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VISITA PASTORALE A MESSINA E A REGGIO CALABRIA

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI SACERDOTI, AI RELIGIOSI E AI LAICI

Reggio Calabria - Domenica, 12 giugno 1988

 

Carissimi sacerdoti, religiosi e religiose,
membri dei consigli pastorali,
operatori pastorali, giovani.

1. Vi rivolgo un cordiale saluto ed esprimo il mio ringraziamento per la vostra festosa accoglienza. Saluto con fraterno affetto l’episcopato italiano e in particolare il Pastore di questa diocesi, l’Arcivescovo metropolita monsignor Aurelio Sorrentino, a cui va il merito di aver organizzato con impegno, insieme con i collaboratori, il XXI Congresso eucaristico nazionale. Saluto il Cardinale Arcivescovo di Palermo, legato pontificio per questo congresso.

Questo incontro sul sagrato della Basilica cattedrale assume un particolare significato nella cornice di tale straordinario avvenimento ecclesiale, che oggi qui si conclude e che ha avuto come tema di approfondimento teologico e di impegno pastorale l’Eucaristia segno di unità.

La Chiesa cattedrale, che è il tempio principale della chiesa locale, è già essa stessa un segno di unità, quale luogo privilegiato di incontro del Popolo di Dio, che vi si raccoglie intorno al proprio Vescovo per ascoltarne la parola, cantare le lodi di Dio e celebrare i divini misteri. Qui, dice la costituzione sulla sacra liturgia, “c’è la principale manifestazione della Chiesa nella partecipazione piena e attiva di tutto il Popolo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima Eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare, cui presiede il Vescovo, circondato dal suo presbiterio e dai ministri” (Sacrosanctum Concilium, 41).

Nell’Eucaristia celebrata dal Vescovo nella cattedrale risplende, dunque, nel modo più luminoso l’unità della Chiesa: lì sta la radice e il centro delle comunità, lì il segno e la causa dell’unità del Popolo di Dio.

2. Dall’Eucaristia deve quindi trarre ispirazione e forza e all’Eucaristia deve condurre tutta l’attività pastorale. Una azione pastorale senza questo collegamento vitale scadrebbe in attivismo sterile, in un umanitarismo privo di contenuto evangelico. Questo è vero per i sacerdoti, nati dall’Eucaristia e per l’Eucaristia, ma anche per gli operatori della pastorale, chiamati ad un impegno di testimonianza che si esaurirebbe ben presto se non trovasse alimento nella partecipazione al corpo e sangue del Signore; è vero per i religiosi che dall’Eucaristia possono attingere la forza per perseverare nella loro consacrazione e per viverla nel vincolo della fraternità.

Un’attività pastorale incentrata nell’Eucaristia non può essere che un’attività vissuta nella comunione. Non è del resto questo l’auspicio espresso da Gesù stesso nell’ultima cena: “Che tutti siano una cosa sola perché il mondo creda che tu mi hai mandato”? (Gv 17, 23).

La circostanza solenne del Congresso eucaristico mi induce a ritornare sull’esigenza di comunione, a cui l’Eucaristia ci sollecita.

Lo faccio con le parole che ebbi occasione di rivolgere, anni addietro, ai Vescovi della Campania in visita “ad limina”: “Questa unione nella fede e nella carità, testimonianza concreta dell’unità voluta da Gesù deve continuare ad animare e indirizzare le vostre diocesi, e ispirare altresì tutte le molteplici iniziative di carattere pastorale, che voi, nella vostra sollecitudine episcopale, intendete promuovere. Ad evitare dispersione di energia, diversità di indirizzi nelle scelte, iniziative saltuarie e disarticolate, si avverte sempre più la necessità di un autentico coordinamento unitario non solo a livello diocesano, ma altresì a livello regionale. Occorre, per il bene della Chiesa, saper superare, nell’unità e nella carità, un certo tipo di non bene intesa autonomia, che potrebbe manifestarsi, alla prova dei fatti, o inutile o inefficace” (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IV, 2 [1981] 686).

