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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
DURANTE LA VISITA ALLA PARROCCHIA
DI SANTA MARIA MADRE DEL REDENTORE

Domenica, 10 aprile 1988

 

Con handicappati e malati il primo incontro

Son passati poco più di quattro anni da quando il Papa si era recato nel quartiere di Tor Bella Monaca, all’estrema periferia di Roma, per visitare la comunità parrocchiale di Santa Rita. Oggi torna per fermarsi nella nuova “cattedrale”, così come chiamano da queste parti la chiesa parrocchiale di Santa Maria Madre del Redentore aperta al culto solo alla fine dello scorso anno. Vi arriva in elicottero ed in elicottero ripartirà dopo aver trascorso oltre quattro ore immerso in una delle realtà più difficili di tutta la città.
Ad accogliere il Papa al suo arrivo sono il Cardinale Poletti, con il Vescovo Ausiliare per il settore Monsignor Mani, ed il Parroco Don Mario. II primo saluto all’illustre visitatore è porto dai più sofferenti dell’intera comunità, gli handicappati. In una sala infatti sono raccolti gli appartenenti all’Associazione “Handicap noi e gli altri”, i quali, a nome di tutti gli ammalati, hanno voluto offrire al Papa subito l’immagine di quanto sia duro vivere oggi a Tor Bella Monaca soprattutto per chi già tanto è stato provato nella sua stessa carne. Il Parroco li presenta al Papa ma poi parlano loro stessi dei loro problemi.
Il Santo Padre ascolta con particolare interesse e, rispondendo alle parole, dopo aver precisato di non poter sapere “cosa facciano i politici”, ricorda quanto è contenuto nel Vangelo a proposito dell’interesse della Chiesa per i malati.
 

Leggendo il Vangelo vedo Cristo che ha incontrato sempre i malati, gli handicappati, che anche alla sua epoca erano disprezzati a causa del loro handicap, ma per lui erano i privilegiati, i primi. Ed io cerco di seguire le sue orme e mi fermo prima qui con voi, tanto più che in questo giorno celebriamo l’ottava di Pasqua. Sappiamo bene che il mistero pasquale vuol dire sì la risurrezione, ma vuol dire anche un cammino attraverso il Venerdì Santo, un cammino attraverso la croce e tutto insieme contribuisce a creare il mistero pasquale, l’evento pasquale, la realtà pasquale nella quale e attraverso la quale Cristo ci ha salvati, ci ha aperto la strada. Una strada che forse si perde nelle visioni del mondo terrestre, nei programmi odierni, anche politici, ma è una strada che si apre presso Dio, si apre in Dio stesso. Questo è il mistero pasquale. Un uomo che si chiamava Gesù di Nazaret che ha predicato, che ha guarito i malati e che alla fine è stato torturato, crocifisso e sepolto. Questo uomo, dopo tre giorni, si è mostrato vivo, si è mostrato vivo davanti a tutti per dire “Io sono la verità”, “Io sono la vita”, “Io sono la via”. Ecco: io vengo qui per predicare Cristo! E se non vedete nulla che vi aiuti nelle realtà umane e civili, io vi auguro di poter vedere sempre Gesù Cristo. La direzione che lui ha dato alla nostra vita umana, alla nostra realtà, ai nostri limiti umani si apre in una dimensione nuova, ed in questa dimensione nuova i privilegiati sono proprio quelli che soffrono per motivi politici, civili o per altri motivi. Si parla sovente, ed anche io ho parlato nella mia ultima enciclica Sollicitudo Rei Socialis del Terzo mondo, del Quarto mondo, ed ho sottolineato che questo Terzo e Quarto mondo esistono all’interno del Primo mondo, all’interno cioè del mondo dell’opulenza. Esiste soprattutto laddove manca il cuore, dove manca il Cristo. Se non mancasse Cristo non esisterebbe più né Terzo, né Quarto mondo. Io vi auguro carissimi che in questa parrocchia, se anche esiste il Quarto mondo, esista soprattutto quello che non è né primo né secondo mondo ma solo un mondo cristiano, marcato dalla parola di Cristo, dalla realtà di Cristo, dalla sua passione e risurrezione, dal suo mistero pasquale, marcato dalla sua Eucaristia, dalla sua verità e dalla sua grazia. Lo auguro a tutta la parrocchia attraverso voi, lo auguro soprattutto a voi. È bene che il mio ingresso in questa parrocchia sia avvenuto attraverso voi handicappati. Questa è la porta di ogni comunità cristiana, cioè della Chiesa come lo è stata per Cristo nel suo tempo e come deve essere in tutti i tempi. Io vi auguro di avere questa fede, questa fiducia, questa speranza. Con questa fede, fiducia, speranza vincerete anche le ristrettezze degli altri mondi; auguro ai vostri sacerdoti e a tutti i parrocchiani, a tutte le persone di buona volontà di farsi parte delle vostre preoccupazioni ed anche dei vostri diritti, dei vostri bisogni.

