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VISITA PASTORALE IN EMILIA

INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON IL SENATO ACCADEMICO
NELL’AULA MAGNA DELL’«ALMA MATER STUDIORUM»

Bologna - Martedì, 7 giugno 1988

 

Magnifico signor rettore,
Illustri docenti e presidi di facoltà,
Alunni ed alunne tutti, cari amici!

1. È per me motivo di grande gioia questo incontro, per il quale vivamente ringrazio la cortesia di voi, autorità accademiche, e di ciascuno di voi qui presenti. Un incontro eccezionale per un evento eccezionale: il compimento di novecento anni di vita di questa “Alma Mater Studiorum”, che è l’Università di Bologna.

Già per ogni istituzione celebrare il centenario è ragione di legittima fierezza. Ma la presente ricorrenza è per questo ateneo un motivo di più alto prestigio in virtù del tempo e delle circostanze: essa, infatti, ci riporta agli albori del secondo millennio cristiano, allorché l’Europa si andava configurando nell’ormai compiuta fusione tra l’antico ceppo latino e la vitalità dei popoli germanici e slavi, sotto l’influsso decisivo e - si direbbe - catalizzante della forza spirituale del Vangelo. Proprio nello sviluppo di questo processo di amalgama e di rinnovamento, tra gli altri importanti fattori, fu determinante il contributo dato dalle università, che andavano via via sorgendo anche sul modello della primigenia ed esemplare esperienza bolognese.

Era il tempo in cui, pur in mezzo a tensioni e contrasti, emergeva potente l’esigenza di un’unità politica e spirituale dei popoli. Ad essa il cristianesimo - ormai pienamente diffuso e radicato nell’intero continente - seppe efficacemente rispondere con la sua proposta di una verità una e unificante, con l’affermazione della dignità della ragione quale indispensabile componente dell’atto di fede, con il suo messaggio di elevazione dell’uomo, figlio e interlocutore di Dio, e di fraternità universale. Al servizio di questa stessa esigenza unitaria si posero le università degli studi, tutte entro l’alveo di una cristianità chiaramente consapevole della sua identità, spesso addirittura istituzionalmente collegate con la Chiesa.

2. La scuola universitaria - a differenza delle scuole antiche e anche delle scuole moderne - mira alla formazione e organizza la ricerca non più solo in ordine alla perfezione dell’individuo o alle necessità della comunità religiosa, ma si apre all’intera società, alle sue richieste, alle funzioni della nuova vita cittadina.

In connessione con questo allargamento di prospettiva sociale, si avverte l’importanza di un lavoro di sintesi, orientato a raggiungere l’unità del sapere ed a far convergere le diverse conoscenze in una visione globale della realtà. Tutto ciò si iscriveva nello sforzo di esplorare l’unica e suprema verità di Dio, riflessa nelle verità parziali che la mente umana riesce a indagare. Come ho già ricordato in altre occasioni, la nozione di “università” comporta infatti un’esigenza di universalità, e cioè un apertura a tutta la verità che tutti attrae e sovrasta, e si identifica nella verità di Dio e nella verità dell’uomo, che è il Verbo incarnato (cf. “Allocutiones ad Docentes Universitatum Bononiae” [die 18 apr. 1982], “Lovanii Novae” [die 21 maii 1985], “Perusiae” [die 26 oct. 1986]: Insegnamenti di Giovanni Paolo II: V, 1[1982] 1232 s.; VIII, 1 [1985] 1598 - 1605; IX, 2 [1986] 1207 - 1213). In tal modo viene anche esaltato, almeno implicitamente, l’uomo, come soggetto capace di analisi, di riflessione, di giudizio, e come indagatore e ammiratore di ogni valore e di ogni bellezza.

In un mondo largamente dominato dall’uso della forza e dall’abitudine del sopruso, proprio nelle sedi universitarie si andò a poco a poco affermando il primato della ragione e del diritto.

