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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI GIORNALISTI RIUNITI IN VATICANO
PER CELEBRARE IL GIUBILEO DELLA REDENZIONE

Venerdì, 27 gennaio 1984

 

Cari signori giornalisti!

1. Vi ringrazio per la vostra presenza. Ringrazio i vostri tre colleghi che si sono resi interpreti dei comuni sentimenti e hanno anche fatto accenno alla tavola rotonda, che ha impegnato le vostre riflessioni personali e comunitarie intorno a un tema di grandissima attualità. Saluto i direttori e redattori dei giornali italiani, i rappresentanti dell’Associazione della stampa estera in Italia, i giornalisti accreditati presso la Sala stampa della Santa Sede, i membri dell’Unione cattolica della stampa italiana e le delegazioni venute da vari Paesi appositamente per questo incontro. Nel rivolgermi a ciascuno di voi, il mio pensiero va anche alle persone che vi sono care, di cui alcune sono qui presenti, ai giornali e ai periodici in cui lavorate, alla cerchia dei lettori che costituiscono in certo modo la vostra famiglia.

Cari signori giornalisti! Amici giornalisti!

Permettete che vi chiami così: amici! Non soltanto per il rapporto che questo incontro conferma: un rapporto di stima, di fiducia reciproca; quindi, di amicizia. Ma siete amici anche perché - voglio subito anticiparvi, con i sentimenti del mio cuore, l’alta considerazione in cui la Chiesa e la Sede Apostolica tengono la vostra professione - si potrebbe dire che voi siete nostri compagni di viaggio. Voi siete infatti professionisti della comunicazione. E l’evangelizzazione, che è il compito primario della Chiesa, l’evangelizzazione, come annuncio del Regno, non è forse anch’essa, anzitutto, comunicazione?

Le nostre strade convergono. E si incrociano, possono incrociarsi e unirsi, quando puntino a quell’obiettivo che, nel discorso dell’Unesco, indicavo come “criterio fondamentale” per l’uso degli strumenti della comunicazione sociale. Questi, cioè, devono diventare “il mezzo - e quale mezzo importante! - di espressione di quella società che si serve di essi e che ne assicura anche l’esistenza. Devono tener conto dei veri bisogni di quella società. Essi devono tener conto della cultura della nazione e della sua storia. Devono tener conto del bene dell’uomo, della sua dignità. Non possono essere sottomessi al criterio dell’interesse, del sensazionale e del successo immediato, ma, tenendo presenti le esigenze dell’etica, devono servire alla costruzione di una vita più umana” (Ioannis Pauli PP. II, Allocutio ad «UNESCO» habita, 16, die, die 2 iun. 1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III/1 [1980] 1649).

La Chiesa - come ha dimostrato occupandosi degli strumenti della comunicazione sociale prima, nel Concilio Vaticano II, e ora nel nuovo Codice di diritto canonico - guarda con estrema attenzione al mondo della comunicazione sociale, per l’importanza che esso ha assunto e assumerà sempre di più nella vita dell’uomo e della collettività. Questa attenzione, dunque, in primo luogo si rivolge a voi, alla vostra professione: nella consapevolezza della sua intrinseca nobiltà, e non meno della perizia e dei sacrifici che essa incessantemente richiede.

Cari amici giornalisti! Vi sono grato per l’attenzione con cui seguite la vita ecclesiale e in particolare per lo spazio da voi riservato all’Anno Giubilare della Redenzione. E sono profondamente lieto che a questa straordinaria celebrazione il mondo giornalistico abbia voluto oggi associarsi anche da protagonista nel pellegrinaggio al sepolcro dell’apostolo Pietro e nello studio del valore della croce di Cristo sullo sfondo delle molte croci del mondo contemporaneo.

Molto volentieri faccio mie le intenzioni che hanno mosso i vostri passi al grande atto, con l’auspicio che il Datore di ogni bene vi sia largo di celesti favori.

2. Questo incontro si caratterizza per la sua collocazione cronologica e ideale nella memoria giubilare della Redenzione. Vi sono rapporti tra la Redenzione e la vocazione giornalistica? C’è qualche legame tra l’opera che il Divino Redentore ha compiuto sulla croce e continua a compiere sia nel cuore degli uomini che nella compagine della società, e quella che voi andate svolgendo nel vostro assillante lavoro?