Volevo dirvi queste parole proprio iniziando la mia visita pastorale a questa vostra parrocchia che è legata in modo particolare alla redenzione. La redenzione si avverte qui soprattutto, la redenzione attraverso la stessa passione di Cristo; la passione di Cristo, la passione redentrice di Cristo deve essere sempre completata. Scriveva san Paolo che lui nelle sue sofferenze completava la passione di Cristo. Voi fate lo stesso. Vi auguro di fare ciò con grande fede, con grande speranza e con grande amore.  

Il saluto alla popolazione di Tor Bella Monaca  

Saranno almeno 13.000 le persone che si sono raccolte tutt’intorno alla chiesa parrocchiale per salutare il Santo Padre. Numerosissimi sono naturalmente anche gli zingari, da anni residenti nel quartiere. Nel loro campo sino a poco prima dell’arrivo del Papa in tanti stavano festeggiando la Pasqua, la cui ricorrenza nella liturgia della Chiesa ortodossa cade proprio oggi. Molti degli zingari di Tor Bella Monaca sono ortodossi. Ma accanto agli zingari ci sono anche tanti altri abitanti del quartiere, quasi confusi con loro e senz’altro accomunati in quella manifestazione di affetto sincero per il Papa che è venuto tra di loro. Giunto dinanzi alla chiesa il Papa è salutato dai bambini dell’Azione Cattolica Ragazzi. Ed è proprio uno di loro a salutare il Papa a nome della Comunità prima ancora che lo faccia il parroco stesso.  

Prima di venire qui mi sono incontrato con un gruppo di handicappati e poi ho potuto abbracciare già tanti parrocchiani, giovani ed anche adulti. E credo che questa sia stata già una parola di saluto e di accoglienza. Ora il vostro parroco ha detto che Tor Bella Monaca era un deserto. Ma sappiamo bene che Cristo per cominciare la sua missione è andato prima nel deserto, è stato guidato dallo Spirito prima nel deserto. Allora il deserto è anche un ambiente privilegiato per l’opera della redenzione e voi siete stati marcati da questa opera della redenzione perché questo deserto è fiorito come parrocchia, come comunità cristiana nell’anno della redenzione. Ecco io devo dire che si vede poco del deserto, si vedono tante case, quasi dei grattacieli, grandi case; si vede tanta gente. Attorno alla croce di Cristo, alla croce della redenzione è nata una famiglia. Voi siete una famiglia composta di fratelli e sorelle, nonostante tutto. Tutti approfittano di questa fratellanza umana e cristiana per crescere attorno alla croce. Anche i nomadi, che sembrano stranieri a causa della loro lingua, si trovano all’interno di questa fratellanza, di questa fraternità umana e cristiana che cresce qui, in questa parrocchia dedicata a Maria, Madre del Redentore. Io vi saluto tutti e saluto soprattutto i ragazzi, di tutti i diversi gruppi in particolare quelli dell’ACR che mi hanno accolto salutandomi con belle parole. Li saluto cordialmente. Sono tanti i vostri ragazzi; si vede che la vostra è una famiglia in cui non mancano i figli, non mancano i giovani, non mancano i ragazzi e le ragazze. Vi auguro di crescere nella grazia di Cristo, di crescere alla luce della sua risurrezione, del mistero pasquale, che oggi culmina nella Domenica in Albis, la II domenica del periodo pasquale, terminiamo oggi la grandissima solennità, la celebrazione della grandissima verità della nostra fede: Cristo è risorto. Ed anche questa verità è venuta da un sepolcro. Allora ciò significa: niente sepolcro, niente deserto ma vita! Cristo è risorto! Questa è la nostra fede e la nostra speranza. Vi auguro questa fede e questa speranza; ed a voi auguro la speciale sollecitudine materna della Madre di Cristo, la Redemptoris Mater.  

