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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI COLTIVATORI DIRETTI
NEL 40° ANNIVERSARIO DELLA CONFEDERAZIONE

Martedì, 12 febbraio 1985

 

Carissimi,

1. Sono lieto di questo incontro, che mi offre la possibilità di celebrare insieme con voi il 40° anniversario di fondazione della vostra grande famiglia, la Confederazione nazionale dei coltivatori diretti. Vi saluto tutti con grande affetto, rivolgendo uno speciale pensiero al vostro Presidente Dottor Lobianco che ringrazio per le parole rivoltemi, al suo predecessore, l’Onorevole Bonomi e al consigliere ecclesiastico, Monsignor Notarangelo.

Rendiamo anzitutto grazie a Dio per la significativa testimonianza di fedeltà alla dottrina della Chiesa e agli interessi del mondo rurale che voi avete dato in questi anni di vita della vostra associazione.

Quando, nell’ottobre del 1944, ancor prima che il flagello della guerra terminasse, alcuni dirigenti dell’Azione Cattolica Italiana, con ispirata chiaroveggenza e con profondo spirito sociale, diedero vita all’associazione professionale e sindacale dei coltivatori diretti, essi si impegnarono a considerare la dottrina sociale cristiana come principale fonte di orientamento e di ispirazione per la loro attività.

È giusto riconoscere che la vostra associazione tenne fede a questo programma e trovò sempre il conforto e l’incoraggiamento nella viva parola dei miei predecessori oltre che nelle encicliche sociali e nella solenne voce del Concilio. Conoscete bene l’ampio capitolo che l’enciclica Mater et magistra dedica al lavoro agricolo, la costituzione Gaudium et spes, l’enciclica Laborem exercens.

2. La Coldiretti è nata in un momento difficile e drammatico per la vita delle campagne. Qualcuno di voi ricorda ancora l’arduo programma che vi attendeva. Bisognava riportare in condizioni produttive normali la terra sconvolta dal passaggio della guerra, proprio quando si aggravava il fenomeno dell’“esodo” - come lo chiamò Pio XII - dalle campagne di molti giovani e di intere famiglie.

Voi avete dovuto invitare il lavoratore della terra a entrare nelle nuove forme di vita associata, necessarie per lo sviluppo della professione agricola, aiutando il contadino ad uscire dall’isolamento e dalla secolare sfiducia verso le istituzioni. Avete contribuito a superare l’opposizione tra città e campagna, causa frequente del disamore alla terra e al lavoro dei campi. Urgeva, specialmente all’inizio, superare quelle condizioni umilianti di dipendenza in cui i lavoratori della terra sono ridotti o costretti a operare. Soprattutto dovevate guadagnare la gioventù rurale, formando i giovani e preparandoli ai loro doveri di coltivatori mediante corsi speciali affrontando, con originali iniziative, la mancanza di istruzione professionale.

Voi avete accolto la sfida dei tempi e avete organizzato un’assistenza tecnica e sociale efficace perché il coltivatore conoscesse i propri diritti, amasse la terra in ordine alle nuove esigenze di produzione. Avete operato perché non prevalesse, per quanto possibile, nella nuova società, una mentalità di tipo classista e materialista, poco disposta a rispettare le peculiarità della cultura contadina.

3. È giusto, allora, mettere in luce alcuni risultati e consensi che oggi vi confortano. Nonostante la diminuzione della popolazione agraria, la Coldiretti associa oggi un milione e centomila famiglie, e ottocentomila pensionati. Si tratta, perciò, della più grande associazione professionale agricola italiana ed europea. La vostra organizzazione per il patrocinio e l’assistenza dei lavoratori agricoli svolge un servizio fin nei più piccoli centri. Le Casse mutue dei Coltivatori diretti sono anch’esse un segno della viva presenza del lavoratore dei campi nella promozione democratica e pacifica dei propri interessi sociali.

Iniziative un tempo ritenute troppo ardue oggi sono, invece, una felice realtà. Sia ringraziato Dio per tutto quello che si è operato di bene.

Se oggi si riscontra una ripresa della “passione” per la campagna anche da parte dei giovani, e la professione del contadino, grazie alla sua preparazione e all’impegno di tecniche di coltivazione e attrezzature avanzate, non è più considerata come una condizione di inferiorità rispetto al lavoro della fabbrica, ciò si deve, in gran parte, alla vostra assidua opera.

4. Il rapido sviluppo tecnico e il rapporto organico tra ricerca scientifica e sperimentazione produttiva hanno fatto scaturire nuove e più ampie possibilità di sviluppo nel mondo agricolo, con conseguente beneficio dell’economia agricola e di tutta la comunità civile, mediante la trasformazione delle colture.

Specialmente i nuovi strumenti di lavoro consentono all’agricoltore una riduzione della fatica fisica, una vita umanamente più agevole, maggiore disponibilità di tempo libero e di ore di riposo. Di conseguenza il lavoratore della terra ha modo di dedicarsi di più alla famiglia, alla cultura, al libero esercizio delle proprie iniziative; trova migliori occasioni per prendere parte attiva alla vita sociale e politica della comunità.

Io voglio sperare che il costante progresso della condizione culturale del lavoratore della terra realizzi un principio sociale importante, dichiarato nella Mater et magistra: “Che i protagonisti dello sviluppo economico, del progresso sociale e dell’evoluzione culturale degli ambienti agricolo-culturali devono essere gli stessi interessati, e cioè i lavoratori della terra” (Giovanni XXIII, Mater et magistra, 130).

