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VIAGGIO APOSTOLICO IN POLONIA
(8-14 GIUGNO 1987)

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI SEMINARISTI, AL CLERO,
AI RELIGIOSI E ALLE RELIGIOSE

Cattedrale di Stettino -Giovedì, 11 giugno 1987

 

1. “Ecco io pongo in Sion una pietra angolare” (1 Pt 2, 6).

Ecco, oggi abbiamo posato una pietra angolare per la costruzione del seminario della diocesi di Stettino-Kamien. Per questo, invito tutti i presenti, a riflettere insieme a me sull’eloquenza delle parole di san Pietro riguardo alle “pietre vive” (cf. 1 Pt 2, 5).

L’Apostolo condivide con noi la grande visione del mistero di Dio, che penetra la storia dell’umanità. Il mistero che trovò la sua realizzazione nel popolo eletto e che perdura nella Chiesa. Anzi: del mistero che di questa Chiesa decide. Ecco, Dio, che è il Dio dell’alleanza, cerca sin dall’inizio e attraverso le generazioni, la sua dimora. Cerca lo spazio in cui potrebbe dimorare insieme con gli uomini, essere in intimità con loro.

Desidera infatti essere l’Emmanuele. Il suo nome nella storia dell’uomo suona proprio così l’Emmanuele, il Dio con noi. Il dimorare di Dio con gli uomini ha prima di tutto una dimensione spirituale.

È lo spazio in cui opera lo Spirito Santo. È lo spazio in cui Dio è in comunione con gli uomini “in spirito e verità” (Gv 4, 23).

2. Cristo è la pietra angolare di questa costruzione. Lo spazio dello Spirito Santo, Spirito di verità, Paraclito, si è aperto nei cuori degli uomini, si è aperto nella storia dell’uomo - mediante la sua croce e risurrezione. Proprio mediante il fatto che questa “pietra angolare” è stata rigettata dagli uomini. Proprio mediante il fatto che - in questo rigetto - essa è divenuta la prima “pietra viva”; “scelta e preziosa davanti a Dio” (1 Pt 2, 4). È diventata inizio di vita e di verità per tutti i veri “adoratori di Dio” (cf. Gv 4, 23).

Così anche cresce da lui, da Cristo, tutto questo “edificio spirituale” (cf. 1 Pt 2, 5) che si realizza nella storia della Chiesa del Dio vivo. Dalla sua morte in croce nascono le “pietre vive” di questa costruzione. Questa infatti è la morte che dà la vita, confermata il giorno della risurrezione - e poi in quello di Pentecoste - come sorgente di una vita nuova: della vita degli uomini in Dio.

3. Perciò l’Apostolo scrive: “anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale” (1 Pt 2, 5). È proprio questo lo spazio dell’alleanza, lo spazio dell’Emmanuele, dove la comunione di Dio con gli uomini si esprime nell’“offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo” (1 Pt 2, 5).

“Pietre vive”.

Questa mattina in una grande assemblea del Popolo di Dio della vostra Chiesa, ho parlato agli sposi, alle famiglie. Essi sono tutti chiamati ad offrire sacrifici spirituali a Dio in base al sacerdozio comune dei credenti, che essi portano in sé sin dal momento del santo battesimo. E il loro sacrificio è “gradito a Dio” per opera di Gesù Cristo: per opera di quell’amore con cui egli amò tutti gli uomini, dando per loro la vita sul legno della croce: “amò sino alla fine” (cf. Gv 13, 1).

4. Proprio in considerazione di questo sacrificio spirituale di tutti i battezzati, per legarlo quotidianamente con il sacrificio di Cristo nell’Eucaristia. Dio chiama voi: voi tutti che un giorno dovrete popolare questo seminario, in esso maturare verso gli ordini sacri e da esso uscire per celebrare il sacerdozio ministeriale tra gli uomini “. . . scelti fra gli uomini - costituiti per il bene degli uomini” (cf. Eb 5, 1).

Proprio qui, nell’edificio che crescerà sulla pietra angolare che è stata benedetta - qui deve compiersi quel particolare “passaggio”: quella “pasqua”, che si chiama vocazione sacerdotale. “Scelti tra gli uomini - costituiti per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio” (cf. Eb 5, 1).

