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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AL MOVIMENTO ECCLESIALE DI IMPEGNO CULTURALE

Sabato, 9 febbraio 1985

 

Carissimi fratelli e sorelle del Movimento ecclesiale di impegno culturale.

1. Sono lieto di accogliervi in questa casa, dove ogni giorno mi è dato di incontrare tanti uomini desiderosi di ascoltare il pensiero della Chiesa sui problemi che oggi li assillano e non di rado li affliggono: problemi di dottrina e, più ancora, di vita.

Il programma del vostro congresso nazionale ha proposto alle vostre riflessioni e ai vostri dibattiti un problema fondamentale (“Lavoro e cultura nella nuova età tecnologica”), proiettato sul futuro dell’uomo (“L’appello del futuro e l’intelligenza dell’uomo”), ma inquadrato nell’attuale processo di trasformazione tecnologica e sociale, che comporta conseguenze solo in parte prevedibili sugli assetti economici, professionali, culturali, politici della società e sulla stessa qualità della vita. Voi ve ne state occupando con quell’impegno intellettuale e spirituale che è nella migliore tradizione del vostro movimento, desiderosi di recare un vostro contributo a un’utile chiarificazione dei termini, a una realistica impostazione, a un sapiente orientamento verso possibili soluzioni, degne dell’uomo.

A me preme cogliere qualche spunto dalla ricca tematica in cui si articola il programma, per riportare il discorso a quelle esigenze di testimonianza della fede e di speranza nel Cristo “di ieri, di oggi e di tutti i secoli” (cf. Eb 13, 8), che sono ineludibili per ogni cristiano impegnato nella cultura e nella vita sociale, specialmente se vuole esserlo, come voi vi proponete, in piena sintonia col magistero della Chiesa.

2. La Chiesa vuole offrire agli uomini di qualsiasi società, anche la più “secolarizzata”, valori che rispondano al loro bisogno di sapienza, ossia di verità per la vita, di principi generatori di salvezza. Quand’anche la condizione di “uomini senza qualità”, come li avete anche voi chiamati, ossia depersonalizzati e quasi massificati, raggiungesse l’estensione estrema oggi presagita dai più pessimisti, la Chiesa continuerebbe ad adempiere il suo compito di messaggera del Verbo, tentando in tutti i modi di mostrare come l’eterna verità del Logos rifulga nelle sempre parziali verità che l’uomo man mano scopre e applica alla trasformazione del mondo.

E anche là dove un malinteso spirito scientifico e un pericoloso strapotere dei processi tecnologici aggravassero lo stato di distrazione dalle verità essenziali, portando con sé l’aridità dell’intelligenza e l’ottundimento della coscienza, la Chiesa dovrebbe rendere ancora più intensa la sua opera di dissodamento e bonifica del terreno umano, perché la semente del Verbo possa cadervi, germinarvi e produrvi i frutti di vita annunciati dalla parabola evangelica, fino a “il trenta, il sessanta, il cento per uno” (cf. Mc 4, 8). Dove non giungesse a far altro, la Chiesa cercherebbe di suscitare negli animi, appiattiti dalle loro false sicurezze terrene, quell’inquietudine, quella capacità critica, quel senso del mistero che possono riaprire alle intelligenze e alle coscienze la via della sapienza.

3. Il primo passo da compiere, oggi, su questa via, è di superare lo stato di confusione e di illusione creato dalle moderne versioni del mito di Prometeo, l’antagonista di Dio.

Noi sappiamo che dopo la rivelazione di Cristo questa concezione non è più giustificabile. Il Vangelo ci insegna infatti che Dio è amore, e che per amore e nell’amore crea, sostiene, stimola all’azione l’uomo, fondandone la libertà e chiamandolo nella redenzione a partecipare alla sua gloria. Solo su una pregiudiziale negazione del nostro Dio si è potuto fondare il nuovo mito di Prometeo, ma esso si è rivelato disastroso per l’uomo più che nella tragedia antica!

L’uomo che aveva preteso di essere il padrone assoluto della natura e anzi di poter fare a meno di Dio nel suo autonomo processo di autocreazione e autoredenzione, ha conosciuto nel nostro secolo colossali espropriazioni della propria dignità, della propria libertà, dei propri diritti, e ha subìto le più amare delusioni dinanzi al crollo dell’ideologia del continuo, indefinito progresso, che lo aveva inorgoglito per tanto tempo.

Nel suo rapporto col creato, l’uomo ha realizzato, sì, tante mirabili e gloriose conquiste, ma ha anche visto la natura inquinarsi e sfaldarsi sotto le sue mani, e ora si interroga con ansia sulla sufficienza delle risorse naturali, così come sono distribuite, sfruttate e ampiamente saccheggiate oggi, a sfamare le future generazioni di esseri umani che popoleranno il nostro pianeta, mentre già nel nostro tempo si riaffaccia ogni giorno il dramma dei milioni di nostri simili - tra i quali migliaia e migliaia di bambini - che muoiono di fame.

