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VISITA PASTORALE NEI PAESI BASSI

INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON I MISSIONARI E CON ORGANISMI DI AIUTO AL TERZO MONDO

Utrecht - Domenica, 12 maggio 1985

 

Cari fratelli e sorelle.

1. Sono felice di salutare qui i missionari e tutti coloro che collaborano nelle opere di missione e di cooperazione nei Paesi in via di sviluppo. La varietà delle vostre istituzioni e dei vostri servizi che si tratti di aiuti sanitari, economici o tecnici, di centri di accoglienza o di opere più specificatamente imperniate sull’evangelizzazione, come le Pontificie opere missionarie - più particolarmente legate alla nostra azione pastorale come prime promotrici del Vangelo - tutto questo, dicevo, rende testimonianza al vostro senso dell’universale, alla prospettiva mondiale del vostro impegno in quanto membri questa grande famiglia che costituisce, come sottolineavo dinanzi alla Conferenza internazionale del lavoro (cf. Giovanni Paolo II, Allocutio Genavae, ad eos qui LXVIII conventui Conferentiae ab omnibus nationibus de humano labore interfuere, habita, 15 giugno 1982: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, V/2 [1982] 2250ss.), a Ginevra, “la comunità mondiale”. Voi avete illustrato con il vostro esempio quanto dichiarava il documento conciliare Gaudium et spes, di cui celebriamo quest’anno il ventesimo anniversario: “Chi segue fedelmente Cristo, cerca anzitutto il regno di Dio e assume così più valido e puro amore per aiutare tutti i suoi fratelli e per realizzare, con l’ispirazione della carità, le opere della giustizia” (Gaudium et spes, 72).

2. I testi della liturgia eucaristica di questa sesta domenica dopo Pasqua, che celebriamo questo pomeriggio, sono proprio adatti a ridestare un’eco potente nei vostri cuori e a stimolare il vostro impegno. La lettura degli Atti degli apostoli ci ricorda la visita di Pietro a Cesarea dal centurione Cornelio, e la rivelazione fatta al capo degli apostoli della chiamata universale agli uomini ad entrare nella Chiesa di Dio: “In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone; ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto” (At 10, 34-35). Quanto al testo del Vangelo di Giovanni, ci invita a scoprire la gratuità e insieme la responsabilità inerenti alla chiamata del Signore: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Gv 15, 16).

3. Nel corso dei miei numerosi viaggi apostolici, ho avuto la soddisfazione di incontrare diverse testimonianze della risposta del vostro Paese all’invito di Cristo. Come gli apostoli, voi avete ascoltato l’invito a lasciare la riva, quella riva che è in gran parte la terra conquistata al mare con i vostri sforzi e che, naturalmente, vi induce a prendere il largo; i vostri missionari, le numerose congregazioni religiose maschili e femminili, i laici impegnati, sono andati a portare ad altri popoli la buona novella che voi avevate ricevuto prima di loro. E la vostra opera ha dato frutti che restano ancora oggi.

Dalle isole dell’Oceano Indiano all’America, dal Pacifico all’Africa, la Chiesa del vostro Paese ha portato il nome di Cristo e i benefici del suo amore a tutti i popoli. Il frutto che oggi vediamo sono le giovani Chiese fiorenti con le loro vocazioni autoctone e il loro clero locale (clero di cui vi siete tanto preoccupati, in collaborazione con la Pontificia opera di San Pietro apostolo).

Sono le numerose istituzioni caritative generosamente sostenute dalla vostra cooperazione missionaria, dai mille volti, dalla Pontificia opera per la propagazione della fede a quella della Santa infanzia, fino alle attività specializzate di esperti e cooperatori, senza dimenticare l’infaticabile dedizione di numerosi sacerdoti e religiosi o religiose missionari del vostro Paese.