3. Lascio a voi l’impegno di tradurre in intese concrete questa esigenza di unità, di coordinamento e, ove occorra, di integrazione fra le diverse diocesi, che devono sempre maggiormente aprirsi a visioni più larghe. Vi attende un compito molto difficile: quello di riproporre il messaggio evangelico in un contesto di indifferenza religiosa, di consumismo e di esaltazione dell’uomo che, per le conquiste tecniche e scientifiche raggiunte, si ritiene autosufficiente. C’è un ateismo pratico piuttosto generalizzato, che rappresenta il dramma del nostro tempo.

Non possiamo ignorare queste sfide, che la società di oggi pone alla Chiesa. Occorre, perciò, mostrare all’uomo contemporaneo che non ci può essere vera libertà, piena giustizia, sincera pace dove Dio è dimenticato, dove Cristo è negato o emarginato. Ma, nonostante tutte le apparenze, l’uomo, che sta facendo la triste esperienza della lontananza da Dio, della sofferenza e dell’angoscia, è oggi più disponibile a riconoscere il proprio limite, ad accogliere il messaggio evangelico. È sempre vero che “solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo”, che “chiunque segue Cristo, l’Uomo perfetto, si fa pure lui più uomo” (Gaudium et Spes, 22 e 41). “Senza dubbio - scriveva il mio predecessore Paolo VI nell’enciclica Populorum Progressio - l’uomo può organizzare la terra senza Dio, ma senza Dio egli non può alla fine che organizzarla contro l’uomo. L’umanesimo esclusivo è un umanesimo inumano” (Pauli VI Populorum Progressio, 42).

4. Perciò occorre, in questo contesto, trovare nuove forme di evangelizzazione. Fra queste è opportuno ricordare il sapiente uso dei moderni mezzi di comunicazione sociale e soprattutto una catechesi sistematica ed organica, estesa a tutte le fasce di età, ma rivolta con particolare cura ai giovani e agli adulti.

Con la catechesi, vanno ricordate la liturgia e la testimonianza della carità. La catechesi non è fine a se stessa, non è erudizione, ma educazione alla fede. Deve, perciò, tendere a portare all’incontro con Dio, al dialogo con lui, alla vita sacramentale, nella partecipazione consapevole alla liturgia. L’attenzione ai fratelli bisognosi, non solo è un dovere di carità, ma rappresenta anche la testimonianza più efficace della validità della nostra fede. “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o, se ascolta i maestri, lo fa perché sono dei testimoni” (Evangelii Nuntiandi, 41).

Come frutto del congresso, celebrato all’insegna dell’unità, voglio anche ricordare altri due punti che sono stati fortemente sottolineati nel vostro programma: la santificazione del giorno del Signore e una maggiore intesa fra le diverse aggregazioni ecclesiali.

Un dato caratterizzante e di grande rilievo dell’attuale momento storico della chiesa è il fenomeno vasto e complesso delle aggregazioni ecclesiali, dei movimenti e dei gruppi di laici. Hanno tutti in comune lo sforzo di valorizzare la fraternità e l’amicizia, la condivisione all’impegno evangelizzatore, liturgico e missionario. È a queste condizioni, infatti, che possono essere autentici luoghi di promozione del laicato e di santificazione. Ma anche per essi può sussistere il pericolo di un eccessivo autocompiacimento e un’assolutizzazione della propria esperienza che può anche giungere a un estraneamento dalla pastorale della Chiesa locale. Questo pericolo può essere evitato se tutti si sforzano di vivere nella piena comunione col proprio Vescovo, inserendosi volenterosamente nei piani pastorali della Chiesa locale.

5. Questo congresso ha giustamente sottolineato anche la dimensione sociale dell’Eucaristia. L’Eucaristia infatti non dice soltanto intimo rapporto di ogni fedele con Cristo, ma anche generosa solidarietà con i fratelli.

