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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DEL MOZAMBICO
IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»

Giovedì, 23 settembre 1982

 

Signor Presidente della Conferenza Episcopale del Mozambico,
signori Vescovi, stimati fratelli.

1. Provo una grande gioia nel potervi ricevere come Collegio episcopale della promettente Nazione mozambicana. La visita “ad limina Apostolorum”, oltre ad essere ricerca di incitamento nella fede e nel coraggio degli Apostoli che qui diedero testimonianza del loro sangue e che qui hanno le loro tombe, e di più stretti legami di unità con la Sede del successore di Pietro, desidera offrire anche un interscambio tra le Chiese particolari e la Chiesa universale. In questo senso, l’incontro di oggi ha un significato speciale: per me, per il contatto con le colonne della Chiesa del Mozambico e, per voi, per la vita della unità cattolica, qui, nel centro della cattolicità.

Vi saluto, poi, con affetto particolare. Desidero aprirvi il mio cuore come a fratelli amatissimi, con una parola che vi aiuti nel grande lavoro che realizzate nelle vostre diocesi; una parola di incoraggiamento che vi sostenga nelle difficoltà che si pongono sul vostro cammino; ed una parola di orientamento per i problemi che affrontate.

Ho letto, con attenzione, la relazione che avete avuto la sollecitudine di inviarmi in questa occasione, sulla situazione della Chiesa nel vostro Paese. Vi sono grato per le informazioni che avete raccolto, insieme alla manifestazione di nobili sentimenti, coi quali avete desiderato accompagnarle: di comunione col successore di Pietro, di disponibilità nel servizio alla Chiesa, confermandovi fratelli nella fede, di condivisione nelle grandi inquietudini per la vita e la missione della Chiesa nel vostro Paese. Vi ringrazio, in modo particolare, per l’espressione di unità ecclesiale.

Desidero, da parte mia, anche condividere con voi i medesimi sentimenti, assicurandovi che, nel cuore del Papa, non solo si ripercuotono le vostre ansie e speranze, problemi e inquietudini, ma anche e soprattutto, sono molto importanti le vostre persone, fratelli carissimi, impegnati integralmente nella medesima causa del Regno di Dio, corresponsabili nella grande causa del Vangelo.

2. Sono sommamente lieto di vedere nel Mozambico una Chiesa viva, aperta e attenta alle grandi sfide del momento. La Chiesa cattolica in generale e la Santa Sede in particolare guardano all’Africa con grande speranza. L’attività missionaria e l’intenso lavoro della Chiesa insediatasi solo di recente - dopo le tante vicissitudini del passato - hanno fatto sì che una vera epopea caratterizzasse il secolo XX. Come ci sentiamo commossi e ringraziamo il Signore e gli uomini lì impegnati, nel leggere la storia della Chiesa nell’Africa di questo secolo! Siate anche voi artefici di quest’opera grandiosa. La vitalità della Chiesa nel vostro Paese ne dà un’eloquente testimonianza.

È bello e confortante sentire il vostro entusiasmo per la causa di Cristo e l’impegno concreto nel lavorare alla costruzione del Regno di Dio. Avete numerosi motivi per rallegrarvi, anche per il cammino che avete compiuto in questi ultimi anni: un cammino di evangelizzazione, un cammino di partecipazione comunitaria, un cammino di maturazione e di organizzazione dei quadri ecclesiali. Sono lieto di porre in risalto particolarmente la comunità ecclesiale alla quale fa riferimento la vostra relazione. In un mondo tanto diviso, ove predominano generalmente tensioni e radicalismi, si rivela più importante la missione della Chiesa quale missione di comunione e partecipazione di tutti ad una causa comune. La Chiesa è stata posta nel mondo come segno di unità e di speranza. Spetta ad essa, perciò, fedele all’ispirazione del suo divino Fondatore, ricercare quella unità che genera il Vangelo e viverla profondamente a livello della famiglia, della parrocchia, della diocesi, della Conferenza episcopale e della Chiesa universale; e così rivelarsi lievito di comprensione e di amore per tutta l’umana società.

Due dimensioni caratterizzano particolarmente la Chiesa: la sua natura missionaria, in quanto inviata ad annunciare a tutti i popoli il messaggio della salvezza, e il suo dinamismo di comunione: che tutti siano una cosa sola (Gv 17, 21). Non basta condurre gli uomini al cristianesimo. È indispensabile condurli anche all’unità di vita, nell’impegno ecclesiale.