4. Di fronte allo sviluppo di nuove cristianità desiderose di prendere in mano il loro destino, di fronte alla formazione di un clero e di religiosi e religiose autoctoni, di fronte alla competenza dei catechisti, apostoli del loro ambiente, ci si potrebbe chiedere: si ha ancora bisogno dei missionari? Perché mandare dai nostri Paesi occidentali degli evangelizzatori, inevitabilmente meno adatti ad essere capiti, meno integrati nella cultura locale? Ma - lo ha sottolineato con forza il Vaticano II - tutta la Chiesa è missionaria: lo scambio tra Chiese diverse e il dialogo tra le culture sono essenziali alla missione stessa.

Certamente, le relazioni tra le Chiese sono cambiate nel corso dell’evoluzione storica. Oggi non si può più stabilire una netta distinzione tra Chiese evangelizzatrici e Chiese evangelizzate. Abbiamo potuto constatare - e voi stessi l’avete sperimentato - un cambiamento di strutture missionarie che non è stato esente da pene e da difficoltà, come in ogni crescita e in ogni nascita. Non è meno vero che la comunicazione e la condivisione tra le Chiese più vecchie e le Chiese giovani sono necessarie alla vitalità di tutte e costituiscono un arricchimento per tutte.

La Chiesa tutta intera, evangelizzando, è anch’essa evangelizzata. Una Chiesa particolare che si allontanasse dalle altre Chiese, dimenticando il carattere universale della Chiesa di Cristo - ciò che abbiamo ricordato all’inizio con l’evocazione della lettura degli Atti - si impoverirebbe nella sua dimensione ecclesiale. Negli scambi fraterni fra le Chiese particolari, ognuna dona e ognuna riceve, nell’unità di una “Chiesa universale senza confini, né frontiere” (Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 61). Le ricchezze di ciascuna giovano a tutti.

Peraltro Paolo VI, di venerata memoria, lo faceva già notare: l’estensione dell’evangelizzazione non è soltanto il movimento che la spinge a raggiungere regioni geograficamente più vaste o con popolazioni più numerose; essa consiste anche nel conquistare e come capovolgere con la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti d’interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità (cf. Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 19).

5. Come non vedere allora la vera portata dell’azione missionaria della Chiesa? Certo, l’azione missionaria deve essere accompagnata da sforzi di promozione umana, di progresso sociale, di liberazione dalle oppressioni ingiuste, dalla lotta contro tutto ciò che condanna l’uomo a una condizione indegna della sua natura. I missionari hanno, fin dalle origini, compiuto sforzi notevoli in questo campo, offrendo così una prova supplementare della credibilità del loro impegno missionario.

Questa tradizione di generosità deve essere continuata e molteplici organismi nati a questo scopo testimoniano la vostra volontà di proseguire su questo cammino, che è quello della solidarietà. Ma la missione evangelizzatrice della Chiesa non potrebbe ridursi alla sola azione di mutua assistenza socio-economica né confondersi con essa. L’evangelizzazione è il primo dovere e il compito specifico della Chiesa: è l’annuncio della buona novella della salvezza in Gesù Cristo che ci libera dal male e dal peccato e ci introduce nell’amore di Dio in cui tutti gli uomini sono fratelli. È in questo senso che la Chiesa “esiste per evangelizzare” (Ivi, 14) ed è soltanto in questo impegno che essa dà all’uomo uno sviluppo integrale, aprendolo all’assoluto di Dio. Infatti l’apertura a Dio è la vera dignità dell’uomo, la sua ricchezza interiore, la fonte stessa del dinamismo che gli permette di realizzare i più grandi valori individuali e sociali.

Un lavoro così gigantesco richiede operai zelanti e numerosi. Nel vostro Paese, che ha dato tante vocazioni missionarie, lancio ai giovani un appello che molti sono in grado d’intendere. Il Signore mi induce ad avere fiducia nella gioventù. Quante volte la mia speranza è stata appagata!

