Collegio, non si può far a meno di riconoscere che: - anche questa volta è stata offerta una efficace prova della vitalità e dei compiti, che spettano all’antico istituto del Collegio Cardinalizio come senato che coadiuva il Papa nell’adempimento dei suoi doveri a raggio universale per il servizio della Chiesa e dei fratelli;

- è stato compiuto un nuovo passo in avanti nel cammino della “collegialità”, nella direzione tracciata dal Concilio Vaticano II. È ben vero che il Sacro Collegio ha fisionomia propria e distinta dall’organismo del “Synodus Episcoporum”. Il Sinodo è la principale espressione della collegialità, cioè della particolare responsabilità dei Vescovi, come ha voluto il Concilio. Tuttavia, l’insieme dei Cardinali forma anche un collegio - il Sacro Collegio, appunto, con la sua vetusta e inconfondibile fisionomia storica - e perciò sono da sottolineare le diverse potenzialità, che sono insite in esso e nelle possibili forme del suo funzionamento. L’avvenire sarà ricco di sempre nuove esperienze in questo campo.

I due organismi sono pertanto una magnifica conferma della realtà sottolineata dalla costituzione dogmatica sulla Chiesa: che, cioè, il Collegio Episcopale, “in quanto composto da molti, esprime la varietà e l’universalità del Popolo di Dio, in quanto poi è raccolto sotto un solo capo, significa l’unità del gregge di Cristo” (Lumen Gentium, 22).

In questa luce, acquista grande significato il lavoro svolto collegialmente nell’esaminare le strutture centrali della Santa Sede, in una panoramica che, nonostante il breve tempo a disposizione, ha toccato punti nevralgici dell’azione odierna di questa Sede Apostolica a beneficio di tutto il Popolo di Dio.

4. I punti trattati avranno una sintesi nel comunicato finale. Non intendo pertanto soffermarmi su ciascuno di essi. Ma, a conclusione dei nostri incontri, propongo ancora una volta a me e a voi la domanda che ho fatto nella tornata iniziale dei nostri lavori di quest’anno: “È sufficiente la nostra testimonianza nel campo dell’amore?”.

In questa luce acquistano significato le singole trattazioni di questi giorni.

Circa il servizio universale della Curia Romana, ho scritto nella recente mia lettera al Cardinale Segretario di Stato che esso “comporta una responsabilità ecclesiale da vivere in spirito di autentica fede” (cf. Giovanni Paolo II, Sedes Apostolica, 5, die 20 nov. 1982: vide supra, p. 1428). Dalla relazione presentata, voi avete potuto rendervi conto dello stato dei lavori per la revisione della costituzione apostolica Regimini Ecclesiae Universae e dell’impostazione che si vuol sempre maggiormente avvalorare affinché la Curia Romana risponda a questa sua particolarissima missione, vocazione e responsabilità: il servizio dell’“universo coetui caritatis”. Vi ringrazio fin d’ora per i suggerimenti che avete fatto o che farete pervenire, perché questo scopo sia felicemente e sicuramente raggiunto.

Inoltre, questo servizio si esprime nell’orientamento essenzialmente pastorale che è stato alla base dell’immane lavoro di consultazione e di redazione del nuovo Codice di Diritto Canonico, e che sarà l’anelito che ne deve animare l’applicazione. Il nuovo Codice, com’è stato preparato con una larga consultazione dell’Episcopato mondiale, costituisce in se stesso il risultato di un’opera di carattere collegiale. Ora spetterà al Papa, con l’autorità conferitagli da Cristo, di compiere, con la promulgazione, la parte definitiva di questo lavoro. L’importanza dell’opera richiede ancora un certo tempo di verifica e di riflessione che ho affidato ad un gruppo ristretto e qualificato di studio. Tutto ciò tende unicamente a far sì che il nuovo Codice risponda effettivamente alle sentite esigenze pastorali del momento di oggi, per la Chiesa del nostro tempo.

In direzione verticale, l’amore deve animare tutte le forme del Culto Divino, e di qui, traendo la sua linfa dalla comunicazione sacramentale con Dio, deve estendersi orizzontalmente alle esigenze più acutamente avvertite nella società odierna: nella pastorale della famiglia, nell’azione per la cultura, secondo gli orientamenti che sono stati qui illustrati.

5. Desidero poi ringraziarvi in modo particolare per l’attenzione che avete dato alla questione dell’Istituto per le Opere di Religione. Una riunione di 15 Cardinali, com’è noto, ha previamente studiato la cosa prima che il Collegio Cardinalizio si radunasse qui, in questi giorni. Si tratta di questione delicata, complessa, che è stata soppesata in tutti i particolari: voi ne avete avuto una esposizione adeguata, che viene riassunta nell’apposito comunicato di oggi, e avete potuto rendervene conto per quei suggerimenti che siano necessari. La Santa Sede è disposta a compiere ancora tutti i passi che siano richiesti per un’intesa da entrambe le parti perché sia posta in luce l’intera verità. Anche in questo, essa vuole solo servire la causa dell’amore.