A suore e laici della Parrocchia

Quella di Tor Bella Monaca è “una realtà più grande di noi, di fronte alla quale riusciamo a dare risposte piccole”: son le parole di uno dei due obiettori di coscienza che operano nel Centro di Ascolto della Caritas della parrocchia. Parole cariche di sofferenza ma anche di speranza per una missione impegnativa in un quartiere difficile, pieno di problemi, ma non per questo impossibile. Lo dimostrano i risultati raggiunti fin qui da questa giovane comunità parrocchiale, tutte tappe di un cammino di fede e di carità illustrate al Papa nell’incontro con le varie realtà di adulti che operano a Santa Maria Madre del Redentore.
Consiglio Pastorale, Consiglio Economico, Gruppo Caritas, le suore e gli altri gruppi parrocchiali offrono al loro Vescovo i frutti del proprio lavoro - il centro di ascolto, il gruppo anziani, il dopo scuola per i bambini, soprattutto nomadi, il centro per i tossicodipendenti - chiedendo incoraggiamento e indicazioni per il lavoro futuro.
Prendendo la parola il Papa così risponde.

La vostra parrocchia, che è giovane, rimane e rimarrà sempre in Roma come segno commemorativo dell’anno della redenzione 1983. Ma nello stesso tempo la vostra parrocchia nascendo sotto il titolo, Madre del Redentore, è anche un segno profetico: quasi ha previsto un altro anno straordinario, l’anno mariano, l’anno in cui è stata pubblicata l’enciclica Redemptoris Mater, così come si chiama la vostra parrocchia, parrocchia della Madre del Redentore.

Voi chiedete consigli e ciascuno non solo per se stesso ma anche per il proprio gruppo, e sono diversi - Consiglio pastorale, gruppo Caritas, le suore, con le loro congregazioni -. Voglio essere non solamente breve, ma voglio anche dare un consiglio che possa toccare tutti, tornando alla Redemptoris Mater, alla Madre del divino Redentore. Il Concilio ci dice - e consiglio a tutti di studiare il Concilio Vaticano II, soprattutto di studiare la Lumen Gentium e, nella Lumen Gentium, di studiare l’ultimo capitolo, quello sulla presenza materna della Vergine e sul mistero di Cristo e della Chiesa. Là si trovano le parole che fanno da guida a tutto il nostro anno mariano, ma possono anche fare da guida a ciascuno di voi, ai vostri diversi gruppi e ai vostri diversi impegni; il Concilio ci dice che Maria ci precede, ci precede nel cammino della fede, della speranza e dell’unione con Cristo.

Maria ci precede e la Chiesa guarda a lei come al suo modello perfetto, nella fede, nella speranza e nell’unione con Cristo. Penso che questo consiglio possa essere considerato adatto a tutti, applicabile e molto concreto. La Chiesa intera, ciascuno e tutti, deve guardare verso lei, verso la Madre di Cristo. Quando lei cammina non dobbiamo guardare solo per osservare ma dobbiamo essere seguaci di Cristo, dobbiamo essere quelli che vogliono seguire Cristo e vogliono compiere il suo Vangelo, vogliono costruire la Chiesa, vogliono costruirla dentro questo mondo che si chiama Roma, in questa periferia, in questo quartiere, in questo mondo direi così specifico, difficile per diversi aspetti, ma in cui forse ci sono anche certi aspetti privilegiati, più facili, pur in questo ambiente difficile. Se voi compirete questo cammino di fede e di speranza guardando a Maria lo troverete sempre. Lei è la Madre dei buoni consigli.

