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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DELL
E MARCHE
IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»

Venerdì, 16 maggio 1986

 

Amatissimi fratelli della Conferenza episcopale delle Marche!

1. Grande e profonda è la mia gioia nell’incontrarvi tutti insieme dopo la visita personale che avete compiuto “ad limina Apostolorum”; posso così rinnovare il mio cordiale saluto a voi e alle vostre diocesi, ricordando in modo speciale i sacerdoti, che sono i vostri diretti e indispensabili collaboratori, i religiosi e le religiose, i laici, che vi aiutano nell’opera di evangelizzazione e nell’impegno della testimonianza.

Desidero esprimervi il mio vivo compiacimento per quanto avete realizzato e state realizzando nella vostra comunità, il cui centro principale di accoglimento e di irradiazione è certamente il santuario della Madonna di Loreto, nel quale ho avuto la consolazione di recarmi l’8 settembre 1979 e poi l’anno scorso, l’11 aprile, per il secondo convegno della Chiesa Italiana. La regione delle Marche ha tradizioni cristiane molto antiche e assai profonde, che si esprimono in sentite, genuine manifestazioni religiose e civili. È un patrimonio ricco di valori, che - come appare dalle vostre relazioni - voi cercate di mantenere, difendere, dilatare, approfondire, vivificare.

Il mio predecessore Paolo VI, ricevendovi dieci anni fa, vi esortava a “conservare e a rinnovare”, raccomandandovi “l’apostolato della fedeltà e l’apostolato della novità”. (Insegnamenti di Paolo VI, XV [1977] 268) E io stesso cinque anni fa sottolineavo la necessità di instancabilmente proporre e di richiamare con impegno profetico il primato della vita spirituale: “Infatti - dicevo - è in gioco il bene dell’uomo, che solo Cristo aiuta ad essere più uomo”. (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IV, 2 [1981] 835) Insieme con voi vorrei ringraziare il Signore per quanto, con la sua assistenza, avete potuto realizzare, compiacendomi per l’impegno che vi anima. Tuttavia, come voi stessi avete fatto notare, anche nella vostra bella e cara Regione si fa sentire - come in tutto il mondo - la crisi circa i valori fondamentali dell’umana esistenza, unita anche ai fenomeni di inquietudine, che caratterizzano i nostri tempi.

2. La regione delle Marche ha vissuto nei decenni scorsi una larga trasformazione, passando da una preponderante occupazione nel settore agricolo a un notevole impiego nell’artigianato, nell’industria e nel settore turistico, il quale ha registrato particolare sviluppo sulla costa adriatica. Questa trasformazione ha influito notevolmente sul costume della vita e anche sulla pratica religiosa della popolazione, con conseguenze negative in particolare a riguardo dei nuclei familiari e in ordine alle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata.

In riferimento a tale situazione, desidero incoraggiare voi, e tutti i vostri collaboratori, a perseverare nel fervore e nell’azione con sempre rinnovata sollecitudine. Curate particolarmente l’evangelizzazione, intensificando la catechesi e promovendo la pastorale sacramentaria e specialmente la frequenza al sacramento della Penitenza e la partecipazione all’Eucaristia. Facendo perno sulla devozione mariana, alimentata dalla Santa Casa di Loreto, non manchi una cura speciale nella pastorale familiare, prodigandosi in particolare per l’educazione e la formazione cristiana degli adolescenti e della gioventù.

Il rinnovato interesse, poi, verso santa Maria Goretti, nata e cresciuta fino alla Cresima in una delle vostre parrocchie, quella di Corinaldo nella diocesi di Senigallia, deve essere motivo per una più assidua catechesi ai giovani circa la virtù e l’ideale della purezza giovanile e della castità e quindi dei mezzi di perseveranza e di santificazione.

3. La regione ecclesiastica delle Marche, divisa civilmente in quattro province, ha 14 vescovi residenziali che devono provvedere a ben 26 diocesi. Più che altrove emerge la necessità della costante cooperazione tra le varie Chiese locali, per evitare frammentarietà e divergenze di indirizzi nella pastorale. A ciò tende appunto la Conferenza episcopale marchigiana, che tiene le sue sessioni sovente, al fine di realizzare un’adeguata unità pastorale, mediante lo scambio delle esperienze compiute e dei progetti che si desiderano attuare con attività in comune, specialmente riguardo alla formazione dei futuri sacerdoti, alla sensibilizzazione teologica e culturale del clero e dei laici impegnati, alla qualificazione della stampa locale.

Sono anche lieto che voi, vescovi delle Marche, con grande fiducia abbiate indetto un “Concilio plenario marchigiano”, il cui inizio è avvenuto l’8 dicembre scorso con una solenne concelebrazione nella basilica della Santa Casa in Loreto. Vi esprimo il mio augurio cordiale per il buon esito di questa iniziativa che cerca di coinvolgere le migliori energie di tutte le vostre diocesi e vi assicuro il ricordo nella mia preghiera.

4. Vorrei oggi soffermarmi con voi soprattutto sulla necessità della cooperazione tra le Chiese e sul conseguente impegno missionario, che ogni Chiesa locale, come pure ogni singolo cristiano, deve profondamente sentire e cercare di realizzare.