Posiamo dunque questa pietra angolare, affinché essa sia il simbolico legame e sostegno per tutte le pietre che verranno usate nella costruzione del vostro seminario. E questo edificio fatto di pietre senza vita deve accogliere nel suo interno una comunità di “pietre vive”. Deve essere in futuro il quotidiano, indispensabile testimone di un sistematico processo mediante il quale si prepara lo spazio interiore per l’azione dello Spirito di Cristo nelle giovani anime umane: lo spazio della maturazione delle vocazioni sacerdotali. Che le parole del Vescovo Kozal siano l’espressione di una tale maturità sacerdotale. Non volendo tornare indietro dalla strada prescelta che lo portò al martirio, dal campo di Lad, il 9 maggio 1940 scrisse: “Nelle mani di Dio ho deposto le sorti della mia vita - e con questo mi sento molto bene” (Ks. W. Fratczak, Biskup Michal Kozal, in “Chrzescijanie”, vol. 12, Warszawa 1982, p. 69).

5. Desidero esprimere la gioia perché sorgerà l’edificio del Seminario Maggiore a Stettino, il quale deve creare le condizioni esterne per quel processo tanto importante nella vita della Chiesa.. . .

Il Concilio Vaticano II ha confermato in questa materia la posizione della Chiesa antecedentemente espressa al Concilio di Trento.

Il Cardinale Stefan Wyszynski, parlando al Concilio dei compiti dei seminari nel tempo presente, ricordò pure le storiche esperienze polacche in quel campo. Diceva tra l’altro: “Mi servirò di un esempio poco conosciuto, dalle terre all’estremo nord della Chiesa cattolica di allora, sul lontano Baltico e sulla Vistola. Perché fin là era giunto il pensiero del Concilio di Trento e ciò in modo estremamente veloce. Il seme del Concilio di Trento si è trasformato in un altro” (Discorso del 4.11.1963, in “Duszpasterz Polski Zagranica”, XV [1964], n. 1 [58], 88-89).

Nel decreto del Concilio Vaticano II dedicato alla formazione sacerdotale leggiamo che il seminario è il cuore della diocesi e tutti i sacerdoti dovrebbero aiutarlo volentieri (cf. Optatam Totius, 5). In esso, infatti, tutta la formazione dei seminaristi dovrebbe tendere allo scopo di preparare i veri pastori di anime, sul modello di Cristo, maestro, sacerdote e pastore. Per il ministero della Parola: perché sempre meglio comprendano la parola di Dio rivelata, la assimilino per mezzo della meditazione e la esprimano con la parola e con la vita.

Per il ministero del culto divino e della santificazione delle anime: perché tramite la preghiera e la celebrazione delle sante funzioni liturgiche esercitino l’opera della salvezza mediante il sacrificio eucaristico e i sacramenti.

Al ministero pastorale: affinché sappiano mostrare agli uomini il Cristo che “non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10, 45; cf. Gv 13, 12-17) e guadagnare molti, facendosi servo di tutti (cf. 1 Cor 9, 19; cf. Optatam Totius, 4).

6. Desidero rivolgermi a Dio con un profondissimo ringraziamento per l’eccezionale grazia delle vocazioni sacerdotali e religiose che egli in questi tempi concede alla Chiesa nella nostra patria.

Con una parola di saluto, di gratitudine e di incoraggiamento mi rivolgo all’intera famiglia dei seminari, degli atenei teologici, delle case di formazione e di studi delle congregazioni religiose maschili e femminili, agli istituti, a tutti. Ai superiori, ai professori ed agli educatori, e agli alunni, chierici e novizi in tutta la patria.

Bisogna che aggiunga qui i numerosi studenti e studentesse laici di teologia e di filosofia cristiana. Questo è il particolare segno dei tempi nella vita della Chiesa universale e della Chiesa nella nostra terra.

La vita del seminario, gli studi, il lavoro su di sé, l’esercitarsi alla vita comunitaria e alla solidarietà deve incessantemente attingere dall’unità della Chiesa, da questa forza spirituale e soprannaturale, che scaturisce dalla verità e dall’amore.

Perciò il Cardinale Wyszynski - nel discorso già menzionato - sottolineava, che su questa pietra, sull’unità della Chiesa, si basano “le quattro colonne della formazione della giovane generazione: l’unione con la Santissima Trinità, l’unione con la Chiesa, l’unione con il Vescovo e l’unione con il Popolo di Dio”.

7. La teologia deve servire alla missione, e proprio alla missione pastorale della Chiesa. Questo è insieme il servizio in favore della cultura cristiana polacca, come per il bene fondamentale della propria nazione.

