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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE
DI MALAYSIA-SINGAPORE-BRUNEI

Castel Gandolfo - Venerdì, 6  settembre 1985

 

Miei cari Fratelli in Cristo.

1. La nostra celebrazione di fede e di comunione ecclesiale nel corso della vostra visita a Roma culmina in questo giorno odierno in cui ci raccogliamo insieme come fratelli nel ministero episcopale. Le parole che rivolgo a voi echeggiano quelle di San Paolo: “Ringrazio il mio Dio ogni volta ch’io mi ricordo di voi, pregando sempre con gioia per voi in ogni mia preghiera, a motivo della vostra cooperazione alla diffusione del Vangelo dal primo giorno fino al presente” (Fil 1, 3-5).

La vostra presenza a Roma per pregare presso le tombe dei Santi Pietro e Paolo manifesta il vostro desiderio di rafforzare i vincoli di unità collegiali che vi legano al Successore di Pietro. Per parte mia, vi do il benvenuto con affetto fraterno nel Signore Gesù e desidero comunicarvi la mia partecipazione alle vostre gioie e alle vostre preoccupazioni di ministri dei misteri di Dio e Pastori della Chiesa in Malaysia, Singapore e Brunei.

2. Gesù Cristo è colui che “per opera di Dio è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione” (1 Cor 1, 30). Egli si è incarnato per redimere la razza umana. Come Figlio di Dio, non ha avuto altro scopo che quello di adempiere alla volontà del Padre: “Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera” (Gv 4, 34). Inoltre egli ha voluto farci partecipi della sua figliolanza divina e ci ha dato la possibilità di arrivare a comprendere il mistero della paternità di Dio e di esclamare: “Abba! Padre” (cf. Rm 8, 16). Questa grazia della filiazione divina ci incoraggia ad avere lo stesso atteggiamento di Cristo verso il Padre celeste: ci incoraggia cioè ad impegnare tutto il nostro cuore e la nostra vita al servizio di Dio. Noi lo serviamo non con cuore di schiavi ma con cuore di figli, che rispondono alla chiamata del Signore con dedizione, generosità e gioia.

Nello stesso tempo, quali figli di Dio siamo uniti da un vincolo che ha implicazioni per i nostri reciproci rapporti. San Paolo afferma: “Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più né uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3, 27-28).

L’unità in Cristo significa un’uguaglianza che oltrepassa le ovvie differenze di capacità fisica e di qualità intellettuali e morali. Noi siamo creati a immagine di Dio; abbiamo la stessa natura e la stessa origine e, essendo redenti da Cristo, abbiamo la stessa vocazione e lo stesso destino divino. La nostra solidarietà di fratelli e sorelle nell’unico Signore trascende le divisioni culturali, razziali ed etniche poiché Cristo ci ha comunicato il mistero della volontà di Dio “di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra” (Ef 1, 10).

L’unità che condividiamo in Cristo ha un’importanza universale, ma ha rilevatura particolare in quelle circostanze in cui differenze culturali ed etniche possono oscurare la luce della verità proclamata da Cristo e il suo messaggio di salvezza. Desidero offrire il mio incoraggiamento a voi, pastori e maestri, per tutto ciò che avete fatto e continuate a fare per richiamare il popolo di Dio delle vostre rispettive diocesi a una sempre maggiore unità in Cristo.

3. I vostri sforzi per l’evangelizzazione, per la proclamazione del messaggio di Cristo “in ogni occasione opportuna e non opportuna” (cf. 2 Tm 4, 2), meritano anch’essi particolare lode. La luce di Cristo deve risplendere perché tutti vedano e i suoi raggi di speranza raggiungano i più lontani angoli della terra. Dunque l’opera di evangelizzazione è una sfida costante, che non è estranea ad alcun ambiente sociale o culturale.

La Chiesa offre alle persone di ogni età la buona novella del mistero di salvezza e la possibilità di partecipare alla vita del nostro Dio uno e trino. Essa lo fa radicandosi tra quelle persone, assumendo in sé, per quanto sono buone, le capacità, le risorse e le abitudini di ogni popolo, che essa a sua volta purifica, rafforza e nobilita. La Chiesa stabilisce rapporti di rispetto e di amore con ogni popolo e, attraverso un sincero dialogo, profondamente pervaso dallo Spirito di Cristo, può penetrare nei cuori non ancora marcati dal segno della fede e condurli gradualmente alla luce del Vangelo (cf. Ad gentes, 11).

Luminosi esempi di questo spirito sono stati gli apostoli degli slavi, i santi Cirillo e Metodio, la cui opera di evangelizzazione ho recentemente commemorato con la mia Enciclica Slavorum Apostoli. Riferendomi a quei grandi missionari ho scritto: “La loro scelta generosa di identificarsi con la stessa loro vita e tradizione, dopo averle purificate e illuminate con la rivelazione, rende Cirillo e Metodio veri modelli per tutti i missionari che nelle varie epoche hanno accolto l’invito di San Paolo di farsi tutto a tutti per riscattare tutti” (Giovanni Paolo II, Slavorum Apostoli, 11).