6. È un compito che stimola l’impegno di ogni cristiano e di ogni cristiana, ma è un compito che supera le nostre possibilità. Solo la grazia divina fornita dallo Spirito Santo può aprire i cuori all’annuncio del Vangelo. Dobbiamo dunque pregare con fervore per ottenere il dono di Dio. Malgrado le prove e le difficoltà, la Chiesa del nostro tempo è fortemente segnata dal soffio dello Spirito. Numerose esperienze, vissute da alcuni fedeli nelle Chiese giovani, ma anche nei Paesi di antica civiltà cristiana come il vostro, sono la testimonianza della vitalità indistruttibile della Chiesa, secondo la promessa del suo fondatore a Pietro: “Le porte degli inferi non prevarranno contro di essa” (Mt 16, 18).

La preghiera, unendoci a Dio, facendoci partecipare al suo amore, ci dona forza e coraggio per l’azione. “Più che chiunque altro, colui che è animato da una vera carità è ingegnoso nello scoprire le cause della miseria, nel trovare i mezzi per combatterla, nel vincerla risolutamente” (Paolo VI, Populorum progressio, 75). È ancora la preghiera che vi renderà capaci di vedere dei fratelli e delle sorelle nelle persone alle quali portate l’assistenza tecnica o materiale: “Una popolazione intuisce subito se l’aiuto che vengono a portare è dato con passione oppure no, se sono lì semplicemente per applicare delle tecniche o non anche per dare all’uomo tutto il suo valore. Il loro messaggio rischia di non essere accolto, se non è accompagnato da uno spirito di amore fraterno” (Ivi, 71). Lo spirito d’iniziativa del vostro Paese, il coraggio e la generosità di cui il vostro popolo ha dato prova nel corso dei secoli, troveranno nel sostegno della preghiera un nuovo incentivo per i compiti del nostro tempo.

7. Nel nostro mondo lacerato dalle guerre e dalle controversie tra i popoli, minacciato dalla prospettiva di un terribile disastro nucleare, è ancora utile ricordare che la pace non è solo, come dice l’enciclica Pacem in terris “un’assenza di guerra, frutto dell’equilibrio sempre precario delle forze. Essa si costruisce giorno dopo giorno nell’adempimento della volontà di Dio, che comporta la giustizia più perfetta tra gli uomini” (Giovanni XXIII, Pacem in terris, 163). Così, i cammini di cooperazione missionaria sono anche i cammini della pace, perché avvicinano e uniscono gli uomini in uno sforzo comune di costruzione, in un movimento di autentica solidarietà.

8. Vi esorto dunque, fratelli e sorelle diletti, a continuare la vostra azione ispirata dallo zelo per il regno di Dio e la salvezza degli uomini, con uno slancio nuovo e una rinnovata fiducia nella missione della Chiesa. Fatelo con la preoccupazione di conservare, nella diversità dei compiti e degli impegni, l’unità dello Spirito. Tale unità è una condizione essenziale del successo dell’evangelizzazione, come Gesù stesso ci ha indicato nella sua preghiera al termine della sua vita: “Siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17, 21).

Popolo di Dio qui riunito, vogliamo concludere questo incontro fraterno cantando il “Padre nostro” nelle diverse lingue. Rivivremo così una sorta di nuova Pentecoste intorno a Maria, Stella dell’evangelizzazione, secondo la tanto felice espressione del mio venerato predecessore Paolo VI (Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 82). Gente di culture, di lingue diverse, tutti figli di uno stesso Padre che è nei cieli, apriremo tutti le nostre orecchie e i nostri cuori al linguaggio unico dello Spirito Santo. Egli ci insegnerà a spargere il seme della giustizia e dell’amore perché il regno di Dio arrivi, perché il suo nome sia santificato, perché ogni figlio di Dio, cioè ogni uomo, possa trovare il suo pane quotidiano, quello che nutre il corpo, quello che nutre le sue aspirazioni spirituali e sociali.

 

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