5. Poiché i valori tecnici dello sviluppo rivelano sempre una possibile ambivalenza nei loro risultati e nelle possibilità d’impiego, spetta a voi condurre a buon fine ogni nuova impresa, affinché ne abbia vantaggio il bene comune e non venga umiliata la persona del lavoratore. Fate in modo, dunque, che tutte le iniziative, le scelte delle nuove colture, i metodi di lavoro siano decisi con libertà e oggettività di informazione. Procurate che il lavoratore della terra conosca le prospettive delle sue scelte, non sia lasciato solo nelle condizioni di rischio che queste comportano, sappia le motivazioni, il valore e il vantaggio delle novità che egli introduce nel programma d’impiego della terra.

Bisogna soprattutto garantirsi che le moderne tecnologie non assorbano il ruolo specifico e tipico del coltivatore diretto e la dimensione familiare nella struttura operativa del mondo contadino. Il lavoro dei campi, infatti, coinvolge il nucleo della famiglia in maniera del tutto particolare. Ricordiamo perciò che la famiglia costituisce sempre la base di tutti i valori umani che l’agricoltura è anche oggi capace di salvaguardare.

6. Dobbiamo però ancora chiederci quali passi siano urgenti, nel momento presente, per raggiungere una promozione più ampia del mondo agrario. Colgo l’idea dal generoso dono di mille quintali di grano che voi oggi offrite per le necessità emergenti dell’Africa. Vi ringrazio anche a nome di tutti coloro che potranno essere sollevati dalla vostra generosa carità.

 Occorre dire che è necessario fare passi avanti per istituire un rapporto proficuo tra agricoltura e fame nel mondo, tra lavoro agricolo e scambi commerciali.

Avviene, voi lo sapete, che non sempre il coltivatore diretto sia giustamente remunerato delle proprie fatiche, ed è triste dover ammettere che interessi di mercato vanificano talvolta il frutto di un intenso lavoro, a svantaggio tanto dell’agricoltore quanto di altre comunità lavorative che hanno bisogno dei frutti della terra. Si ripete troppo spesso il fenomeno avvilente - reso più grave perché esiste un mondo di affamati che reclama aiuto - di grandi quantità di prodotti distrutti piuttosto che impiegati.

Non possiamo accettare che, mentre da una parte la terra dona i suoi frutti e le iniziative scientifiche per le colture offrono prospettive insperate di produzione, si vedano poi distrutte derrate che potrebbero servire a sfamare i popoli; che, mentre da una parte si muore di fame, si annientino dall’altra i frutti eccedenti perché non si trova il modo di realizzare un’organica collaborazione tra la produzione agricola e i bisogni delle nazioni. Anche l’economia agricola, come quella industriale, ha oggi enormi dimensioni e possibilità. Perciò è urgente cercare collegamenti molteplici tra i singoli Stati, vie eque di soluzione dei problemi nel reciproco aiuto, così come sono reciproche le dipendenze tra Paesi ricchi e Paesi più poveri (cf. Giovanni Paolo II, Laborem exercens, 17). Troviamo dunque strade più aperte per lo scambio dei prodotti per non ridurre le speranze di un maggiore equilibrio tra gli Stati, e affinché le omissioni non riducano le speranze della giustizia e non si trasformino in “peccato sociale”.

La terra è un dono di Dio a beneficio di tutti, e i benefici da essa prodotti non possono ridursi a un limitato numero di popoli o di categorie di persone, mentre altri sono esclusi dai suoi frutti (cf. Giovanni Paolo II, Allocutio in urbe “Bacolod City” habita, 6, 20 febbraio 1981: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IV/1 [1981] 429).

7. L’altro interrogativo riguarda il frutto che la promozione agricola ha dato per lo spirito. Dietro la svolta culturale delle tecniche agrarie ci può essere il rischio di cadere in forme di edonismo e di consumismo, che in passato erano estranee alla mentalità della famiglia agricola.

Dobbiamo impegnativamente lavorare perché la nuova agricoltura si sviluppi sempre nel rispetto della dignità dell’uomo, perché si tenga fede al culto profondo e incorruttibile della moralità, del rispetto della coscienza. Il tradizionale sentimento religioso e cristiano della cultura delle campagne non dovrà venir meno; la civiltà dell’amore e della solidarietà non dovrà essere sconvolta ma confermata dalle nuove vie del progresso.

“Sappiate mantenere lo sguardo rivolto al cielo - ammoniva Giovanni XXIII -, il cuore pieno di santi propositi, di fedeltà, di amore di Dio. Solo così le applicazioni della tecnica saranno fonte di vero duraturo progresso, senza il quale non c’è che disordine e confusione” (cf. Giovanni XXIII, Discorsi, Messaggi, Colloqui, II [1960], 321).

8. Assecondate, dunque, la missione dei vostri generosi sacerdoti assistenti e consiglieri ecclesiastici, affinché possiate sempre rispondere di disegni della Provvidenza, la quale vi affida il grave impegno di una testimonianza ancora difficile per certi aspetti, ma tanto ricca di speranze e di grandi attese per tutta la Chiesa.

Perciò di gran cuore invoco su di voi, sul vostro lavoro, sulle vostre campagne, sulle vostre famiglie, sulle persone care, l’abbondanza della grazia divina.

Amen!

      

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