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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI AL SIMPOSIO DEL CONSIGLIO
DELLE COMMISSIONI PRESBITERIALI EUROPEE

Giovedì, 10 aprile 1986

 

Cari fratelli nell’episcopato, cari fratelli nel sacerdozio.

1. Siate benvenuti nella casa del Papa. Sono felice di accogliervi qui nel corso dei lavori del quinto Simposio del Consiglio delle Commissioni presbiteriali europee. La prima testimonianza che noi dobbiamo dare non è quella di una comunione ecclesiastica profonda - del pensiero, del cuore, della preghiera - tra i sacerdoti e i vescovi attorno al successore di Pietro?

L’iniziativa che i sacerdoti dei Consigli presbiteriali d’Europa hanno preso volendo questi scambi e queste riflessioni in comune aveva certamente bisogno di maturare, in quel senso, per servire veramente la Chiesa, secondo gli orientamenti fondamentali espressi dal Concilio Vaticano II e dal magistero ordinario. In queste condizioni le vostre assemblee possono portare il loro contributo alla grande opera dell’evangelizzazione nella quale sono coinvolti in primo luogo i vescovi, successori degli apostoli, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e laici, ciascuno secondo la propria responsabilità e competenza, ma sempre nello stesso Spirito, nell’unità del corpo di Cristo.

Quest’anno avete abbordato un tema che mi sta a cuore: “Il sacerdote e i giovani nell’Europa secolarizzata”. È a questo tema, lo sapete, che avevo consacrato la mia lettera ai sacerdoti di tutta la Chiesa il Giovedì Santo 1985, così come quest’anno ho messo sotto i loro occhi il modello del curato d’Ars interamente dedito alla salvezza delle anime. Noi dobbiamo fare nostro questo zelo per la fede e la salvezza dei giovani con la grazia di Dio.

2. Non posso dilungarmi sulle cause della scristianizzazione dei giovani in Europa. Questo sarà in parte il frutto delle vostre analisi. Voi scruterete, per quanto riguarda i giovani, le difficoltà a credere, a pregare, a vivere nella Chiesa, a conformare la loro vita ai costumi evangelici; e allo stesso tempo gli aspetti positivi, le ammorsature, le aspirazioni religiose in questo mondo secolarizzato. Sapete che i vescovi d’Europa hanno affrontato un tema simile riguardante l’evangelizzazione in generale, nel loro sesto simposio, nell’ottobre scorso. Gli interventi, tra gli altri, del cardinal Danneels, del cardinal Hume e la mia allocuzione hanno posto dei punti basi al fine di rispondere alla sfida dei differenti ateismi, che sono essi stessi colpiti da debolezza ma imbevono ancora profondamente le mentalità, almeno nella vita pratica, costituendo ostacoli, tentazioni, dubbi da superare.

Eppure le generazioni si evolvono. E i giovani la cui sorte umana e spirituale vi preoccupa come sacerdoti, sembrano molto differenti dagli adulti che raggiungono ora la quarantina e hanno conosciuto il movimento di rimessa in questione generale del 1968. Essi sono spesso in sincera ricerca di vere ragioni per vivere, provano una grande desiderio di luce, di senso di solidarietà, di dedizione, pur conoscendo i ripiegamenti su di sé, i dubbi, le fragilità.

3. I nostri contatti con loro rappresentano una parte importante del nostro ministero, come dicevo nella mia lettera del Giovedì Santo dello scorso anno. Dobbiamo essere con loro suscitando confidenza e amicizia per accogliere i loro problemi fondamentali, le loro questioni di coscienza, per raggiungerli, così come sono, con le loro qualità e i loro difetti. La nostra testimonianza presso di loro non deve però essere demagogica, artificiale: deve essere il frutto della nostra maturità spirituale, della nostra preghiera, della nostra unione con Cristo che noi rappresentiamo loro. Noi non dobbiamo fare schermo a Dio: “Dio solo è buono”. Dobbiamo saper ascoltare e saper rispondere secondo la verità del Vangelo, con lealtà e pazienza senza scappatoie, preoccupati di suscitare in loro - con lo Spirito Santo che agisce in essi - il desiderio del bene, dell’amore autentico, di una vera libertà, della fede. Con quale profondità e con quali esigenze occorre amare i giovani! Se il contatto pastorale ha sempre un aspetto personale, si indirizza all’altro chiamandolo per nome per fargli scoprire la buona novella e ricercare la sua salvezza, mira inoltre a farlo uscire da se stesso, a situarlo in una comunità di credenti e a renderlo attivo e missionario in questa comunità.