Dall’Eucaristia nasce quindi l’impegno di una presenza sociale della Chiesa. Questo comporta uno sforzo di comprensione della società in cui viviamo, della problematica dell’uomo contemporaneo. Il cristiano che vive dell’Eucaristia non può e non deve essere solo critico o rassegnato. Si deve assumere la responsabilità di essere operatore di pace e costruttore di giustizia.

Nella mia precedente visita a questa regione ho avuto modo di parlare più volte della cosiddetta questione meridionale. Voglio ricordarla ancora in questa seconda visita anche perché ricorre quest’anno il 40° anniversario della lettera pastorale collettiva del 25 gennaio 1948 sui problemi del Mezzogiorno.

La “questione” resta ancor oggi aperta. Mentre auspico che lo Stato sia sempre più attento e sollecito ai vostri problemi con interventi che non siano di pura assistenza, ma che stimolino invece all’autopromozione, esorto anche voi ad avere fiducia in voi stessi: non cedete alla sfiducia e allo sconforto. Impegnatevi a formare cittadini onesti, animati dallo spirito di servizio, moralmente e spiritualmente preparati mediante lo studio dell’insegnamento sociale della Chiesa, di cui anche qui, come in tante altre diocesi, è stata promossa un’apposita scuola. Siete un popolo di forti tradizioni religiose e civili. Il congresso vi deve aiutare a superare le presenti difficoltà: accrescendo la vostra fede, esso potrà aiutarvi a ricomporre il tessuto sociale, a superare le divisioni, ad estinguere gli odi e lo spirito di vendetta, che tanti lutti hanno seminato in mezzo a voi.

La forza morale di un popolo si misura dalla capacità di resistenza, dalla volontà di non soccombere dinanzi alle avversità, dal suo positivo impegno di operare per la costruzione di una società più giusta e più pacifica.

6. Un particolare pensiero desidero rivolgere a voi, giovani. Fate vostro il messaggio del Congresso eucaristico, che oggi concludiamo. Abbiate il coraggio del Vangelo, formatevi al senso della libertà e della responsabilità. Non date spazio alla tentazione della violenza, del disimpegno, non lasciatevi corrompere dalle lusinghe della droga e del consumismo, non cadete nelle spire di organizzazioni criminali e mafiose. So quanto generosi sono i vostri slanci, quanto sincero il vostro impegno di diventare operatori di pace e costruttori di giustizia. È necessario fare in modo che non vengano mortificate le vostre energie e non rimangano deluse le vostre attese. In questo vi devono aiutare i vostri genitori, i sacerdoti, la scuola, quanti hanno possibilità di intervenire nel campo sociale, culturale, informativo. Ma ricordatevi, carissimi giovani, che dovete essere voi stessi i primi responsabili della vostra storia, del vostro avvenire, dell’avvenire della vostra terra.

A tutti ricordo che il Signore “mediante l’Eucaristia, sacramento e sacrificio, ci unisce con sé e ci unisce tra di noi con un vincolo più forte di ogni unione naturale; e uniti ci invia al mondo intero per dare testimonianza con la fede e con le opere, dell’amore di Dio, preparando la venuta del suo Regno e anticipandolo pur nelle ombre del tempo presente” (Sollicitudo Rei Socialis, 48).

Raccogliendo il messaggio del congresso ripeto a voi l’accorato appello all’unità dell’apostolo Paolo, che è anche patrono di questa diocesi: “Vi esorto a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l’unità dello spirito nel vincolo della pace. Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (Ef 4, 1-6).

Ecco i sentimenti, le riflessioni che volevo presentare a voi tutti qui riuniti, come una sintesi del Congresso eucaristico nazionale celebrato nella vostra città. E con questi sentimenti voglio a voi qui presenti ed a quanti generosamente si impegnano per l’avvento del Regno di Dio in questa diletta terra calabrese offrire la mia benedizione.

 

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