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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI GIOVANI PARTECIPANTI AL CONVEGNO «UNIV '85»

 Domenica di Pasqua, 7 aprile 1985

 

Volevo dirvi a braccio poche cose perché vi ho parlato già tante volte nel corso di questi incontri, a cominciare da sabato 30 marzo, al Laterano; poi la domenica delle Palme e di nuovo, oggi. Penso di avervi già detto abbastanza, non si deve esagerare. Bisogna solo mantenere i saluti in diverse lingue che poi tra voi leggerete. Una cosa mi ha toccato e mi ha fatto essere un po’ triste: mi hanno detto che quella lettera ai giovani è abbastanza lunga. Se lo dite voi di Univ, che cosa diranno gli altri? Ma anche io penso che forse è un po’ troppo lunga; in ogni caso, prima deve essere letta, poi si dirà.

Vi vedo molto volentieri qui a Roma e dappertutto perché, dovunque io vada, incontro giovani che gridano “Univ, Univ chiede al Papa”. I tedeschi invece gridano: “Papst Johannes Paulus II wir sind andeiner Seite”.

Sì, io faccio diverse visite a questi Paesi: adesso mi preparo a fare una visita in Benelux. Non so se voi vi trovate anche là, credo che alcuni di voi saranno a Lovanio e vedremo che cosa diranno.

È un’idea molto buona fare ogni anno questa riunione internazionale di tutti gli studenti del mondo qui a Roma e poi è una buona circostanza per voi incontrarvi così e cantare insieme: è una grande gioia; per me è una grande gioia. Vi ringrazio per questa visita come per la vostra partecipazione a tutta la settimana iniziata con l’assembla dei giovani e che si conclude adesso con questo incontro ormai tradizionale qui a San Damaso. Voglio darvi una consegna per le vostre famiglie, per i vostri genitori, per i vostri fratelli, per le vostre sorelle: salutate tutti, abbracciate tutti. Se vi sono dei piccoli, potete anche baciarli dicendo: “Ecco, il Papa ti bacia”. Poi i vostri colleghi, i vostri amici nelle università dove studiate; anche i vostri professori; qui ve ne sono alcuni. Tutti questi saluti li voglio trasmettere, tramite voi, in tutto il mondo, perché voi siete veramente di ogni parte del mondo, di zone molto lontane come l’Australia o il Brasile.

Sono veramente contento di avervi incontrato e di aver ascoltato i vostri canti nelle diverse lingue. Sono anche contento di questa unità che esiste tra voi, unità dei diversi Paesi, dei diversi popoli: durante questo incontro romano voi cercate in modo speciale di incontrarvi e di comprendervi. Spero che voi siate uniti anche al Papa e uniti a Cristo: siete uniti a Cristo e volete essere in questo mondo i suoi discepoli, i suoi apostoli. Questo è il momento della sera pasquale; sappiamo bene che in questo momento Cristo risorto è tornato nel cenacolo senza che si aprissero le porte. È entrato e ha detto agli apostoli che erano ancora impauriti e un po’ confusi: “Pace a voi”. Poi ha lasciato loro questa consegna splendida: “Ricevete lo Spirito Santo”. E poi ha detto che con questo dono dello Spirito Santo, dovevano assolvere i peccati. Cristo ha dato loro il potere di rimettere i peccati. So bene che voi siete molto attaccati al sacramento della Penitenza e che cercate di mostrare le strade di questo sacramento ai vostri coetanei, ai vostri amici, agli altri studenti, alle altre persone. È un apostolato molto importante. È veramente il primo dono che Cristo ha fatto e la prima consegna che Cristo ha portato, nelle sue mani ancora trafitte dopo la risurrezione, ai suoi discepoli, ai suoi apostoli. È stato questo, perché questa è la vera liberazione, la più fondamentale: non si può portare la liberazione all’uomo se non lo si libera da quello che lo distrugge dal di dentro, dal peccato. Cristo ha iniziato così a costruire la liberazione dell’uomo, la vera libertà dell’uomo, tramite lo Spirito Santo, con queste parole: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati, saranno rimessi”.

Vi auguro di continuare con queste convinzioni e con questo apostolato, con questa catechesi, con questa evangelizzazione: così sarete sempre più liberi, perché in Cristo siamo liberi. Gesù ha detto: “La verità vi farà liberi”, sarete liberi voi e farete liberi anche gli altri. E questa è la parola che volevo aggiungere a questo nostro incontro. 



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