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VISITA PASTORALE NEI PAESI BASSI

INCONTRO ECUMENICO NELLA CATTEDRALE DI MECHELEN

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II

Belgio - Sabato, 18 maggio 1985

 

Cari fratelli e sorelle.

1. “Ora, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate i lontani siete diventati i vicini grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace . . . Per mezzo di lui possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito” (Ef 2, 13-14. 18).

Con immensa gioia accolgo queste parole dell’apostolo Paolo per scoprire in esse la nostra comune dignità e la responsabilità assegnata a ciascun battezzato: rendere più effettiva la vicinanza stabilita tra noi dal sangue di Cristo. Sono lieto di partecipare a questa celebrazione della parola di Dio, fatta di lode e di supplica, con tutti voi che rappresentate le diverse Chiese e comunioni cristiane del Belgio. Vi saluto tutti con fraternità e rispetto, “voi che siete concittadini dei santi e familiari di Dio” (Ef 2, 19). Ci fa bene venire per questi momenti di preghiera in questa cattedrale, simbolo della Chiesa locale di Malines-Bruxelles, e da secoli centro di comunione tra le diverse diocesi che compongono la Chiesa cattolica del vostro Paese. Proprio qui riposa, nell’attesa della risurrezione universale in Cristo, colui che, più di sessant’anni fa, ispirò l’attività ecumenica all’interno della Chiesa cattolica romana: il Cardinal Mercier. Con venerazione saluto la sua memoria e rendo grazie al Signore per i progressi che questo generoso servitore della Chiesa ha potuto permettere per ritrovare l’unità, mediante quelle “conversazioni di Malines” che segnano una data nella storia del movimento ecumenico. Ho dunque la gioia di compiere oggi un pellegrinaggio a un luogo significativo del ravvicinamento tra i cristiani.

2. A prima vista, il Belgio sembrava storicamente forse meno preparato a impegnarsi efficacemente nel dialogo ecumenico. Da secoli il cattolicesimo romano ha costituito per maggioranza numerica la sua tradizione religiosa. Una tale situazione avrebbe potuto portare a ridurre al minimo la ricerca di contatti con coloro che non condividono le convinzioni cattoliche. È dunque una grazia per la Chiesa e per il vostro Paese che il Signore abbia suscitato proprio qui tante valide iniziative per il lavoro dell’unità e abbia trovato collaboratori dinamici per animarle. Accanto al ruolo svolto dalla gerarchia ecclesiastica dopo il Cardinal Mercier, e in particolare nel quadro del Concilio Vaticano II, mi piace ricordare la parte che hanno avuto le comunità religiose sia sul piano dell’ecumenismo spirituale che della ricerca dottrinale. In prima linea, in questo campo, vi è noto il contributo particolare del Monastero di Amay-Chevetogne e l’impulso profetico che doveva dargli Dom Lambert Beauduin. Con la loro competenza scientifica, con la loro penetrazione dello sviluppo storico, con il loro amore alla Chiesa e la loro capacità di dialogo, i teologi belgi hanno operato a diversi livelli al servizio dell’ecumenismo, e noi conosciamo tutto ciò che i documenti del Vaticano II devono al loro intenso lavoro.

Regione industrializzata nel cuore dell’Europa occidentale, il vostro Paese ha accolto nel corso di decenni uomini e donne venuti da diversi Paesi alla ricerca di un lavoro o di uno spazio di libertà. In mezzo a loro, molti erano cristiani e alcuni appartenevano a tradizioni cristiane differenti. Non costituiva questo un invito a praticare una più larga ospitalità e ad avviare una cooperazione fraterna con altri discepoli dello stesso Signore? Questa presenza di un numero consistente di emigrati - specialmente in alcune regioni - e l’insediamento a Bruxelles di diversi organismi internazionali sono altrettanti fattori che hanno fatto crescere in voi la coscienza ecumenica.