A questo riguardo, sono consapevole che i vescovi della Malaysia sono impegnati nello studio dei metodi per introdurre la lingua malese nella sacra liturgia. È una materia che necessita della vostra attenzione sollecita e paziente.

In questo stesso contesto desidero esprimere la mia sentita gratitudine a tutti i ministri del Vangelo nelle vostre terre. Parlo dei numerosi missionari pieni di dedizione – e io conosco le difficoltà e le sfide che devono affrontare – così come dei sacerdoti locali, dei religiosi e delle religiose e dei catechisti laici che si prodigano affinché il seme della parola di Dio si radichi, fiorisca e cresca robusto. I loro instancabili sforzi per costruire il regno meritano la nostra ammirazione e il nostro profondo apprezzamento. Soltanto il Signore può ricompensarli adeguatamente.

4. Desidero lodare anche i vostri sforzi per la pubblicazione, lo scorso anno, della Lettera pastorale congiunta sul ruolo della Chiesa nell’edificazione di una sempre più solidale identità nazionale tra il vostro popolo. La Chiesa, in ragione del suo ruolo unico e della sua competenza, non si identifica con nessun sistema politico. Così essa è insieme il segno e la salvaguardia della dimensione trascendente della persona umana (cf. Gaudium et spes, 76). Questo ruolo sublime la spinge a contribuire al bene di ogni nazione promuovendo tutto ciò che favorisce il benessere, la vocazione personale e il destino di ogni individuo. La Chiesa ha compiuto tutto ciò nei vostri Paesi in molti modi, specialmente nei campi dell’assistenza sanitaria, del lavoro sociale e dell’educazione.

I singoli cristiani dovrebbero inoltre impegnarsi ad essere sempre più consapevoli del loro ruolo nella comunità politica e ad essere patrioti generosi e leali. Dovrebbero essere esempio di senso di responsabilità e di dedizione al bene comune (cf. Ivi, 75). In modo particolare, i giovani dovrebbero essere incoraggiati a prendere parte attiva nella vita e nello sviluppo della loro nazione. Ripeto ai giovani di Malaysia, Singapore e Brunei ciò che ho scritto nel messaggio per la Giornata mondiale della pace di quest’anno: “Vi invito tutti, giovani del mondo, ad assumere la vostra responsabilità in questa che è la più grande delle avventure spirituali, cui una persona può andare incontro: costruire la vita umana, come individui e nella società, nel rispetto per la vocazione dell’uomo... Per tutto il tempo della vostra vita, voi dovete affermare e riaffermare i valori che formano voi stessi e formano il mondo: sono i valori che favoriscono la vita, che riflettono la dignità e la vocazione della persona umana, che costruiscono il mondo nella pace e nella giustizia” (Giovanni Paolo II, Nuntius scripto datus ob diem ad pacem fovendam Calendis Ianuariis a. 1985 celebrandum, 10, 8 dicembre 1985: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VII/2 [1984] 1559).

5. Fratelli miei, quanto desidero esprimervi la mia unità spirituale con voi e con tutti coloro che collaborano con voi nella nostra comune partecipazione al Vangelo! Vi incoraggio a impegnarvi per una sempre maggiore unità tra di voi e ad essere vigilanti nel preservare l’unità con la Chiesa universale. Come ho ricordato in un altro contesto: “Per la piena cattolicità, ogni nazione, ogni cultura ha un proprio ruolo da svolgere nell’universale piano di salvezza. Ogni tradizione particolare, ogni Chiesa locale deve rimanere aperta e attenta alle altre culture e tradizioni e, nel contempo, alla comunione universale e cattolica; se rimanesse chiusa in sé, correrebbe il pericolo di impoverirsi anch’essa” (Giovanni Paolo II, Slavorum Apostoli, 27).

Sono molto lieto di salutare ognuno di voi, le guide delle vostre Chiese locali. Offro i miei migliori auguri per l’attività del nuovo presidente e dei responsabili della Conferenza episcopale, specialmente nel momento in cui intraprendete l’importante compito di preparare la vostra Guida pastorale regionale. Rivolgo una particolare parola di benvenuto all’Arcivescovo Emerito di Kuala Lumpur, Dominic Vendargon, che si è unito a voi in questo pellegrinaggio a Roma.

Fisicamente assente in mezzo a noi ma presente in modo particolare nei nostri pensieri e nelle nostre preghiere è il Vescovo Simon Fung della Diocesi di Kota Kinabalu. La sua malattia, che egli ha accettato nella fede e nella fiducia nei disegni provvidenziali del Signore, ci aiuta a ricordare che nessuno di noi vive per se stesso, poiché “se noi viviamo, viviamo per il Signore; se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore” (Rm 14, 8-9).

Affido il vescovo Fung e tutti voi alla protezione amorevole della Madre di Dio, Maria Santissima, che vigila sui sacerdoti, le suore, i religiosi e i laici della vostra diocesi con sollecitudine particolare. Gesù, suo Figlio, vi sostenga nella sua grazia e nel suo amore mentre proseguite nel proclamare il suo messaggio con incrollabile speranza e costante gioia. A tutti voi imparto di cuore la mia apostolica benedizione.



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