Ed effettivamente, il problema economico della Santa Sede, di cui vi siete ampiamente occupati - e di ciò vi dico il mio grazie - è da vedere, nella sua globalità, anche e sempre alla luce dell’amore. La Santa Sede vive di quella carità, che è il segno distintivo della presenza cristiana nel mondo: “La base primaria per il sostentamento della Sede Apostolica - ho ancora scritto nella lettera citata - è rappresentato dalle offerte spontaneamente elargite dai cattolici di tutto il mondo, ed eventualmente anche da altri uomini di buona volontà. Ciò corrisponde alla tradizione che trae origine dal Vangelo e dagli insegnamenti degli Apostoli (cf. 1 Cor 9, 14)” (Giovanni Paolo II, Sedes Apostolica, 2, die 20 nov. 1982: vide supra, p. 1424).

La carità di Cristo che ci spinge (cf. 2 Cor 5, 14) impone alla Santa Sede di realizzare un programma pastorale di proporzioni e dimensioni universali, tra cui la realizzazione del Concilio, l’evangelizzazione a tutti i livelli, e l’equo sostentamento dei suoi collaboratori. Essa compie tutto questo con mezzi limitatissimi, che, in paragone con le spese delle varie organizzazioni di carattere politico, sociale, internazionale, sono davvero equiparabili all’“obolo della vedova” (cf. Lc 21, 2). Ciò esige naturalmente un senso di grande, direi meticolosa responsabilità nell’amministrazione di tali emolumenti: è quello che la Santa Sede vuole osservare scrupolosamente, chiedendo ai suoi collaboratori quello spirito di parsimonia e quella fiducia nella Provvidenza, di cui ho parlato nella mia lettera al Segretario di Stato.

6. E ora, mi sta a cuore darvi un annuncio, che certamente sarà motivo di grande gioia per voi e per tutta la Chiesa. Nel 1933, il mio predecessore Pio XI di venerata memoria, ricordò solennemente la ricorrenza diciannove volte centenaria dell’Anno della Redenzione, con l’indizione di uno speciale Giubileo. Nel prossimo anno cadrà pertanto il 1950° anniversario della Redenzione.

Sebbene non vi sia stata finora la consuetudine di una celebrazione intermedia, cioè nel 50°, vi sono forti motivi perché tale ricorrenza sia degnamente commemorata anche nel 1983. Anzitutto è da sottolineare la centralità dell’evento, che non può non condurre i cuori degli uomini a sempre più grande amore e attrazione verso l’opera compiuta da Cristo, “Redentore dell’uomo”, col mistero pasquale della sua Passione, Morte e Risurrezione. Inoltre si avvicina il prossimo Sinodo dei Vescovi, dedicato alla riconciliazione e alla penitenza nella missione della Chiesa: il Giubileo contribuirà certamente in modo vivo e sentito a far approfondire da tutti tale tema, e a far convergere con maggiore intensità il pensiero e l’affetto dell’uomo contemporaneo verso il sacramento che Cristo ha istituito per applicare ai singoli i tesori della sua Redenzione mediante il suo Sangue: “Siete stati comprati a caro prezzo” (1 Cor 6, 20), “non a prezzo di cose corruttibili come l’argento e l’oro . . . ma con il sangue prezioso di Cristo” (1 Pt 1, 18). Infine, il Giubileo della Redenzione aiuterà anche a portare avanti una degna preparazione per l’Anno Santo del Duemila.

È sembrato perciò opportuno, in considerazione di tutti questi motivi, e accogliendo varie istanze giunte sull’argomento, che fosse indetto per il prossimo 1983 l’Anno Santo della Redenzione, il cui inizio avverrà nel corso della prossima Quaresima. Chiediamo al Signore che tale celebrazione porti una ventata di rinnovamento spirituale, a tutti i livelli! E confidiamo che una degna e accurata preparazione renda particolarmente feconda tale iniziativa.

7. Venerati fratelli!

Ormai sul punto di lasciarci, con l’animo colmo di speranza e di letizia, rinnovo l’espressione della mia riconoscenza a quel Divino Paraclito, che ci ha illuminati nel corso dei nostri lavori, ci ha sorretti nei nostri umili sforzi e approfondimenti, e ci ha guidati nella via dell’amore. E, “ov’è carità e amore, Deus ibi est”. Dio è stato con noi.

Portiamo di qui l’anelito riconfortato al servizio pieno e ardente a Cristo e alla Chiesa, con tutte le nostre forze, con tutte le nostre capacità, con tutto il nostro cuore. Maria, Madre della Chiesa, Regina degli Apostoli, Madre dei Vescovi, lei che nel Cenacolo ha sostenuto la preghiera del Collegio apostolico ed ha animato con la sua presenza gli albori della Chiesa nascente, ci ottenga con la sua intercessione la grazia di non venir mai meno alla consegna d’amore, che Cristo ci ha affidato. A lei ci offriamo, chiedendole di non abbandonarci mai.

A voi tutti, carissimi fratelli, la mia affettuosa benedizione apostolica.

 

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