3. Se rievoco, ahimè troppo brevemente, il contributo del Belgio all’opera di ricostruzione dell’unità cristiana, lo faccio perché voi rimaniate fedeli a un tale passato e per invitarvi a proseguire insieme, e ciascuno al suo posto, questo impegno ecumenico. Non è questo forse uno dei frutti più considerevoli del Concilio Vaticano II? Come dicevo a Ginevra l’anno scorso, in occasione della mia visita al Consiglio ecumenico delle Chiese, “dall’inizio del mio ministero come Vescovo di Roma, ho insistito sul fatto che l’impegno della Chiesa cattolica nel movimento ecumenico era irreversibile e che la ricerca dell’unità era una delle sue priorità pastorali” (Giovanni Paolo II, Allocutio ad Consilium Oecumenicum Ecclesiarum in urbe “Ginevra” habita, 1, 12 giugno 1984: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VII/1 [1984] 1685). Più recentemente ancora, nell’esortazione apostolica Reconciliatio et paenitentia, ho sottolineato l’urgenza di questo compito e le modalità della sua attuazione: “La Chiesa di Roma . . . cerca un’unità che, per esser frutto ed espressione di vera riconciliazione, non intende fondarsi né sulla dissimulazione dei punti che dividono, né su compromessi tanto facili quanto superficiali e fragili. L’unità deve essere il risultato di una vera conversione di tutti, del perdono reciproco, del dialogo teologico e delle relazioni fraterne, della preghiera, della piena docilità all’azione dello Spirito Santo, che è anche Spirito di riconciliazione” (Giovanni Paolo II, Reconciliatio et paenitentia, 9).

4. Senza dubbio incontriamo diverse difficoltà che intralciano la nostra strada, che fanno nascere lo scoraggiamento e talvolta fanno dubitare del risultato dei nostri sforzi. In certe ore, il Signore ci fa sentire la pesantezza dell’impresa, affinché non riponiamo la nostra fiducia nelle nostre sole forze, ma nella potenza della sua grazia e nell’azione del suo Spirito. Il progresso stesso delle nostre relazioni ci rende più sensibili alle divisioni che feriscono il corpo della Chiesa, alla pesantezza della storia, alla permanenza di polemiche e di comportamenti poco gloriosi da parte dei cristiani. Nonostante questi ostacoli, nonostante la povertà della nostra fede, noi dobbiamo rispondere all’appello evangelico e continuare a “cercare lealmente, con perseveranza, con umiltà e anche con coraggio, le vie di avvicinamento e di unione” (Giovanni Paolo II, Redemptor hominis, 6).

È qui in gioco la nostra fedeltà al Cristo che “in se stesso ha distrutto l’inimicizia” (Ef 2, 16), ma anche la nostra adesione a quella che fu l’intuizione dei primi artefici dell’ecumenismo: l’annuncio stesso del Vangelo esige la testimonianza comune di tutti i discepoli del Signore. Il vostro Paese, al pari di molti altri, si trova a dover affrontare una profonda crisi spirituale. Voi dovete accogliere la sfida della trasmissione della fede alle giovani generazioni e al mondo nuovo contrassegnato dalle conquiste tecnologiche. Questi problemi si pongono a tutte le confessioni cristiane, essi chiamano in causa i responsabili e i membri di tutte le Chiese. Come non sentire l’obbligo di incontrarci e di metterci in sintonia per rendere conto, tutti insieme e con un unico cuore, della speranza che è in noi?

5. La riflessione e l’azione della Chiesa cattolica sono ispirate e stimolate dagli orientamenti che il Concilio Vaticano II ha dato nel decreto sull’ecumenismo. In quel testo i cattolici vengono esortati - e sono certo che questo è anche il vostro desiderio - a valorizzare tutto quanto ci è comune e a prendere sempre più coscienza delle ricchezze e del dinamismo del nostro Battesimo. So che avete preparato un documento sul riconoscimento reciproco del Battesimo, come legame di unità e punto di partenza per una comunione sempre più profonda.

Il Battesimo è segno dell’alleanza tra Dio e l’umanità, pegno dell’amore fedele e misericordioso del Salvatore. Esso è il frutto del sacrificio del Cristo: sulla croce Cristo ha eretto tra cielo e terra il segno indelebile dell’alleanza tra Dio e l’insieme degli uomini (cf. “Preghiera Eucaristica della Riconciliazione”, n. 1), così come Dio aveva dato a Noè, nell’arcobaleno e nella nube, il segno della sua alleanza con tutta la creazione (cf. Gen 9, 8. 12. 16). Il Battesimo crea fra tutti coloro che lo ricevono una solidarietà più forte di tutte le divisioni, perché è sorgente permanente di vita, di guarigione e di rigenerazione. È infatti il Battesimo che ci rende tutti capaci di dire in verità e con un medesimo cuore la preghiera dei figli di Dio, il “Padre Nostro”, che costituisce il tema principale della mia visita pastorale nel vostro Paese.