Per il cristiano, che fa del giornalismo un esercizio di apostolato con la coscienza e la visione soprannaturale che gli sono tipiche, la professione diventa un impegno reso al messaggio della salvezza, perché esso possa raggiungere tutti gli uomini.

La fonte primigenia, da cui sgorga l’efficacia di tale testimonianza, è la croce. In essa, infatti, si è compiuto il mistero dell’umana redenzione. Non per nulla san Paolo, nell’evangelizzazione del mondo pagano, mise al centro della sua predicazione e dei suoi scritti il Cristo Crocifisso, stoltezza agli occhi dei giudei e follia a quelli dei pagani, ma forza e sapienza di Dio per coloro che erano venuti alla fede (cf. 1 Cor 1, 23-24).

Chi opera nel giornalismo in qualità di membro del Popolo di Dio e del Corpo mistico di Cristo - il Concilio ne ha messo in forte risalto prerogative e doveri - dalle dimensioni cristologica ed ecclesiologica si vede sempre obbligato a salire alla dimensione soteriologica. La croce è la fonte primordiale e originaria della sua vocazione.

Mi limito, oggi, ad indicare questa altissima prospettiva. Ma voi comprenderete come il semplice cenno dischiuda molteplici e forse insospettati orizzonti alla natura stessa e all’impegno del giornalismo inteso come vero e proprio apostolato.

3. La Redenzione è una verità storica, un evento che appartiene al patrimonio comune dell’umanità.

La croce di Cristo si erge nel corso dei secoli, ed è quanto meno un punto obbligato di riferimento per tutti. Nel Redentore - come affermavo nell’enciclica Redemptor hominis (Ioannis Pauli PP. II, Redemptor hominis, n. 8) - si è rivelata in un modo nuovo e più mirabile la verità della creazione del mondo e dell’uomo.

San Paolo si fa acuto ed eloquente interprete dei gemiti e delle sofferenze che pervadono il cosmo tutto intero, e li paragona ai dolori della generazione, nell’ansia di raggiungere la rivelazione dei figli di Dio (cf. Rm 8, 19-22).

Il pensiero filosofico e le letterature di ogni epoca sono pieni di tali gemiti, nonostante fondamenti e traiettorie lontani dalla croce del Calvario e talvolta persino ostili. Ne è piena la coscienza dell’umanità, pur tra molteplici sbandamenti sui sentieri dello scetticismo, del dubbio, della negazione.

Più il progresso materiale s’impone e diventa gigante, più l’uomo teme di essere schiacciato dalle sue conquiste, delle quali pur mena vanto. Allora egli sente sempre più pulsante in se stesso il bisogno della salvezza. E avverte che la fonte della salvezza non può trovarla nelle risorse delle proprie mani, ma deve cercarla al di fuori, anzi al di sopra di sé. Poiché, come ripeteva Pascal, non è veramente umano se non ciò che supera l’uomo (cf. B. Pascal, Pensées, 434, ed. Brunschvicg).

Le croci che segnano il cammino della storia dell’ultima frazione del secolo ventesimo - sulle quali si è soffermata la vostra pensosa attenzione - delineano il dramma di fondo della nostra civiltà. E voi stessi, del resto, siete non di rado testimoni del ripetersi ai nostri giorni del martirio sul Golgota, della crocifissione dell’uomo contemporaneo, della scandalosa violazione dei diritti e delle libertà della persona umana sotto ogni latitudine.

Tra le valanghe di crisi che ricorrono con sorprendente puntualità; tra le delusioni, i timori, i disorientamenti; tra i molteplici fenomeni di degradazione spirituale, morale e sociale, spiriti sensibili della cultura e uomini sorretti dall’elementare saggezza s’interrogano preoccupati e, nel cercare la via della serenità, della fratellanza, della pace, invocano un principio superiore.

Per quanto possa essere imprecisato e vago, il bisogno di redenzione pulsa con particolare intensità in questo epilogo del secondo millennio. La croce di Cristo si impone a tutti indistintamente con muta e potente eloquenza, alla quale la Chiesa continua a prestare umile e fiduciosa la propria voce. Ed è confortante che anche molti tra coloro che non si riconoscono in essa, ammettano con sempre maggior convinzione il suo contributo ai valori dell’uomo, della società, della civiltà. A tale riguardo sono grato della testimonianza data da uno dei vostri interpreti.