Alle comunità dei neocatecumenali

“Abbiamo sentito nel Vangelo di oggi che Tommaso cercava dei segni per credere che Gesù era veramente risorto. Ecco, credo che per Tor Bella Monaca un segno che Gesù è risorto possano essere questi fratelli e sorelle, la loro fede e il loro entusiasmo nella fede”: lo dice il parroco presentando al Santo Padre le due comunità Neocatecumenali della parrocchia, riunite nella chiesa.
 “Noi siamo preoccupati della pastorale degli adulti - prosegue don Mario -. Molti sono i lontani da Dio, dalla Chiesa, ma sto vedendo che attraverso il cammino Neocatecumenale una rete è gettata al largo e vediamo come molti vengono presi in questa rete e si mettono in cammino per cercare il Signore”.
Dopo aver ascoltato alcune testimonianze il Papa si rivolge ai presenti con queste parole.  

Carissimi, vi saluto tutti. Saluto i genitori, saluto gli adulti, i giovani e i bambini che come sempre nelle vostre comunità sono numerosi. Ringrazio il Signore per questa vita nascente.

Vi incontro spesso, vi ho incontrato la Domenica delle Palme, nel pomeriggio, ho ascoltato molte testimonianze e poi anche ho cercato di parlare un po’ più a lungo. Oggi vi incontro in questa parrocchia e devo dire che gioisco per questo incontro e soprattutto per questa parrocchia che avete trovato. Già cercate di portare avanti la vostra presenza, la vostra testimonianza, la vostra missione.

Oggi, nella liturgia, abbiamo sentito di nuovo parlare del cenacolo. Il cenacolo è un luogo privilegiato della Chiesa, il luogo dove la Chiesa è nata, dove la Chiesa, come Chiesa, si è rivelata. Nata con l’ultima cena, rivelatasi con la Pentecoste. La Chiesa deve cercare sempre di stare nel cenacolo. Sempre e dovunque, per tutti i secoli e per tutte le generazioni.

Oggi abbiamo ascoltato un brano del Vangelo molto interessante sul cenacolo, perché c’era la figura di Tommaso, l’incredulo, che si è convertito a Cristo risorto nel cenacolo. Ho pensato a voi, perché le vostre comunità, come mi riferiscono in molti, sono anche i luoghi, gli ambienti in cui le conversioni di increduli, di un Tommaso incredulo che diventa un Tommaso credente e grida “Signore” si ripetono. Penso che questa sia la grazia del cenacolo. Voi dovete rimanere sempre nel cenacolo.

L’incontro con i nomadi

L’atteso incontro con alcuni rappresentanti degli zingari di Tor Bella Monaca avviene dopo quello con le comunità neocatecumenali. In una saletta, con Don Matteo Zuppi, il sacerdote della Comunità di Sant’Egidio che aiuta Don Mario tra gli zingari, sono una ventina di nomadi rappresentanti delle diverse famiglie che compongono la comunità dei 600 stabilitisi nel quartiere. La loro provenienza è illustrata al Papa da una giovane di S. Egidio che “convive con loro - dice - una vita dura, amara, resa quasi impossibile a volte proprio dal rifiuto della convivenza e dell’ospitalità”. Anche recentemente il quartiere è stato al centro dell’attenzione dei cronisti cittadini per episodi di intemperanza nei confronti degli zingari. Un’altra presenza in quella saletta ha però riportato alla memoria un episodio del quale recentemente si sono occupate le cronache cittadine: quella dello zio e del papà di una vittima innocente. Si è trattato di un episodio drammatico, quanto assurdo, che ha suscitato pietà frammista a rabbia per quel che si poteva fare per evitare la tragedia e che invece non si è fatto: solo 9 giorni fa, proprio a quattro passi dalla parrocchia il piccolo Elvis, di 9 mesi, è morto bruciato nel rogo della sua misera roulotte. Sarebbe bastata una fontanella alla quale attingere acqua per domare le fiamme a strappare alla morte la sua giovane ed innocente vita; ma forse non sarebbe bastata poiché quel che manca è la linfa vitale dell’amore per tutti gli uomini, senza distinzioni di classe, di razze o di religione. “Noi chiediamo solo di vivere in pace e di essere accolti come tutti gli altri - dice al Papa Moussa, il più anziano della delegazione ricevuta dal Papa -. Siamo usciti dalla Jugoslavia tanti anni fa. I nostri figli sono nati e chiediamo solo di essere aiutati a vivere e di essere accettati perché siamo cittadini. Vorremmo poter lavorare come tutti e vorremmo che i nostri figli potessero avere un’istruzione. Non abbiamo nulla: né acqua, né luce, né, a volte, riparo. Ma soprattutto non abbiamo comprensione”. Moussa parla in uno stentato italiano ma i suoi occhi lucidi parlano molto esplicitamente.
Vogliono donare al Papa le poche cose che hanno: un cestino di uova, un disegno fatto dai bambini della scuola, alcuni vasi di rame con dentro due fiori finti.