Grazie al lavoro delle vostre commissioni ecumeniche, agli incontri e scambi tra le comunità locali, voi avete potuto compiere molteplici progressi nello studio comune delle Scritture, nella pastorale dei matrimoni misti e dell’accostamento dei malati. Avete dato prova di spirito di ospitalità e di aiuto reciproco verso comunità povere di numero e sprovviste di luoghi di culto o di riunione. Di tutto questo e di molte altre applicazioni concrete dell’ecumenismo, rendo grazie al Signore per voi e con voi.

6. Questa collaborazione tra discepoli del Cristo deve continuare e trovare nuovi campi d’applicazione. Abbiamo davvero messo in atto tutte le possibilità che, per i cattolici, segnalava il decreto conciliare (Unitatis redintegratio, 12) e quelle indicate dai documenti di altre Chiese e comunità ecclesiali? Oggi, nel vostro Paese, siete posti di fronte al dramma di nuove forme di povertà create dalla situazione economica. Da molte regioni del mondo, inoltre, vi giungono appelli per porre rimedio alla miseria di vostri fratelli, per favorire la loro promozione umana, per sostenere la loro aspirazione alla giustizia e alla pace. Vi giunge il grido di coloro che vedono calpestata la loro dignità e ignorati i loro diritti. Non sono, questi, campi privilegiati per un’azione comune? La vostra situazione privilegiata nel cuore dell’Europa occidentale vi invita anche a non trascurare la vostra responsabilità nella costruzione dell’Europa. È un compito dal quale non può essere assente la dimensione cristiana. In questo anno nel quale celebriamo la memoria dei santi Cirillo e Metodio, patroni dell’Europa insieme con San Benedetto, voi non dimenticherete tutto ciò che rappresentano quei due apostoli dei Paesi slavi. Essi sono il simbolo della seconda componente dell’Europa, della sua cultura, del suo apporto specifico alla fede cristiana, delle sue sofferenze, delle sue lotte e delle sue speranze.

Molto lavoro resta da compiere, ci sono occasioni da non perdere, grazie da non trascurare per rispondere a ciò che il Signore attende da tutti e da ciascuno dei battezzati. Oggi, grazie al lavoro indefesso dei teologi e ad un paziente ascolto reciproco, abbiamo a disposizione documenti dottrinali che permettono un migliore avvicinamento delle divergenze e dei punti comuni. È importante che tutte le Chiese si interessino a questa dimensione teologica del dialogo ecumenico e suscitino un esame leale e serio di queste crescenti convergenze.

7. Nel terminare questa allocuzione, vorrei invitarvi a non perdere di vista l’importanza dell’ecumenismo spirituale. Nella misura in cui la Chiesa diverrà più fedele a Gesù Cristo, suo Signore, più trasparente alla sua presenza e alla sua azione, essa diverrà più autenticamente la Chiesa. In questa tensione continua verso una comunione più perfetta tra le Chiese, il nostro punto di riferimento sia costantemente questa conformità al Cristo, questa ecclesiologia centrata su Gesù Cristo! È precisamente quanto auspicava già il mio venerato predecessore, il papa Paolo VI, il 14 settembre 1964, all’apertura della terza sessione del Concilio: “La Chiesa desidera con ardore essere tutta intera del Cristo, nel Cristo e per il Cristo; tutta intera ugualmente degli uomini, tra gli uomini e per gli uomini, come un’umile e gloriosa mediazione tra il Salvatore e l’umanità” (Paolo VI, Allocutio tertia SS. Concilii Oecumenici Vaticani II periodo ineunte habita, 14 settembre 1964: Katholiek Archief, 1964, Kol. n. 56).

La lettura evangelica dell’avvenimento della Trasfigurazione ci ha fatto ascoltare la raccomandazione di Dio nostro Padre: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo” (Lc 9, 35). Più che mai le Chiese e ciascun cristiano sono invitati a lasciarsi istruire, trasformare, trasfigurare da colui che è il nostro principio, la nostra via, la nostra guida, la nostra speranza e il nostro fine.

 

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