4. Nell’universale azione redentrice e rigeneratrice, a cui il mondo aspira, voi giornalisti avete un ruolo di grande responsabilità: per la natura della vostra missione; per il posto che occupate e per l’influsso che potete esercitare nella società.

Giustamente fieri dei diritti-doveri dell’informazione, voi siete vigili testimoni di tutto ciò che la vita offre nella varietà e molteplicità dei suoi risvolti. Ma ogni notizia, idea, riflessione, nel momento stesso in cui viene diramata attraverso i modernissimi canali di trasmissione, sfugge alla sfera personale e si immette nel circuito sociale. Diventa così scintilla di altre idee e riflessioni che, a loro volta, concorrono a formare la pubblica opinione, uno dei fenomeni oggi preponderanti.

Il culto scrupoloso della verità oggettiva, la serietà e onestà intellettuale nell’interpretazione e nel commento soggettivi - virtù native del giornalismo, che accreditano il grado della professionalità e della statura deontologica del giornalista - qualificano in modo basilare la dimensione sociale di questa difficile e affascinante vocazione.

Nessuno è professionista della penna per proprio uso esclusivo. La dimensione sociale è la ragion d’essere e forse l’aspetto più delicato del giornalismo moderno. Essa esige pressantemente e incessantemente uno sforzo di sintonizzazione sulle lunghezze d’onda della realtà, e un equilibrato discernimento che salvaguardi limpidamente i diritti della verità e i doveri verso la società. È un grave problema di responsabilità, di cui voi certamente sentite tutto il peso, soprattutto quando sono in gioco temi che toccano nel profondo le supreme ragioni dell’esistenza. Ciò vale in modo particolare ai giorni nostri, nei quali si moltiplicano i pericoli di deformazione e di manipolazione della verità oggettiva: che è, anzitutto, la verità dell’uomo e sull’uomo.

Mi sia consentito rilevare che non potrebbe sfuggire a tali criteri l’informazione religiosa. Il ruolo e i compiti di chi lavora in questo specifico campo hanno subìto una progressiva evoluzione a partire dal Concilio Vaticano II, anzi, grazie proprio al Concilio. Con l’approfondita riflessione che la Chiesa ha svolto sulla propria natura e sulla propria missione, col colloquio che essa ha ripreso e sviluppato col mondo contemporaneo, si sono aperti nuovi e più ampi spazi di interesse per l’informatore religioso. Ne è una prova l’eco che hanno avuto e hanno sui giornali i dibatti teologici, le iniziative pastorali delle Chiese locali e il loro impegno nell’ambito della giustizia sociale e dei diritti umani, gli avvenimenti della Sede Apostolica, i pellegrinaggi apostolici dei Pontefici. L’informatore religioso ha dovuto, perciò, acquisire una serie di cognizioni che lo hanno portato a interessarsi di tutti gli aspetti della realtà umana e sociale del nostro tempo: dalla dimensione religiosa, ovviamente, alla politica, all’economia, ai grandi temi d’oggi, quali la pace, il disarmo, lo sviluppo, i problemi della famiglia, della gioventù, della cultura, eccetera.

Tutto ciò, se da un lato porta un accrescimento di responsabilità per l’informatore religioso, dall’altro gli impone un maggiore sforzo di comprensione e di analisi dei grandi fenomeni della società contemporanea. La parzialità e la manipolazione, se sono sempre da rigettare in ogni momento e in ogni aspetto della professione giornalistica, lo sono a maggior ragione quando vengono toccati problemi e situazioni che investono l’uomo e la sua coscienza in quella che è una delle dimensioni fondamentali, la dimensione religiosa.

La Chiesa si sforza e si sforzerà sempre più di essere una “casa di vetro”, dove tutti possano vedere che cosa avviene e come essa compia la propria missione nella fedeltà a Cristo e al messaggio evangelico. Ma la Chiesa si attende che un analogo sforzo di autenticità compia chi, messo nella condizione di “osservatore”, debba riferire ad altri, ai lettori del suo giornale o del suo periodico, la vita e le vicende della Chiesa.

5. Nella Bolla d’indizione dell’Anno Santo dichiaravo che esso raggiungerà il proprio scopo “soltanto se sfocerà in un nuovo impegno di ciascuno e di tutti al servizio della riconciliazione non solo tra tutti i discepoli di Cristo, ma anche fra tutti gli uomini, e al servizio della pace tra tutti i popoli” (Giovanni Paolo II, Aperite portas Redemptori, 3).