A questo proposito come non ricordare lo sviluppo degli studi giuridici, sia nel campo civile, sia nel campo canonico, che si verificò soprattutto nell’ateneo bolognese ad opera di maestri illustri quali Irnerio, la “lucerna iuris”, Graziano, Accursio? Tali studi, imperniati sui concetti cristiani di persona e di comunione, portarono alle varie imprese di codificazione della Chiesa e della “civitas” medioevale. Si può anzi ritenere che i valori fondamentali dell’eguale dignità degli uomini, della libertà, della solidarietà - che sono oggi patrimonio spirituale dell’Europa e sono largamente recepiti nelle costituzioni degli Stati moderni - maturarono proprio nel contesto cristiano delle università nel medioevo.

3. Un altro momento unificante - offerto dalla vita delle prime università - fu rappresentato dall’incontro tra maestri e discenti, i quali provenivano anche da regioni lontane. È questo specialmente il caso di Bologna, dove fin dagli inizi convennero studenti di ogni nazione, raccolti in autonomi organismi, sempre nell’ambito della stessa convivenza accademica. Fu allora che lo studio e la città di Bologna divennero punto d’incontro, ossia un centro dinamico di correnti culturali diverse, talvolta anche in contrasto tra loro, ma con l’ideale tensione a trascendere se stesse in una ritrovata unità spirituale.

Di qui i licenziati, concluso il loro tirocinio, ripartivano per i loro Paesi, dove avrebbero insegnato in altre scuole, o avrebbero esercitato le “arti” apprese. Chi non conosce le figure di alcuni eminenti uomini di cultura, che qui furono maestri e discepoli, come Erasmo da Rotterdam e il mio connazionale Nicolò Copernico?

A questo ateneo, dunque - come a molti altri parimenti sorti e sviluppati in un contesto culturale cristiano - va riconosciuto un ruolo unificante, benefico e decisivo.

4. Oggi, alle soglie del terzo millennio della redenzione, l’università che vuol mettersi davvero al servizio della concreta umanità dei nostri tempi, si trova a dover rispondere a richieste non dissimili.

Che cosa invocano oggi i popoli, pur se non sempre con esplicita consapevolezza e con sufficiente capacità di far udire la propria voce? Chiedono che ci si preoccupi dell’effettiva e piena salvezza dell’uomo, da più parti e gravemente insidiato e mortificato. Chiedono che si inauguri finalmente un’epoca, nella quale - sia contro l’ingiustizia e l’egoismo, sia contro le tentazioni di farsi giustizia con la violenza - prevalgano la ragione, l’aspirazione all’equità sostanziale delle condizioni, il metodo del libero e rispettoso confronto delle idee. Chiedono che si affermi universalmente - contro ogni smodata avidità e ogni corsa al particolare profitto - la cultura della solidarietà, perché il mondo si faccia più giusto e più umano. Chiedono che si avanzi più decisamente nel processo dell’integrazione tra i popoli, nelle diverse aree geografiche, oltre ogni arbitraria lacerazione imposta da pretese politiche o egemoniche.

Dinanzi a queste esigenze un ateneo, che ha radici così lontane e tradizioni così insigni come il vostro, può e deve farsi attento e accogliente, in modo che anche nel terzo millennio gli sia dato di svolgere l’alta funzione che ha avuto nel suo glorioso passato. Un tale impegno richiede certo il superamento - o almeno il serio tentativo di superamento - della frammentazione del sapere, conseguente alla specializzazione esasperata, ed impone la ricerca della connessione e della sintesi nella verità sull’uomo e nel servizio dell’uomo.