Alcuni di voi ho già potuto abbracciarli fuori, all’inizio della visita. Qui ora voglio salutare attraverso voi tutti gli abitanti di questo quartiere di Roma. Sono contento che la Chiesa di Roma ha trovato il modo di incontrarvi, di interessarsi dei vostri problemi, di aiutarvi e soprattutto di inserirvi nelle comunità parrocchiali così come si vede qui. Quando ha parlato la ragazza che vive accanto a voi, mi sono venute in mente le donne che hanno accompagnato la Pasqua di Cristo: sono state le prime al sepolcro e sono state le prime ad essere andate dagli apostoli a dire: è risorto! Ma prime sono state a sentire il messaggio della Pasqua: è risorto. Allora la carità, l’amore è sempre più veloce ad arrivare della giustizia. Sappiamo bene che i sistemi della giustizia, dello Stato, sono molto lenti, a volte anche troppo lenti; ma la carità deve essere svelta; e tra voi si è dimostrato che la carità è svelta, è rapida. L’uomo può dire, deve poter dire: Cristo è risorto. È una parola chiave del nostro vivere, del nostro operare, ma soprattutto del nostro amore fraterno. Io vi auguro che almeno questa carità non manchi mai tra voi, soprattutto in questo momento in cui non si sa bene ancora come andranno a finire i programmi civili, come sarete sistemati. La carità non deve mancare.

Al gruppo Italstat

Un saluto particolare il Papa riserva ai promotori e realizzatori dell’edificio parrocchiale, i dirigenti del gruppo Italstat, guidati dal Presidente Bernabei. Il Papa dice tra l’altro.

Voi come artisti e specialisti degli edifici, delle costruzioni, sapete quale è il vero significato di questa pietra, del simbolo della pietra angolare, ma certamente anche di questa chiesa di cui si dice che sia una nuova cattedrale di Roma. Oggi il Vescovo di Roma ha fatto anche il suo ingresso in questa nuova Cattedrale di Roma. Nuova Roma, nuova Cattedrale.

Volevo dire che in questa splendida chiesa, veramente straordinaria come costruzione moderna, in questa chiesa tutti voi, gli artisti, i costruttori, cominciando dal primo progettista, tutti voi siete una parte di Cristo, di Cristo che è pietra angolare. Se si costruisce la Chiesa non la si può costruire altrimenti se non basandosi su di lui, pietra angolare. E si costruisce la Chiesa in senso apostolico, pastorale naturalmente; noi lo sappiamo bene, noi tutti, pastori, Vescovi, fedeli. Ma anche quelli che costruiscono la chiesa nella sua dimensione architettonica, artistica, in un certo senso materiale, devono essere consapevoli che costruiscono su questa pietra angolare che è Cristo e grazie a lui.

Ci sono bellissime pagine di queste considerazioni nella costituzione del Vaticano II Gaudium et Spes, soprattutto nel capitolo sulla cultura; tutta la cultura umana, come tutte le opere dell’arte, dell’architettura, tutte sono espressione di una vita superiore, di una vita spirituale, di uno spirito che sa portare dentro la materia, la materia prima, una sua espressione. E la chiesa materiale è espressione di una realtà spirituale, di una verità, di una vera bellezza. Tutto ciò è partecipazione al mistero pasquale di Cristo.

