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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
ALL'INAUGURAZIONE DELLA MOSTRA
«DANTE IN VATICANO»

Giovedì, 30 maggio 1985

 

Carissimi artisti.

1. Siate i benvenuti. La vostra affettuosa presenza mi reca una grande gioia. Con le vostre incisioni della Divina Commedia mi offrite un modo di vedere e di sentire il grande poema attraverso la verità e la bellezza delle immagini. Vi ringrazio con tutto il cuore.

Nel tempo di una civiltà visiva che affida i suoi messaggi alla rapidità del comunicazioni con i mass media, la poesia potrebbe sembrare lontana dalla realtà. Eppure il mondo dantesco medievale ha potuto passare in voi, nella vostra coscienza; voi lo avete vissuto spiritualmente per poterlo donare, un’altra volta, attraverso il valore delle forme artistiche.

Possiamo leggere così Dante, in queste vostre felici intuizioni, come un’esortazione a godere di una realtà visualizzata, che parla della vita dell’oltretomba e del mistero di Dio con la forza propria del pensiero teologico, trasfigurato dallo splendore dell’arte e della poesia, insieme congiunte.

Voi, cari artisti, avete certamente sentito i richiami di una storia perenne che riaffiora, oggi, con nomi diversi, e per questo vi siete avvicinati a Dante, vedendo rispecchiato in lui il nostro mondo attuale e le nostre speranze. Dante lottò per la giustizia, non l’ottenne dagli uomini, la chiese a Dio; la sua fede lo sostenne nel suo viaggio terreno, nonostante l’esilio e le condanne.

2. Vedrò tra poco, cari artisti, questa esposizione che la Casa di Dante con i suoi Consiglieri, seguendo le sue nobili tradizioni di cultura, ha desiderato allestire in un ambiente così solenne. Compirò anch’io un viaggio tra la desolazione della città del fuoco, attraverso l’espiazione liberatrice dalle colpe, fino alla suprema gioia della “candida rosa”.

Senza dubbio il poema dantesco, come racconto, richiama le composizioni dell’arte medievale. Si tratta di simboli e di allegorie per chiarire i concetti. La sostanza è teologicamente vera, ispirata alle Sacre Scritture, alle considerazioni dei Padri e dei teologi; le forme sono quelle del tempo, che tentava con ogni mezzo la didascalia sacra, il contatto con il popolo. Era una predicazione popolare, che aveva bisogno d’innalzarsi alla dignità dell’arte sulla facciata delle cattedrali, negli affreschi dell’abside, negli archi di trionfo. Dante fu coinvolto da questo racconto teologico, e trovò la parola, che proveniva dalla sua diretta esperienza, per chiarire nella forma narrativa il distacco dalle cose vane e peccaminose della terra e la purezza sublime delle grandi prospettive della fede.

3. C’è un’indicazione preziosa che fa parte dell’ascesi cristiana, e che in italiano trova espressione in un verbo molto efficace: “transumanare”. Fu questo lo sforzo supremo di Dante: fare in modo che il peso dell’umano non distruggesse il divino che è in noi, né la grandezza del divino annullasse il valore dell’umano. Per questo il Poeta lesse giustamente la propria vicenda personale e quella dell’intera umanità in chiave teologica; per questo spiritualizzò il sistema planetario, vide i cieli come narratori privilegiati della gloria di Dio, inondò di luce le balze del Purgatorio e i cieli del Paradiso. La luce, in particolare: tutto il Medioevo parlò della luce, cercò la luce nello splendore dei mosaici per la vibrazione delle tessere musive, volle una luce diversa nelle chiese per mezzo delle celebri vetrate istoriate.

Quanti personaggi, peccatori e santi, quante vicende storiche, quante sofferenze e gioie e speranze si affacciano nelle tre Cantiche!

Quanti problemi di filosofia e di teologia! Quanti ritorni in terra per collegare l’aldilà con l’umana esperienza! Voi artisti avete voluto rendere, con immediata concretezza, la realtà spirituale e fantastica del poema, come meditazione, contemplazione, amore supremo, consegnando le vostre intuizioni a queste acqueforti che ora sono offerte al nostro godimento.

Possa chi le guarda sentirsi interiormente stimolato a ripercorrere il cammino di Dante, con lui risalendo, oltre la “picciola vigilia d’i nostri sensi” (Dante Alighieri, La Divina Commedia, “Inferno”, XXVI, 114), fino alla contemplazione de “l’Amor che muove il sole e l’altre stelle” (Ivi, “Paradiso”, XXXIII, 145).

Con questo augurio, impartisco a voi e ai vostri familiari la mia affettuosa Benedizione.

 

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