Si tratta di sviluppare un nuovo umanesimo, aperto alla trascendenza e ai suoi valori, che ne rappresentano il fondamento più sicuro. A questo scopo dovranno essere favorite occasioni di dialogo e di comune indagine tra gli studiosi delle diverse discipline scientifiche, filosofiche, letterarie, artistiche, religiose. Come anche dovrà essere esaltata la dimensione comunitaria dell’ateneo e l’abitudine agli scambi tra le diverse università, come avveniva nei tempi passati. Così nella circolazione delle idee e nella disponibilità reciproca tra docenti e studenti potranno meglio realizzarsi gli obiettivi fondamentali dell’istituzione: l’elaborazione critica del sapere e la preparazione alla professione. Come ebbi a osservare in altra occasione, nell’università deve attuarsi “una sorta di comunione che è didattica e scientifica, ma anche morale e umana, e si può offrire nello stesso tempo un modello alla società, che ha bisogno - e non è mistero - di rafforzarsi per una convivenza ordinata e pacifica” (“Allocutio ad Universitatem Papiensem”, die 3 nov. 1984: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VII, 2 [1984] 1110).

5. Al centro di ogni attenzione e preoccupazione del mondo accademico - come anche dell’intera società - vanno sempre posti l’uomo, la ricerca della sua verità, l’impegno nella sua promozione, il rispetto della sua dignità e dei suoi diritti.

Questa esigenza è tanto più forte, quanto più vediamo la dignità umana avvilita e messa in pericolo da più parti, attraverso l’esercizio di un indebito potere dell’uomo sull’uomo, e spesso anche con il pretesto del progresso scientifico e tecnologico.

Il mio augurio sincero è che questo ateneo sappia programmare il suo prossimo avvenire alla luce dell’idea della solidarietà, che porterà ad aprirsi ancor più alla collaborazione con gli altri istituti ed a proiettarsi insieme verso le necessità degli altri Paesi del mondo. Ad essa devono ispirarsi tutte le relazioni internazionali, in una rinnovata tensione di promozione umana e per una piena partecipazione di tutti i popoli ai beni della creazione, posti da Dio a disposizione di tutti gli uomini.

Le università europee potranno esprimere la loro solidarietà mediante la preparazione di qualificati professionisti dei Paesi e per i Paesi in via di sviluppo, la collaborazione scientifica con le giovani istituzioni, la formazione di una mentalità universale, ispirata al concetto di fraternità e capace di ricercare forme sempre nuove di cooperazione fra le genti.

6. Nella tensione verso questi traguardi proposti alla realtà universitaria, anche la Chiesa si sente direttamente coinvolta, a motivo della sua universale missione di salvezza.

La ricomposizione del sapere, l’esaltazione dell’uomo che è immagine viva di Dio, lo stile di fraternità, la comunione tra i popoli, sono tutte mete che corrispondono pienamente al disegno del Creatore, da cui tutto proviene e a cui tutto deve essere ricondotto, mediante Gesù Cristo e l’opera dell’uomo, da lui illuminato e redento. Non certo da oggi la Chiesa, come “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Lumen Gentium, 1), si sforza di proporre un modello supremo di unità, riflesso della vita intima di Dio, uno in tre Persone: è il modello che viene chiamato “comunione” e svela il senso profondo e spiega l’innata aspirazione dell’unità e della pace che sale dal cuore di ogni uomo.

La Chiesa e l’università, dunque, in virtù di queste finalità che le accomunano, non sono e non devono mai sentirsi estranee e lontane. Esse, che furono alle origini strettamente congiunte, possono tornare a essere ancora alleate, poiché entrambe, pur nell’intangibile distinzione delle rispettive funzioni e nella necessaria autonomia, possono e devono lavorare al conseguimento di alcuni comuni traguardi.

“Essere cristiani nel nostro tempo significa essere artefici di comunione nella Chiesa e nella società. A questo fine valgono l’animo aperto ai fratelli, la mutua comprensione, la prontezza nella cooperazione mediante lo scambio generoso dei beni culturali e spirituali” (Slavorum Apostoli, 27).

