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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PADRI CAPITOLARI DELLA CONGREGAZIONE
DELLA PASSIONE DI GESÙ CRISTO

Venerdì, 14 ottobre 1988

 

1. Sono lieto di accogliere e salutare tutti voi padri capitolari della Congregazione della Passione di Gesù Cristo. Saluto in particolare il Preposito Generale padre Paul Boyle, che ringrazio per le parole ora rivoltemi. Siete riuniti a Roma per il Capitolo Generale. È un momento particolarmente importante per la vita della vostra Congregazione. Accompagno i vostri lavori con la mia preghiera, affinché il Signore vi illumini, e siate in grado di rispondere ai quesiti e alle esigenze fondamentali riguardanti l’identità dell’Istituto, quale fu concepito dal fondatore ed è stato ripetutamente approvato dalla Chiesa. È un impegno questo, che va affrontato alla luce degli insegnamenti del Vaticano II il quale nel decreto Perfectae Caritatis, offre a tutti un autorevole strumento di esame e di confronto, di correzione e di sviluppo. In esso i “principi generali” richiamati per il “rinnovamento della vita religiosa” escludono a priori ogni possibile equivoco ispirato alla mentalità relativistica, tipica dell’attuale cultura talora agnostica e storicistica: la Chiesa concepisce e incoraggia il progresso solo se condizionato ad un “continuo ritorno alle fonti di ogni forma di vita cristiana e allo spirito primitivo degli istituti” (Perfectae Caritatis, 2). E la ragione è evidente se si riflette che, per il Corpo mistico, quel che principalmente vale non è né il “passato” né il “futuro” quali misure d’ogni evento umano; ma il presente della intramontabile vita del Cristo che emerge su tutti i tempi perché “Alfa ed Omega, primo e ultimo, principio e fine” (Ap 22, 13).

2. Conosco la serietà con la quale, da secoli, siete stati gelosi del “patrimonio” del vostro Istituto: lo dimostra la stima incondizionata dei fedeli che vi hanno sempre venerati per l’austerità della vita e la generosità della vostra attività missionaria. Inequivocabile, del resto, la conferma offerta dal numero relativamente elevato e dalla meravigliosa statura degli uomini che, fedeli agli esempi del fondatore, godono o sono avviati agli onori degli altari. A tal riguardo, sono lieto di poter annoverare, domenica prossima, nel catalogo dei beati, ben due padri passionisti: Bernardo Maria di Gesù e Carlo di sant’Andrea.

3. La vostra Congregazione si allinea con gli Ordini di vita mista, quelli cioè, come ha indicato il Concilio, che “per regola uniscono strettamente la vita apostolica all’ufficio corale e alle osservanze monastiche” (Perfectae Caritatis, 9).

Secondo il “carisma” dei figli di san Paolo della Croce la “contemplazione” è favorita da una “solitudine” anche geografica che, conferendo ad ogni casa il carattere del “ritiro”, garantisce ai religiosi una vita comunitaria scandita da osservanze specificamente monastiche e goduta nel silenzio e nella pace, che condizionano la più “alta astrazione da tutto il creato”, come appunto si esprimeva il vostro santo fondatore.

Ma c’è di più. Quel che distingue la vostra vita interiore, finalizzando “solitudine”, “povertà” e “penitenza”, è quella unione con Dio, mediata da una intensa partecipazione alla passione espiatrice e redentrice di Cristo: perché è nella e per l’umanità crocifissa del Salvatore che - realizzando un pieno distacco dalle creature - potete accedere al “seno del Padre”, immergervi nel mistero del suo amore infinito.

Ed è tale vita “abscondita cum Christo in Deo” (Col 3, 3) che, differenziando la professione contemplativa del “passionista”, costituisce come l’anima della sua azione nella Chiesa, il motivo ispiratore dei suoi rapporti col mondo. Ed ecco, appunto, la dimensione apostolica del suo “carisma”, caratterizzata anch’essa dal mistero di una passione non solo contemplata e vissuta, ma anche predicata al mondo come “il miracolo dei miracoli dell’amore di Dio” (S. Pauli a Cruce).

4. In occasione del vostro Capitolo generale desidero richiamare tali tipici aspetti della spiritualità passionista, perché sono premesse insostituibili d’ogni riflessione sul passato e di ogni proposta di rinnovamento per l’avvenire della Congregazione.

È noto a voi tutti come la vostra “personalità di contemplativi e di apostoli del Crocifisso” oggi sia esposta all’urto di correnti di pensiero e di costume disgregatrici; si tratta di spinte che possono disorientare anche i più accorti, perché apparentemente giustificate dagli stessi elementi essenziali della natura dell’Istituto, interpretati in senso riduttivo e - più spesso - avulsi dal contesto che forma la “sintesi” del peculiare modo di pensare e di agire del fondatore e di tanti santi, che hanno onorato la vostra Congregazione.

Vi esorto, dunque, a non cedere alle “tentazioni” del nostro tempo.

Mi riferisco in particolare alla difficile sintesi dei due elementi, quello contemplativo e quello attivo, poiché Paolo della Croce ha fondato un Istituto di contemplativi-apostoli, i quali appunto dalla ricchezza di una maggiore concentrazione in Dio traggono la potenza della espansione nel mondo.

Il mistero della passione vi dà un nome e vi distingue, anche col suggestivo abito religioso, da tutti gli altri Ordini. A nessuno di voi, pertanto, sia lecito non solo esercitare le professioni umane, ma anche far propri movimenti di spiritualità o farsi promotori di esperienze non consentite dalla natura specifica della vocazione professata dal vostro Istituto: sarebbe un tradimento dell’originario carisma del fondatore!

5. Solitudine, povertà e penitenza, disponendo all’unione col Cristo in Dio e modellando in voi la figura del “contemplativo” sollecito della propria santificazione personale, devono accendere in voi lo zelo che irrompe in un’attività missionaria non generica, ma specifica, perché limitata al ministero della parola e banditrice di una “sapienza della croce” assimilata nel silenzio del “ritiro”, nelle austerità della vita comune, nel deciso rifiuto di ogni distrazione profana.

Di qui prende luce “la sana tradizione” di alternare periodi di raccoglimento e di riposo “ai piedi del Crocifisso” a periodi di lavoro apostolico condotto secondo ben definite forme di “predicazione straordinaria”, che devono la propria irresistibile forza d’urto alla carica contemplativa accumulata nella quiete della vita monastica.

Certamente non potete restare insensibili alle moltiplicate necessità della Chiesa e a svariate richieste di nuove categorie sociali. Ma ciò esige solo di “adattare”, non di sopprimere il tradizionale ministero della parola, sostituendolo con forme di attività che costringerebbero a sacrificare la componente contemplativa della vostra vocazione, unico vero segreto d’ogni opera missionaria.

A voi, assai più che ad altri religiosi, il Concilio ripete che “le migliori forme di aggiornamento non potranno avere successo, se non saranno animate da un rinnovamento spirituale, al quale spetta sempre il primo posto anche nelle opere esterne di apostolato” (Perfectae Caritatis, 2c).

6. Mi auguro che queste riflessioni vi siano di stimolo per un processo di rinnovamento capace di rivelare la perenne vitalità dell’Istituto ad un mondo in attesa di uomini intrepidi nel proclamare la “sapienza della croce” con la testimonianza della vita e della parola.

Con questi voti nel cuore vi imparto la mia benedizione, che estendo a tutti i membri della vostra Congregazione.

 

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