In questo gravissimo compito ogni uomo, non soltanto il cristiano, ha una parte da svolgere. La missione giornalistica in forme e modi privilegiati. Ritorna qui l’analogia, diciamo così, tra la missione della Chiesa e la missione giornalistica, inclusa in quella più ampia del mondo della comunicazione. Un’analogia, cioè, tra gli impegni a cui deve attendere la Chiesa nel proseguire l’opera di attuazione degli insegnamenti del Concilio Vaticano II, e quelli a cui è chiamata la società per avviarsi sulla via di un progresso segnato dalla pace e dalla giustizia.

Una maggiore circolazione di idee e di informazioni nella comunità ecclesiale, tra la Sede Apostolica e le Chiese locali, tra l’una e l’altra Chiesa locale, potrà indubbiamente favorire non solo un approfondimento dello spirito e di collegialità e un rafforzamento dei legami di comunione, ma anche una crescita e una maturazione della coscienza personale e collettiva dei membri del Popolo di Dio. “Va riconosciuta ai singoli fedeli la facoltà e il diritto di essere informati su tutto ciò che occorre per prendere parte attiva nella vita della Chiesa”, è detto nell’Istruzione pastorale Communio et Progressio (Pauli VI, Communio et Progressio, n. 119). Analogamente, una maggiore circolazione di idee e di informazioni nella società umana, tra i diversi popoli e all’interno di ogni popolo, potrà sicuramente favorire non soltanto una reciproca conoscenza, ma più ancora una rimozione di quegli ostacoli - e cioè diffidenze, sospetti, incomprensioni, discriminazioni, ingiustizie - che intralciano tuttora il cammino verso la pace e la solidarietà tra individui e tra popoli.

In un mondo pluralistico come quello attuale, caratterizzato da una rivoluzione senza precedenti come quella tecnologica, è evidente che gli strumenti della comunicazione sociale - se impiegati con fini distorti o, peggio, se piegati alla logica di un qualsiasi potere - possono provocare un’ulteriore e più profonda lacerazione nel tessuto connettivo della società. Al contrario, se adoperati secondo le leggi di un’etica che, salvaguardando i diritti dell’uomo, lo innalzi a soggetto attivo della comunicazione, anziché considerarlo quale semplice oggetto o “fruitore”, possono avere un’importanza decisiva nel futuro dell’umanità, nel processo di integrazione e di unificazione, nel rinnovamento morale, nella diffusione della formazione e della cultura: in breve, nella realizzazione di una convivenza umana migliore. Un’alternativa, questa, che dovrà essere tenuta costantemente presente, negli sforzi che si vanno compiendo in vista dell’elaborazione di un nuovo ordine mondiale dell’informazione e della comunicazione.

Si spiega così perché oggi, più ancora di ieri, la missione giornalistica esiga competenza professionale e responsabilità morale. Con i potenti strumenti di cui dispone, essa può, infatti, forgiare le coscienze al gusto del bene. Può infondere in esse il senso di Dio, educare alla virtù, coltivare la speranza, ravvivare la sensibilità ai valori trascendenti. Può, la vostra missione, illuminare, orientare, sostenere tutto ciò che veramente giova al progresso autentico e integrale della convivenza umana. Può aprire orizzonti alle menti e ai cuori, stimolare individui e società verso quegli obiettivi che incidono sulla migliore qualità della vita. In una parola, suscitare e fecondare tutti quei fermenti da cui dipende la salvezza dell’umanità nell’agitato e promettente momento presente.

Una grande risorsa della vocazione del giornalista è quella che definirei “psicologia positiva”. L’assiduo contatto con i molteplici fenomeni che costituiscono la trama della cronaca, non può non riservare simpatia, al di là della risonanza, a ciò che di positivo accade, magari nascostamente, e che merita spazio anche quando “non fa notizia”, non certo per minimizzare gli aspetti negativi, ma per incoraggiare e spronare le davvero incommensurabili possibilità costruttive. Sono queste, alla fine, la spina dorsale della storia.

Cari giornalisti! Amici giornalisti!

Queste semplici riflessioni, ispirate all’indole dell’incontro odierno, che avviene a pochi giorni di distanza dalla festa del vostro patrono, san Francesco di Sales, possano confermarvi nella grandezza dei vostri difficili compiti e nella professionalità della vostra qualificata missione.

Con tale auspicio vi imparto di cuore la mia particolare benedizione apostolica.

 

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