Il pensiero cattolico dovrebbe assumersi ed adempiere il proprio compito a seconda delle esigenze intellettuali e morali della società polacca, ed esse, come si sa, sono cresciute di molto e continuano a crescere. Anche per questo è così importante per la Chiesa e per i cattolici il consolidamento del carattere accademico degli studi nei seminari maggiori in tutta la Polonia. La funzione didattica infatti - cioè l’insegnamento - si unisce con l’“esercizio della scienza”, con il lavoro (spesso) faticoso di ricerca, che è essenziale per l’opera scientifica.

Una buona formazione filosofica e teologica deve rendere capaci i futuri sacerdoti di mostrare la visione cristiana di Dio, dell’uomo e del mondo e le sue implicazioni intellettuali, sociali ed etiche, in spirito di dialogo con il mondo di oggi.

Conformemente alle indicazioni del Concilio Vaticano II i professori dovrebbero compiere la loro missione nella Chiesa, in questo importante campo, convinti che questo compito è il primo e fondamentale compito, indispensabile per il “domani” dell’evangelizzazione, svolta dalla Chiesa nella nostra patria. Il compito sia dei professori che degli educatori è di aiutare i seminaristi nell’approfondimento della coscienza della Chiesa come comunità, sollecita per il livello della vita cristiana di tutti i fedeli. Che la vita interiore sia “l’anima” dell’apostolato, e l’apostolato da parte sua esiga uno studio impegnato ed una approfondita vita spirituale. Anche se in breve, è opportuno menzionare il ruolo dei teologi in collegamento con i pastori delle diocesi, nel campo della formazione permanente dei sacerdoti impegnati nella pastorale.

Inoltre, nei loro compiti vi è quello di una adeguata formazione cristiana del laicato, si tratta di preparare i collaboratori laici dell’opera di evangelizzazione. La prospettiva del Sinodo dei Vescovi che si avvicina, rende questo postulato particolarmente attuale. Dovreste assicurare l’aiuto competente ai centri della pastorale per l’intelligentia, per gli operatori culturali, per gli uomini di scienza a collaborare anche nello svolgimento dello studio della dottrina sociale cattolica e dell’approfondito studio cristiano per la pastorale per gli operai, gli agricoltori, per tutto il mondo del lavoro nel senso più ampio del termine.

8. Cari seminaristi diocesani e religiosi. Il documento del Concilio precisa i vostri compiti nella fase della formazione che è la preparazione al sacramento del sacerdozio. Per adempiere ad essi è necessario prendersi a cuore la propria vocazione, questo invito a prendere - per gli inscrutabili disegni della Provvidenza - la via della vita sacerdotale. Questa vocazione presuppone un cuore indiviso. Andando verso il sacerdozio, rispondete all’invito di Cristo, un invito accompagnato dalla grazia. Una grazia grande, una grazia a misura delle rinunce e a misura della missione. Lasciate tutto per seguirlo. In questo sincero dono di sé il sacerdote può ritrovare la propria identità come persona ed, allo stesso tempo, il proprio posto nella Chiesa e nella società. La chiamata a seguire Cristo nel modo più perfetto si esprime anche nel rapporto del sacerdozio con il celibato, cioè nella rinuncia al matrimonio “per il regno di Dio”. Si tratta insieme di rendersi simili a Cristo e di unirsi a lui mediante l’obbedienza e la povertà in modo conforme alla vostra vocazione.

Ogni generazione porta in sé gli specifici valori, ma anche incontra molteplici difficoltà. La vostra, spesso, prova la paura di “affidarsi”. Si chiude in sé. Dovete cercare di superare questo per essere capaci, con la forza della fede e del dinamismo della chiamata, a seguire totalmente la vocazione, senza cercarvi le “proprie sicurezze”, a servire Cristo nella sua Chiesa . . . La vostra generazione sente - forse più delle altre - la fame della verità e allo stesso tempo la difficoltà di aprirsi pienamente alla verità, di aprirsi “in verità”, la difficoltà “di fidarsi della forza della verità”. Come se a volte mancasse la fede sufficiente nella potenza del bene, che è in voi stessi, nell’uomo, nell’ambiente umano, nella potenza del bene presente nel concreto ambiente del seminario e in quello sacerdotale e sostenuta dalla grazia efficace della vocazione e del sacramento. Apritevi alla verità, che è Cristo, per portare al mondo la sua verità e la speranza cristiana. Per raccogliere in questo modo e formare i collaboratori laici dell’evangelizzazione che si svolge nelle famiglie, nelle parrocchie, negli ambienti di lavoro. Preparatevi e siate aperti al servizio della comunità: all’apostolato dei laici. Che esso trovi un posto adeguato nel vostro servizio. Create per esso le condizioni adatte. Semplicemente liberatelo, ispiratelo, aiutatelo a svilupparsi, con la sensibilità e delicatezza del pastore.