3. Insieme alla grande gioia per le realizzazioni conseguite, voi esprimete anche non poche preoccupazioni. Si rileva la mancanza di una adeguata libertà religiosa per l’apostolato, i pericoli che circondano gli agenti della pastorale, le ansie a riguardo della violenza e delle restrizioni di diverso ordine che toccano le persone legate alla Chiesa. Questa situazione non può lasciare insensibile il nostro cuore di Pastori. Viene poi il problema vocazionale. Sentite la mancanza di persone preparate per il lavoro di evangelizzazione: scarseggiano i sacerdoti, i religiosi e i laici inseriti nei quadri pastorali della Chiesa.

Il sacerdozio - come ho avuto occasione di esprimere nel discorso del Giovedì Santo di quest’anno - è un dono di Dio alla Chiesa. Deve dunque essere visto come un dono. Il primo atteggiamento di fronte ad un dono è quello di chiederlo insistentemente. Fate quello che proprio Cristo ha raccomandato ai discepoli: chiedete al Signore della messe che mandi operai alla sua messe, dato che la messe è grande e gli operai sono pochi (cf. Lc 10, 2).

Come ho potuto constatare nelle vostre relazioni, sta a voi impegnarvi, con zelo, nella promozione delle vocazioni sacerdotali e religiose. Conosco le difficoltà che, purtroppo, impediscono la sua promozione e ulteriore sviluppo. In questo modo il vostro instancabile lavoro in questo settore si urta contro ostacoli quasi insuperabili, che non permettono che sia portato a buon fine. I giovani sono sistematicamente sviati da qualsiasi aspirazione al servizio di Dio. Voi soffrite perciò nel vedere l’insufficienza del clero autoctono all’immenso raccolto del Signore, senza poter rispondere all’ansia dei fedeli che insistentemente chiedono un sacerdote.

Desidero, in questo momento, dirvi che il Papa partecipa con voi alle difficoltà di questa situazione. E prega con voi e per voi.

Nella grande scarsezza del clero che angustia la vostra Chiesa, non potrei tralasciare di fare un particolare riferimento ai laici. Voi ne avete già numerosi, impegnati nel lavoro ecclesiale, dove si rivela utile o necessaria la loro presenza. Mi rallegro con voi per questa vostra stupenda iniziativa di impegnare e formare, nella misura del possibile, sempre più numerosi laici per un’azione di evangelizzazione, affidando loro responsabilità e spingendoli a vivere la loro fede in una testimonianza cristiana autentica e in una collaborazione proficua, in mezzo a tutte le avversità.

4. Un altro problema che vi preoccupa è la famiglia. Raccogliendo i ricchi contributi del Sinodo dei Vescovi sulla famiglia, ho avuto l’opportunità di esternare, nella esortazione apostolica Familiaris Consortio, la preoccupazione della Chiesa in questo importante ambito. La pastorale familiare, specialmente ai nostri giorni, non è facile. Ma è necessario realizzarla: si tratta di un’opera di vaste proporzioni.

Come tanti altri, questo settore compete in modo particolare ai laici. Anche qui dobbiamo pregare il Signore della messe che mandi buoni laici: uomini e donne per questo apostolato. E poi: è importante porre in azione anche organismi vigorosi, animati da coniugi illuminati e dediti alla pastorale familiare, che possano venire in soccorso della istituzione familiare: incentivare la sua spiritualità, preparare i giovani al matrimonio, sostenere i coniugi in crisi, offrire una formazione più adeguata agli sposi e genitori, formare l’opinione pubblica a favore dei valori del matrimonio e della famiglia.

Nella esortazione apostolica Familiaris Consortio ho affermato che “il futuro della umanità passa attraverso la famiglia”. Più di una volta ho segnalato l’importanza di questa istituzione. È lì che si formano gli uomini del futuro, lì che si raccolgono le vocazioni per il sacerdozio e la vita religiosa e laicale. Vale la pena di dedicarle ogni attenzione, come una delle realtà più care alla Chiesa e più essenziali per il futuro. La pastorale familiare, come ben traspare nella vostra relazione, costituisce una sfida. La Chiesa accetta questa sfida.