4. Diciamo che è importante raggiungere i giovani al cuore delle loro preoccupazioni di vita pienamente umana, nel loro bisogno di compiutezza corporea, intellettuale, spirituale in cui il lavoro, lo sport, il tempo libero, l’amicizia, la dedizione sociale hanno una larga parte. Penso anche ai valori umani fondamentali di libertà autentica, di giustizia, di solidarietà secondo i termini del recente documento della Congregazione per la dottrina della fede! L’azione cattolica, dopo il Concilio Vaticano II (cf. Gaudium et Spes), ha insistito su questa educazione di tutto l’uomo e sul suo impegno nel mondo, senza essere del mondo.

Ma i valori propriamente religiosi devono essere ricercati e coltivati direttamente. Non esitiamo a puntare sulle capacità di fede, di preghiera, di relazione autentica con Dio, del servizio di Dio che i giovani portano in se stessi e che d’altronde si manifesta oggi con più spontaneità e senza complessi. Non si dice spesso che c’è un ritorno del religioso? Bisogna scegliere questa opportunità, diciamo piuttosto questa grazia del nostro tempo. È partendo da Gesù Cristo, dal suo Vangelo che potrà meglio trasformare secondo il suo Spirito tutte le sfere della vita umana, suscitare i migliori impegni di giustizia, di pace, di carità. Si tratta di far crescere in questi giovani la vita divina che essi hanno ricevuto, e che nutriranno con la meditazione del Vangelo, la preghiera, i sacramenti, l’amore fraterno. È in questo contesto che si sveglieranno le vocazioni sacerdotali e religiose di cui la Chiesa ha tanto bisogno. Non mancano i giovani che pensano un giorno o l’altro di consacrare al Signore le loro forze e il loro cuore!

5. In definitiva crediamo che questi giovani siano capaci di un attaccamento personale a Gesù Cristo. Non separiamo lo Spirito Santo, di cui molti riscoprono la presenza nella loro vita, dalla persona di Gesù Cristo. Non separiamo Gesù Cristo dalla persona del Padre che egli è venuto o rivelare con tutta la sua vita e il suo insegnamento. E non separiamo Gesù Cristo dalla sua Chiesa che è il suo corpo. Insegniamo ai nostri giovani ad amare la Chiesa, come segno e strumento della grazia di Cristo, come la comunità che vive il mistero di Cristo. Essa lo fa con le sue debolezze e i suoi limiti, ma anche nella gioia dell’amore fraterno. Non lasciamo che i nostri giovani vedano nella Chiesa soltanto il lato istituzionale che la società attuale ha troppo spesso insegnato loro a contestare. Cerchiamo di essere umili e realisti ma non proiettiamo su di essi i dubbi e le critiche degli adulti. Possano comprendere che sono la Chiesa! Possano comunicarsi al nostro amore di Cristo e al nostro amore della Chiesa.

6. La Chiesa è comunione. Il recente Sinodo dei vescovi l’ha messo bene in luce. La prima testimonianza che noi possiamo darne è quella dell’unità del presbiterio - dei sacerdoti uniti tra loro attorno ai loro vescovi dei quali essi sono i collaboratori - è quella della collegialità dei vescovi uniti tra loro attorno al Vescovo di Roma. Una comunione profonda, nell’amore reciproco elargito alle dimensioni della Chiesa universale, in una preghiera solidale, ma anche nell’adesione alla stessa fede, nell’accoglienza delle stesse esigenze etiche, nell’accettazione della disciplina comune all’insieme della Chiesa che i dicasteri romani hanno la missione di salvaguardare e promuovere. È all’interno di questa unità sostanziale che ogni Chiesa locale, ogni pastore può e deve cercare le vie più adatte per toccare i nostri contemporanei, presentare il messaggio evangelico, spianare il cammino della fede e della conversione, orientare verso un’azione concreta al servizio della Chiesa e della società. C’è posto per ogni tipo di iniziativa che il vostro cuore di pastori saprà trovare in armonia con i vostri confratelli, e in comunione con il vostro vescovo, con la Santa Sede, con la Chiesa universale.

In questo spirito, vi esprimo tutti i miei incoraggiamenti. Di tutto cuore benedico voi e i sacerdoti dei Consigli presbiteriali che rappresentate.

 

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