9. Approfittate delle possibilità fornite dall’ambiente del seminario per approfondire la vostra fede e la vita spirituale. Che esse formino la vostra personalità, orientino la vostra maturità spirituale, intellettuale ed apostolica. Tutto questo vi permetterà, con tutta la fiducia e libertà interiori, di dedicarvi in modo irrevocabile al servizio sacerdotale nella dimensione di tutta la vita. Oggi manca così tanto agli uomini questo atteggiamento di essere fedeli “per sempre”.

Dobbiamo noi stessi perseverare fedelmente accanto al dono, datoci dal Signore, per poter “confortare i fratelli”. Vi esorto anche ad interessarvi della storia e della letteratura, sia di quella polacca che di quella mondiale, specialmente delle sue dimensioni religiose ed etiche, che esprimono la profondità delle ricerche umane. Dovete saper trasmettere la buona novella agli uomini, indicare le radici cristiane della cultura patria e i suoi legami con la crescita del Cristianesimo nel tessuto spirituale dell’Europa e del mondo. Dopo l’ordinazione dovete essere capaci, proprio in collaborazione con i laici, di consolidare in modo convincente le basi dell’ordine etico che è indispensabile ed insostituibile nella soluzione dei problemi che travagliano la società. La vostra strada è difficile, esigente.

Anche se in un certo senso può darsi che essa sia più facile di quella dei vostri compagni di scuola che hanno scelto vocazioni laicali diverse. Vi è più facile sperimentare di non essere “una generazione senza prospettive” e “senza possibilità”. I bisogni apostolici sono grandi. Non mancherà il lavoro. La premura della comunità dei credenti vi assicura anche le condizioni materiali dell’esistenza. Cristo era povero. Non si può annunciare in modo autentico il Vangelo dei poveri senza osservare la povertà adatta alla propria vocazione. Oggi si parla molto delle categorie dell’“essere” e dell’“avere”.

Da noi tutti, sacerdoti di Gesù Cristo, si attende, che siamo fedeli all’esempio da lui lasciato. Quindi che siamo “per gli altri”. E se “abbiamo” - affinché abbiamo anche “per gli altri”. Tanto più perché se abbiamo - abbiamo “dagli altri”. Oggi più che mai tutta la Chiesa vive “di elemosina”, dalle poverissime missioni dell’Africa sino ai grandi atenei moderni e alle curie, compresa la sede apostolica. Ricordate dunque di essere: “scelti fra gli uomini e per gli uomini costituiti” (cf. Eb 5, 1). Questo comporta un enorme impegno. Impegno nei riguardi di Dio stesso, della Chiesa, che ha sviluppato questo credito di fiducia verso il sacerdote polacco, con un servizio pieno di spirito di sacrificio, più volte pagato persino con il martirio.

L’impegno verso il popolo, specialmente verso i più poveri. Dovete essere fedeli. Dovete essere solidali con la nazione. Con uno stile di vita vicino a quello di una famiglia media, anzi piuttosto a quello di una famiglia più povera. Donatevi totalmente al nostro Signore Gesù Cristo e alla sua Chiesa, al lavoro pastorale, in unione con il vostro Vescovo e con i superiori. Di questo vi giudicherà Dio e la vostra coscienza. Solo questa fedeltà vi assicurerà la tranquillità della coscienza e un senso di felicità. Questa è anche - e prima di tutto - la via per realizzare se stessi nella vita sacerdotale e la via all’eterna salvezza.

10. Così dunque benedicendo la pietra angolare, ci avviciniamo a colui, che è la prima pietra viva della Chiesa. Ci accostiamo pieni di adorazione e di gratitudine a lui. Desideriamo “proclamare le opere della sua potenza” (cf. 1 Pt 2, 9) - della potenza crocifissa, nella quale si rivela sino alla fine la potenza dell’amore. Dell’amore salvifico. Dell’amore redentivo. Della potenza risorta. In lui - in Cristo - abbiamo sperimentato quest’amore che è misericordioso, che si china su ogni figlio prodigo, su ogni caduta e sconfitta dell’uomo: che le viene incontro. In lui - in Cristo - ci accostiamo al Padre, a Dio, che è “ricco di misericordia” (Ef 2, 4).