Il Concilio Vaticano II nel decreto Ad Gentes (n. 7) ha sintetizzato meravigliosamente sia il motivo che il dovere dell’Evangelizzazione e quindi della missionarietà della Chiesa: “La ragione dell’attività missionaria discende dalla volontà di Dio, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità. Vi è infatti un solo Dio e un solo mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti” (1 Tm 2, 4-6), “e in nessun altro c’è salvezza” (At 4, 12). È dunque necessario che tutti a lui si volgano, dopo averlo conosciuto attraverso la predicazione della Chiesa e a lui e alla Chiesa, suo corpo, aderiscano vitalmente attraverso il Battesimo . . . Perché Dio, attraverso vie, che lui solo conosce, possa portare gli uomini, che senza loro colpa ignorano il Vangelo, a quella fede «senza la quale è impossibile piacergli» (Eb 11, 6), è tuttavia compito imprescindibile della Chiesa diffondere il Vangelo, sicché l’attività missionaria conserva in pieno - oggi come sempre - la sua validità e necessità” (Ad Gentes, 7).

L’annuncio del Vangelo è programma perenne della Chiesa. Esso è necessario e insostituibile. È in causa la salvezza degli uomini. Per questo - come scriveva Paolo VI nell’esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi - “merita che l’apostolo vi consacri tutto il suo tempo, tutte le sue energie e vi sacrifichi, se necessario, la propria vita” (Evangelii Nuntiandi, 5). È perciò doveroso mantenere vivo nelle comunità cristiane lo spirito missionario mediante un piano organico, unitario e dinamico.

Il Vescovo è naturalmente il primo responsabile nell’ambito della sua Chiesa particolare e in questa deve compiere, insieme con i sacerdoti e i catechisti, i religiosi e i laici qualificati, opera di formazione e di responsabilizzazione. Prima di tutto bisogna far conoscere le necessità della Chiesa e dell’umanità intera, i problemi e le difficoltà dell’evangelizzazione, le situazioni e le esigenze. Le Pontificie Opere Missionarie svolgono al riguardo un’attività, che merita sostegno e incoraggiamento. In secondo luogo bisogna formare le coscienze al senso e allo spirito missionario mediante l’istruzione religiosa, il catechismo, il contatto con le famiglie, l’insegnamento nelle scuole, la formazione nei seminari dei futuri sacerdoti. L’ansia di conquistare tutto il mondo a Cristo deve penetrare in tutti gli animi. Ogni mezzo apostolico pertanto è utile; soprattutto è necessario sottolineare e valutare l’importanza fondamentale della preghiera ai fini dell’evangelizzazione dei popoli e della perseveranza nella fede, come insegna santa Teresa di Lisieux, patrona delle missioni, pur nel silenzio e nel nascondimento del suo Monastero. L’esperienza dimostra che una diocesi, una parrocchia che vibra di spirito missionario è anche una comunità fervorosa e dinamica.

Bisogna inoltre riuscire a responsabilizzare i fedeli, in modo che nascano le vocazioni missionarie, sia di sacerdoti disposti ad abbandonare la propria terra per affrontare altre esperienze nel nome e per amore di Cristo, sia anche di laici professionisti, che sentano il desiderio e la bellezza di recarsi dove è necessario, per testimoniare la propria fede cristiana ed estendere così il regno di Dio.

A questo proposito giunge nuovamente opportuna la parola del Vaticano II, che afferma: “I vescovi, quali successori degli apostoli, ricevono dal Signore, cui è data ogni potestà in cielo e in terra, la missione di insegnare a tutte le genti e di predicare il Vangelo ad ogni creatura, affinché tutti gli uomini per mezzo della fede, del Battesimo e dell’osservanza dei comandamenti ottengano la salvezza” (Lumen Gentium, 24a). E rivolgendosi ai sacerdoti dice: “I presbiteri nella loro qualità di cooperatori dei vescovi hanno anzitutto il dovere di annunziare a tutti il Vangelo di Dio”. (Presbyterorum Ordinis, 4a) Infatti “sono cooperatori dell’Ordine episcopale per il retto assolvimento della missione apostolica affidata da Cristo” (Presbyterorum Ordinis,2b).

5. Mi è caro, in questa occasione esprimere il mio vivo compiacimento per quanto la Commissione della Conferenza episcopale italiana per la cooperazione tra le Chiese ha compiuto in questi anni e continua a compiere in tale ambìto, particolarmente con le Chiese dell’Africa e dell’America Latina, mantenendo costanti ed efficaci rapporti con gli Istituti missionari, con gli organismi di volontariato cattolico e con le diocesi dove sono presenti i sacerdoti “Fidei donum”. Il numero di tali sacerdoti è di 760, dei quali circa 600 sono in America Latina e gli altri in Africa, provenienti da 170 diocesi. I volontari laici sono circa 600. So che si sta pensando di promuovere una presenza anche in Asia. Queste cifre sono un segno eloquente della profondità dello spirito e dell’attività missionaria che animano le diocesi italiane.

La “cooperazione fra le Chiese” è un impegno fondamentale nella pastorale di oggi, che esige primariamente l’intenzione di creare e di mantenere viva nei fedeli la “coscienza missionaria . . . Essa è una mentalità e un’attitudine convinta, per cui il credente e la comunità cristiana si sentono chiamati a irradiare la propria fede, a rendere conto agli altri, in qualsiasi situazione, della speranza che è in loro” (L’impegno missionario della Chiesa Italiana, 33a).

Amatissimi fratelli nell’episcopato! Dopo questa visita “ad limina” riprendete con rinnovato impegno il vostro cammino portando a tutti la certezza e la pace delle verità eterne. Vi accompagno con affetto, condividendo le vostre ansie e le vostre speranze, le vostre preoccupazioni e le vostre gioie. Con voi e per voi invoco la Vergine santissima, al cui santuario di Loreto tendono i vostri animi con amore filiale.

Di cuore vi benedico.

 

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