Anche sotto questo profilo, Chiesa e università sono vicine: tutte e due “si consacrano, ciascuna alla propria maniera, alla ricerca della verità, al progresso dello spirito, ai valori universali, alla comprensione, allo sviluppo integrale dell’uomo, all’esplorazione dei misteri dell’universo” (“Nuntius ad Universitarios Americae Centralis”, die 7 mar. 1983: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VI, 1 [1983] 642). Un’accresciuta, reciproca comprensione tra loro non potrà che giovare al raggiungimento di questi nobilissimi scopi.

7. “Si gloriari oportet . . .”, vorrei riprendere adattandole le parole dell’apostolo Paolo (2 Cor 11, 20; 12, 1). No! Non conviene vantarsi, e non è questa la sede per proporre riflessioni apologetiche fin troppo facili. Ma pure, come non è lecito negare i doni di Dio che sono grandi e reali nel mondo e nell’uomo, così - sul piano della verità storica - non vanno taciuti i meriti quando siano consistenti e non contestabili.

Cari fratelli e amici! Fu merito della Chiesa cattolica l’aver favorito - con l’utilizzazione di precedenti esperienze, con la dedizione dei suoi figli di più alto intelletto, con la sua partecipazione a quel moto di rinascita che la storiografia riconosce anche al medioevo - il sorgere e il diffondersi dell’istituzione universitaria in tutta l’Europa. Un merito che è un monito; un merito che è un invito a meditare circa l’opportunità, anzi l’urgenza di scrutare evangelicamente i “segni dei tempi”. Oggi come ieri! Fu quella un’opera di elevato profilo culturale e sociale, un’opera di autentica “promozione umana”. Oggi cresce la richiesta di una più ampia solidarietà tra gli uomini per respingere le insidie dell’egoismo e della violenza, per superare le ingiustizie e le derivanti tensioni, per instaurare una vera pace nel mondo. Come allora, la Chiesa vuol essere presente con vigile attenzione e con materna sollecitudine nell’esercizio della sua missione, nella quale, se il nucleo vitale è e resta sempre l’annuncio del Vangelo del Figlio di Dio, c’è posto, ampio posto - come diretta conseguenza ed inscindibile concatenazione - per le attese e per i problemi dei figli degli uomini. Come allora, la Chiesa intende evangelizzare e nello stesso tempo promuovere l’uomo, offrendo a tutti la sua collaborazione. Anche alle università e al mondo della cultura!

Pur nelle mutate circostanze, è tuttora possibile, anzi auspicabile e indubbiamente feconda una tale collaborazione.


Dopo l’incontro con la comunità accademica, Giovanni Paolo II visita la sede dell’Università bolognese, soffermandosi a salutare il personale tecnico e amministrativo dell’Ateneo, al quale rivolge le seguenti parole.  

Sono lieto di incontrarmi con voi, rappresentanti del personale tecnico e amministrativo, che, insieme con i docenti e gli studenti, formate la comunità universitaria. A voi il mio saluto cordiale.

L’opera, che svolgete a necessario supporto del funzionamento della struttura universitaria, è certamente preziosa, anche se meno appariscente e spesso meno ricca di riconoscimenti e gratificazioni. Ma i risultati sul piano scientifico e formativo e i successi del vostro Ateneo appartengono anche a voi, perché non sarebbero possibili senza la vostra collaborazione.

L’importanza del vostro lavoro non si ricollega solo alle finalità dell’istituzione universitaria, ma si caratterizza anche in ordine ai rapporti umani, alla formazione cioè di una comunità in cui le persone che vi si ritrovano siano rispettate pienamente nella loro dignità e nei loro diritti.

Il mio augurio è che il vostro lavoro sia adeguatamente riconosciuto e possa essere per ciascuno di voi un modo in cui esprimere pienamente le proprie capacità, partecipando attivamente e consapevolmente, in spirito di costante disponibilità, alle finalità di ricerca e di formazione, proprie della istituzione universitaria.

Con questi voti imparto di cuore a voi ed alle vostre famiglie la mia benedizione.

 

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