In questa potenza dell’amore siamo infatti costantemente chiamati “dalle tenebre alla . . . luce ammirabile” (1 Pt 2, 9), per diventare il Popolo di Dio: la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione in mezzo alla quale dimora l’Emmanuele, il Popolo, che in Cristo è divenuto nuovamente “proprietà” del suo Creatore e Dio, partecipe dei suoi eterni destini - “la nazione chiamata alla santità” (cf. 1 Pt 2, 9). Presso questa pietra angolare guardiamo al futuro - non solo quello terreno, temporale - guardiamo al futuro definitivo dell’uomo in Dio.

E diciamo: “Gloria a te, Re dei secoli” (cf. 1 Tm 1, 17).

Ai seminaristi di Stettino Giovanni Paolo II ha rivolto ancora queste parole.

Ancora un dono per la Cattedrale di Stettino e prima un breve commento sull’andamento del nostro incontro. C’erano alcuni punti non previsti nel programma liturgico, ma ho cercato di spiegarli uno dopo l’altro lì per lì. Innanzitutto, quando è esploso quel “Plurimos annos” mi sono detto: loro qui vicino hanno anche i fratelli della Chiesa orientale, e presso di loro “molti anni” appartiene alla liturgia - dunque, passi! Poi ho pensato come sarebbe stato contento sant’Otto, che era di un’altra nazione, lo sappiamo bene, ma venne da noi come fratello, come apostolo, e parlava la nostra lingua. Sicuramente si sarebbe rallegrato se avesse sentito risuonare in questa Cattedrale, antica di otto secoli, quella parlata, o almeno simile a quella in cui egli annunciò il Vangelo agli abitanti di queste terre ai tempi del re Krzywousty. Siano le sue reliquie, in questa cattedrale, circondate della più profonda venerazione, poiché la Chiesa polacca nutre profonda venerazione per tutti coloro che le hanno annunciato il Vangelo, qualunque sia stata la loro terra di provenienza, sia i paesi slavi, sia l’Irlanda, sia la Germania. Vennero in nome di Cristo, come nostri fratelli, come inviati di Cristo. Questa è la seconda riflessione che è stata suscitata dall’incontro di oggi. La terza - è legata al grido “resta con noi!”.

Miei cari, che lo vogliate o no, il Papa resta. Non sarà questo, sarà un altro, ma resta. Ogni giorno nella santa Messa lo nominate, e dunque è presente al centro della vita della Chiesa. Un suo privilegio, ma anche la sua missione. E per esprimere maggiormente il fatto che resterò con voi, così come vi auspicate, desidero donare al vescovo Monsignor Kazimierz un calice, a ricordo della mia visita a Stettino, e in particolare di questa Cattedrale. Ricordi, questo calice, che oggi abbiamo celebrato insieme l’Eucaristia e inoltre la presenza fisica del Papa. Dio vi renda merito. Padre Stanislaw mi ha rammentato che oltre al calice sono stati lasciati anche i rosari per i chierici, che oggi sono eccezionalmente privilegiati, tutto per loro! Anche il discorso è stato per loro, sebbene non solamente per loro, poiché parlando di loro e a loro nel contenuto vediamo noi stessi. Tutti noi, infatti, proveniamo da un seminario, senz’altro diverso da quello dal quale vengono loro o usciranno. Noi tutti proveniamo da un seminario, tutti sentiamo continuamente il bisogno di tornare ad esso. È la casa del nostro sacerdozio l’ambiente in cui si è sviluppato. Anche per questo, parlando di seminario non ho avuto scrupoli che mi ascoltassero sacerdoti coi capelli bianchi, preti giovani, come pure le suore, laici e laiche - la questione è proprio al centro della Chiesa. Per altro la migliore dimostrazione sono le vostre sollecitudini per la costruzione di un seminario per la diocesi di Stettino, un impegno costante, si potrebbe dire ostinato, che hanno dimostrato alto grado di identità conquistato dalla diocesi, poiché quando una diocesi raggiunge l’identità, desidera esprimere la propria individualità innanzi tutto nel seminario. Si dice “la pupilla del Vescovo” - ma l’occhio del Vescovo qui non è che simbolo supplente, esso è infatti pupilla dell’occhio di tutta la Chiesa, dell’intera comunità del Popolo di Dio, con cui guardiamo, guardiamo al futuro e nel contempo al nostro passato, che ha avuto inizio in seminario ed è stato, una volta, futuro. E lo prolunga, continuamente, tende incessantemente verso di esso, diventa esso stesso futuro, sempre più.

Queste le aggiunte, la conclusione del discorso che già è stato di per sé lungo. Non voglio innervosire gli organizzatori del mio viaggio che continuamente mi dicono: “siamo in ritardo”. Per questo finisco. Sia lodato Gesù Cristo!



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