5. La vostra relazione faceva riferimento anche alla cultura e, più specificamente, all’animo africano. Posso assicurarvi che nei miei viaggi nel vostro continente, ho avuto l’opportunità di apprezzare i valori che vi sono propri. Ho cercato, al ritorno dal mio più recente viaggio, nell’aprile di quest’anno, di mettere in rilievo quanto la cultura africana favorisca una vera evangelizzazione e costituisca una provvidenziale resistenza agli attacchi dell’ateismo e delle ideologie straniere.

Desidero qui riaffermare l’impegno della Chiesa ad incarnarsi nelle diverse civiltà e culture. La vostra posizione nella Chiesa, come africani tra africani, concretizza questa preoccupazione di connaturare la Chiesa nell’Africa come suo popolo. Spetta a voi poi, secondo le prospettive del Concilio Vaticano II, di tentare di tradurre il Vangelo nella vostra cultura, in modo da renderlo comprensibile e, più ancora, di renderlo vita per il vostro popolo, senza, evidentemente, pregiudicare la necessaria unità ecclesiale e l’autenticità evangelica, che si stabiliscono e si basano sulla diversità di popoli e di culture.

Spetta al vostro giudizioso criterio pastorale, affiancato da uno studio serio e un costante riferimento alla Chiesa universale, discernere, tra le diverse espressioni culturali, del vostro popolo, quelle più adatte per esprimere i valori evangelici. E ancora. Non solo assumere le espressioni culturali appropriate, ma anche evangelizzare la propria cultura africana, in modo che, a breve termine, si possa parlare di una vera cultura africana cristiana sull’esempio di quella che caratterizzò i primi tempi del cristianesimo, con san Cipriano e sant’Agostino. Si tratta, senza dubbio, di un’opera grande e difficile. Esige una presenza di uomini con una fede solida e una cultura profonda, che sappiano comprendere sia il Vangelo che la propria gente. Ma è anche un lavoro importante e, direi, anche condizione per la sopravvivenza del cattolicesimo nella vostra terra, in mezzo alle contrarietà dalle quali tanto spesso è dipesa nel passare del tempo. Finché le popolazioni africane non sentiranno il cristianesimo come loro proprio sangue e anima, non saranno disposte a difenderlo anche a rischio della vita.

La vostra presenza ecclesiale non vuole togliere all’Africa la sua cultura, ma vuole impregnare la cultura africana di valori evangelici. Per questo, inseriti come siete nel vostro ambiente naturale, sentendo le aspirazioni e la vita del gregge che vi è stato affidato e, nello stesso tempo, profondamente compenetrati dalla fede cristiana, saprete voi stessi trovare il modo per integrare questi due poli vitali: fede e cultura. In questa importante incarnazione culturale, spetta alla Santa Sede una parola di orientamento perché si mantenga ferma l’unità della Chiesa universale, per la difesa degli elementi essenziali della fede cattolica.

Insieme ai grandi valori tradizionali della religiosità popolare, la vostra società risente oggi di un forte impatto dell’ateismo. Ideologie di diverse provenienze penetrano nel vostro Paese, con influenza negativa soprattutto sui giovani. È principalmente in questo ambito che voi dovete essere maestri nella fede, valorizzando i valori autoctoni, per basare su di essi una profonda vita evangelica.

6. Spetta a voi, stimati fratelli, la nobile e difficile opera di pionieri anche nelle relazioni con la nuova società che si sta creando a partire dalla indipendenza del vostro Paese. Sappiamo che ogni inizio è difficile. Si sente acutamente il problema della fame, della violenza fratricida, della instabilità politica e sociale. Avete quasi tutto ancora da fare. Si aprono, a volte, incertezze e dubbi, quanto al futuro. È caratteristico di ciò che ancora è nuovo non avere solidità di strutture. Dure prove sfidano la capacità di creatività ed il coraggio dei pionieri, timidi alle volte per la insicurezza davanti alla scelta del miglior cammino da percorrere.

In queste circostanze, qual è la vostra missione di Vescovi? Qual è la missione della Chiesa?