4. Io non mi stancherò mai di ripetere, come ho fatto anche nei giorni scorsi in America Latina, che bisogna rivedere certi congegni del mondo economico ispirati ai principi di un capitalismo selvaggio o a quelli di un collettivismo materialista, burocratico e poliziesco, che umilia l’uomo. E bisogna, inoltre, resistere alle suggestioni provenienti dal mondo della tecnologia, quando è spinta fino agli eccessi della tecnocrazia. Mi sento in obbligo di richiamare l’attenzione di tutti sul fatto che, come ho detto già al primo incontro dei premi Nobel del 22 dicembre 1980, “il futuro del mondo è minacciato alle sue radici proprio da quei progressi che portano più chiara l’impronta del genio umano” per la cattiva utilizzazione che si è fatta delle conquiste scientifiche e tecnologiche contro la dignità e la libertà dell’uomo, contro la pace.

Oggi le nuove tecnologie dell’informazione, l’informatica e la telematica, fanno crescere in straordinaria misura le conoscenze dell’uomo e sono quindi utile mezzo per promuoverne la cultura. Di fronte ad esse, però, l’uomo, per la naturale curiosità che lo distingue, è sottoposto alla grave tentazione di volgersi verso una crescita continua delle conoscenze, sino a sommergere lo sviluppo ulteriore dell’intelligenza, che è assetata di sintesi e di contemplazione. Avrà l’uomo tanta saggezza da saper moderare la quantità delle conoscenze in quel modo che è utile alla qualità umana e divina dell’intelligenza? Non cadrà l’uomo nella trappola della quantità del conoscere a danno della sua qualità?

Il mondo di oggi ha veramente bisogno di quella “sapienza sempre antica e sempre nuova”, che può aiutarlo a commisurare secondo criteri di verità i mezzi ai fini, i progetti agli ideali, le azioni ai parametri morali che permettono di ristabilire l’equilibrio di valori oggi sconvolto. Quella sapienza coincide col Logos di Dio, “per il quale tutto è stato fatto” (cf. Gv 1, 3; Col 1, 16) e “nel quale tutto trova consistenza” (cf. Col 1, 17); col Verbo che, come sottolinea San Tommaso d’Aquino, contiene la stessa “legge eterna” che regola tutta la creazione (cf. Summa theologiae, I-II, q. 93, a. 1, ad 2); col Verbo che si è fatto carne, è morto e risorto per la nostra salvezza e ora sempre rinnova sacramentalmente la sua presenza in mezzo a noi: Cristo Signore.

La fede in lui ci ispira l’atteggiamento della Vergine Maria che, chiamata a partecipare attivamente all’evento decisivo della storia, si professa umile “ancella del Signore” e dichiara: “Sia fatto di me secondo la tua parola” (Lc 1, 38).

5. La partecipazione attiva di Maria all’opera dell’incarnazione e della redenzione è esemplare per tutti i cristiani - e anzi per tutti gli uomini - che sulle vie della scienza, della tecnica, dell’attività economica, dell’organizzazione sociale e politica, intendono impegnarsi a far sì che anche nella nuova età tecnologica l’uomo prevalga sulle cose, l’essere sull’avere e sul fare, l’intelligenza e la coscienza sui processi materialistici che minacciano di annullare il valore della persona e il significato della vita.

Partecipazione attiva vuol dire umile obbedienza al Creatore trascendente, del quale si riconosce - proprio perché condotti per mano dalla vera scienza, oltre che dalla filosofia a dalla teologia - l’imperscrutabile presenza e il sovrano dominio; vuol dire, inoltre, impegno generoso e fedele nell’assumersi la parte di responsabilità che a ciascuno è assegnata: come ricercatore, docente, professionista, operatore sociale, dirigente politico, operaio, oppure, poiché la motivazione ideale dovrebbe essere la stessa, come missionario negli avamposti della Chiesa, o come monaca nel suo chiostro.

Noi credenti abbiamo il privilegio di conoscere questa dimensione profonda della cultura e del lavoro quali si pongono in ogni età della storia e di poter tutto ricollegare intorno al mistero del Verbo incarnato, che “illumina ogni uomo che viene in questo mondo” (Gv 1, 9).

A questa luce vi auguro di attingere ogni giorno le ragioni e i criteri della vostra attività; e vi esorto a ricorrervi continuamente, come singoli e come movimento, perché possiate veder chiaro sul vostro cammino e discernere ciò che più si addice a chi vuole operare nella Chiesa e con la Chiesa per far risuonare nel mondo di oggi il messaggio evangelico, speranza e promessa di un migliore futuro.

Gli interrogativi che oggi si pongono non intendono mortificare lo sviluppo delle nuove tecnologie, ma stimolare lo spirito dell’uomo a realizzarsi pienamente in esse e con esse, rivolgendo il suo sguardo al futuro con autentica carità, verso i giovani e le generazioni che seguiranno. Uomini nuovi che abbiano in sé la qualità dell’asceta, dell’eroe e del mistico debbono orientare la nuova cultura verso il vero bene dell’umanità. Auguro a ognuno di voi di diventare l’uomo nuovo illuminato e santificato nella verità e nella grazia del Verbo incarnato: in lui e per lui l’intelligenza scruta il futuro per riconoscere e attuare il progetto di Dio.

Con questi sentimenti vi imparto di cuore la mia benedizione, propiziatrice della grazia divina su di voi e sui vostri cari, come anche sui vostri impegni di lavoro e di apostolato!    

 

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