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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AD UN GRUPPO DI PELLEGRINI SICILIANI

Lunedì, 30 settembre 1985

 

1. Sono sinceramente lieto di questo mio incontro con voi, carissimi siciliani, per un duplice motivo: anzitutto perché il vostro è un pellegrinaggio regionale alla tomba del patrono d’Italia, San Francesco d’Assisi; inoltre perché la vostra presenza mi riporta alle indimenticabili giornate della mia visita pastorale nella valle del Belice e a Palermo, nel novembre del 1982.

Esprimo il mio apprezzamento a Monsignor Salvatore Cassisa, Arcivescovo di Monreale, e al Signor Presidente della Regione che ringrazio per le loro amabili parole; porgo il mio saluto ai Vescovi della Sicilia, al Sindaco di Palermo e ai Sindaci degli altri Comuni siciliani, e a tutti i presenti, con particolare pensiero al Movimento francescano.

Quest’anno la Sicilia ha l’onore di offrire, a nome di tutti i Comuni d’Italia, l’olio per la lampada che arde davanti alla tomba di San Francesco. Il gesto che voi siete stati incaricati di compiere, a nome di tutti gli Italiani, ha un ricco significato spirituale e sociale: quella lampada ininterrottamente accesa esprime non solo la venerazione e la devozione del popolo italiano per il suo celeste Protettore, ma anche e soprattutto il valore sempre attuale, luminoso e ardente, della sua vita e del suo insegnamento, che apparvero ai suoi contemporanei un’autentica imitazione di Nostro Signore Gesù Cristo.

Fin dalla sua giovinezza Francesco cercò di dare un senso esaltante alla sua vita; e comprese, non senza divina ispirazione, che non doveva lasciare il Signore per il servo; Dio, così ricco, per l’uomo così povero (cf. S. Bonaventura, Legenda Maior, I, 3), cioè che sarebbe stato più bello servire Dio anziché i potenti del mondo. Per questo, contemplando l’estrema degradazione di Cristo sulla croce, egli pensò di “sposare” Madonna Povertà, che egli chiamava “la donna più nobile e bella”, che i suoi amici avessero fino allora potuto vedere. La “mirabile vita” di Francesco fu un crescendo straordinario di spoliazione fisica e materiale e, in contraccambio, di arricchimento interiore e soprannaturale. Il suo messaggio, che ripeteva ai singoli e alle folle, più con la vita che con le parole, era apparentemente semplicissimo, ma coinvolgeva tutte le energie degli ascoltatori: “Pace e bene!”.

Anche oggi questo ideale francescano si insinua e penetra nelle intelligenze e nei cuori dell’uomo contemporaneo con la forza della sua origine evangelica.

Non si possono leggere senza emozione i particolari del pio transito di Francesco, come ci sono riferiti da San Bonaventura: “Disteso sulla terra . . . dopo aver deposta la veste di sacco sollevò la faccia al cielo . . . mentre con la mano sinistra copriva la ferita del fianco destro, che non si vedesse . . . E disse ai frati: Io ho fatto la mia parte; la vostra, Cristo ve la insegni” (Ivi, XIV, 3).

Anche a noi Francesco d’Assisi rivolge tali parole di ammonimento!

2. Questo nostro incontro mi riporta alla memoria la visita compiuta al Belice e a Palermo, quando ho potuto incontrare e parlare a tante categorie di persone dei grandi e gravi problemi della vostra isola, problemi che ancora permangono e che potranno essere risolti con un profondo rinnovamento delle coscienze e con l’impegno comunitario che faccia argine a un certo malcostume e alla vile violenza senza volto, che sa seminare solo morte, sangue e lutti.

Il mio affettuoso pensiero va a voi qui presenti, ai vostri cari, ai siciliani tutti, e in particolare ai giovani, per ribadire il mio invito al coraggio e alla speranza cristiana, per costruire un futuro e una società nuovi, in cui ci sia giustizia, lavoro e serenità per tutti.

Per questo occorre essere capaci di testimoniare con la vita quelle certezze che provengono dall’adesione a Cristo e alla Chiesa.

E vorrei concludere questo breve incontro con le ultime parole che rivolsi proprio ai giovani in piazza Politeama, a conclusione del mio viaggio pastorale: “Grazie! Arrivederci! Sia lodato Gesù Cristo!”.

Con la mia Benedizione Apostolica. 



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