Partecipe pienamente con voi alla sollecitudine pastorale che avete espresso nel Comunicato della Sessione di maggio dell’anno corrente della vostra Conferenza Episcopale, relativamente al vostro Paese: “Ci commuove profondamente la notizia del tormento della fame che ha colpito tanti nostri fratelli soprattutto in alcuni distretti di Nampula. Ci sono di edificazione gli sforzi della “Caritas” e delle organizzazioni internazionali e la dedizione delle molte persone che non si risparmiano fatiche e sforzi per alleviare questa sofferenza. Incoraggiamo tutti coloro che continuano a soccorrere questi nostri fratelli che soffrono la fame. Non possiamo rimanere insensibili alle sofferenze dovute ai perturbamenti dell’ordine causati dalle situazioni di guerra e di violenza nelle varie Province. Animati dalla fraternità evangelica ognuno faccia quanto può per contenere queste sofferenze e creare un clima di riconciliazione da ogni parte”.

Il vostro contributo sarà poi quello di costruire come l’anima della nuova società. Non spetta a voi offrire soluzioni tecniche, compito proprio dei laici specializzati in questo settore. Il vostro dovere specifico è quello di impegnarvi per la costruzione di una civiltà dell’amore. Ci si aspetta da voi che lavoriate anima e corpo per impedire il diffondersi della violenza, dell’odio, dell’oppressione. Siete chiamati a promuovere l’unione delle forze, a conciliare posizioni estreme e apparentemente irriducibili, e a portare amore dove c’è odio. Nell’enciclica Dives in Misericordia ho voluto sottolineare questo punto. Così come il nostro Dio è un Dio di misericordia, bisogna che anche noi ci impegniamo per la riconciliazione tra gli uomini, per il perdono, per la solidarietà. Una società sarà felice se in essa vi regnerà la concordia e l’amore. Voi dovrete contribuire a questo in mezzo al vostro popolo.

Desidero, per questo, rallegrarmi con voi per il lavoro che realizzate nella ricostruzione nazionale, particolarmente nel campo della salute, dell’educazione e dello sviluppo umano. Merita inoltre un risalto particolare l’impegno per il dialogo che cercate di mantenere, con pazienza, con le autorità della Nazione e tutti i suoi membri, al di sopra delle fazioni che dividono e agitano la vita del vostro Paese.

Vi è un altro contributo che spetta a voi offrire: quello della speranza, una speranza basata sulla fede in Dio, sulla fede nel destino dell’uomo; una speranza fondata sul lavoro umano e sull’amore della causa comune. Quando, per qualunque motivo, sorge la disperazione, voi portate la speranza.

In questo modo sarete artefici di pace. Saprete infondere fiducia negli uomini e dimostrerete quel vero amore alla Patria che consiste nel rispettare e valorizzare le persone, amarle e volere la loro promozione nella loro terra e riconoscere le caratteristiche e l’indipendenza dei popoli vicini.

7. Carissimi fratelli, non potrei esaurire, in questo breve incontro fraterno, l’ampia problematica che è connessa al vostro lavoro personale. Aprendovi il mio cuore, ho desiderato, soprattutto, manifestarvi il mio apprezzamento per l’opera che realizzate e la mia stima per le vostre persone. Il Papa è con voi e vi accompagna con fraterna sollecitudine.

Per concludere, desidererei richiamare ancora la vostra attenzione su Colui che è la ragione della vostra vita e del vostro lavoro: Gesù Cristo. È lui che vi anima in questo momento e che vi accompagna in ogni situazione, sia felice che avversa. Tenete sempre presente la sua parola di incoraggiamento, soprattutto quando il peso della responsabilità sembra far vacillare il passo: “Coraggio, Io ho vinto il mondo” (Gv 16, 33).

Sì. Proprio quando si levano burrasche e la barca della Chiesa sembra essere in pericolo, ricordatevi che Gesù è con voi. Egli non vi abbandonerà mai. Perché temere allora, come i discepoli in mezzo alla tempesta nel mare di Galilea? Questa è la ragione della nostra speranza, è la certezza della nostra vittoria: la nostra fede in Cristo, Salvatore del mondo.

Che il Signore vi ricolmi di ogni bene, vi aiuti a camminare felici, guidando con sicurezza il popolo che vi è stato affidato. E in pegno di abbondanti grazie divine, vi imparto la mia benedizione, estensibile alla vostra Conferenza Episcopale e ad ognuna delle vostre comunità diocesane.

                                       



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