Volevo dirvi queste cose semplici per congratularmi con voi per questa splendida costruzione architettonica e augurare anche le costruzioni future, per il bene della vostra patria, per l’Italia che è tanto conosciuta nel mondo da sempre nei secoli per le sue opere d’arte e anche per augurarvi tutto il bene nel senso umano e cristiano di questa parola, per le vostre famiglie. Vi ringrazio per la vostra opera e per il vostro impegno nel costruire una nuova cattedrale di Roma.

L’augurio finale ai giovani di Tor Bella Monaca

“Dovunque andiamo noi giovani di Tor Bella Monaca siamo etichettati perché siamo abitanti di questo quartiere”: è la triste costatazione fatta da una ragazza del gruppo Giovanissimi di Azione Cattolica. Questa frase rivolta al Papa sintetizza bene lo stato d’animo in cui vivono i giovani di questo quartiere.
C’è la droga, la delinquenza, certo, ma Tor Bella Monaca non è solo questo. I moltissimi giovani radunati nella grande sala sotto la chiesa vogliono testimoniarlo raccontando le loro attività. ACR, Scout, giovani della Comunità di Sant’Egidio vogliono raccontare al Papa che a Tor Bella Monaca c’è spazio per l’amicizia, per la solidarietà.

La nostra festa non dovrebbe finire, ma deve finire. Così si esprime bene anche la realtà della Pasqua, perché la Pasqua non finisce. È la pienezza dei tempi e questa pienezza dei tempi continua.

Con la risurrezione di Cristo il mondo, l’umanità è entrata nella sua dimensione escatologica definitiva e così la nostra Pasqua non finisce. Voi cantate “non deve finire la festa, non deve finire quello che porta la gioia, che porta la speranza, che porta la fraternità”, come non deve finire questo incontro. Ma altrettanto bene poi cantate “ma questa festa siamo noi”. Ecco, qui sta tutto; la festa può finire, anzi può crollare, può convertirsi in una non festa, in un deserto, e deserto c’è qui. Il vostro parroco parla sempre di deserto, Tor Bella Monaca è deserto, ma io non lo capisco. Voi siete tanti “specialisti del deserto”, sapete come far vivere un deserto. Dovete andare in Africa, essere specialisti del Sahel: là vi aspettano per ravvivare anche quel deserto africano. Sappiamo bene di parlare in senso metaforico.

Dunque la festa siamo noi; la festa dipende da noi, perché noi possiamo continuare nella festa, possiamo portare in noi il messaggio della Pasqua di Cristo e così portare la vita al mondo.

Noi, noi potremo anche crollare, possiamo anche morire spiritualmente, possiamo diventare una negazione delle parole: “festa siamo noi”. E allora non saremmo più una festa. Voglio augurare a tutti voi giovani di rimanere la “festa”, e di rimanere questa festa attraverso tutto ciò che costituisce, compone la vostra giovinezza, le esperienze di questa carissima Comunità di Sant’Egidio, le esperienze artistiche della corale, le esperienze dell’Azione Cattolica Ragazzi. Penso così di aver dato una risposta anche alle domande fatte da una ragazza dell’ACR. Voi giovani, attraverso tutte le vostre esperienze specifiche, comunitarie, personali, dovete rimanere “la festa”, dovete essere “la festa”, dovete portare in voi la Pasqua di Cristo, come gli apostoli, e così la nostra festa non finirà. Vi auguro questo. Lo auguro a questa parrocchia giovane affinché possa vivere nella festa, nella Pasqua, nella risurrezione di Cristo, e possa guardare verso il suo futuro con Cristo risorto come hanno guardato gli apostoli nonostante tutte le difficoltà, nonostante tutto il deserto del mondo. E vi auguro di portare questa testimonianza e di far vivere con la stessa testimonianza, con la stessa Pasqua di Cristo le altre persone, e tutti quelli che vivono forse molte volte abbandonati, disprezzati, discriminati.

 

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