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VISITA PASTORALE A TORINO

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
DURANTE LA VISITA ALLA SCUOLA DI APPLICAZIONE
DELL’ESERCITO ITALIANO

Torino - Domenica, 4 settembre 1988

 

Signor Generale,
cari ufficiali ed allievi della Scuola di Applicazione!

1. Sono lieto di trovarmi tra voi: saluto tutti cordialmente. Saluto in particolare, il Generale Comandante e l’Arcivescovo Ordinario Militare, che ringrazio per le loro parole di benvenuto.

Con questa mia seconda visita pastorale a Torino come voi sapete, intendo onorare nel 1° centenario della morte, quel grande educatore di giovani che è stato san Giovanni Bosco. Mi è caro peraltro aver avuto l’occasione di visitare anche questa Scuola, dove fu allievo e maestro un grande ammiratore e collaboratore di don Bosco, il Capitano di Stato Maggiore Franceso Faà di Bruno.

La Chiesa ne ha riconosciuto le virtù eroiche e si appresta ad elevarlo agli onori degli altari. Sono lieto che i responsabili della Scuola, d’intesa col vostro Vescovo Ordinario Militare, abbiano deciso di dedicargli una cappella. Il suo ricordo sarà in tal modo più continuo, come quello di un patrono particolarmente vicino, avendo egli stesso sperimentato, come voi e prima di voi, che cosa significhi essere militare in una coerente visione cristiana della vita.

La mia presenza in mezzo a voi vuole essere anche un gesto di stima e di gratitudine per quanto voi compite o vi preparate a compiere a favore della sicurezza, della libertà e della pace. Sono valori irrinunciabili, questi, che vanno inculcati negli animi dei giovani e per i quali è necessario compiere ogni sforzo e allenarsi interiormente con una profonda educazione spirituale e sociale, che diventi un abito, un modo permanente di pensare e di agire.

Per Francesco Faà di Bruno la dedizione al mondo militare non terminò quando altri impegni e responsabilità lo portarono a lasciare la divisa, che aveva indossato con nobiltà e convinzione. Lo provano le molte iniziative che egli intraprese per promuovere la formazione umana e cristiana dei militari.

Mi pare di cogliere in questa testimonianza vissuta quanto è tipico nella vostra istituzione. Le vostre scuole, infatti, hanno come obiettivo principale l’educazione degli allievi, soprattutto di quelli che si troveranno ad essere responsabili di altri giovani. I programmi della Scuola di Applicazione mirano in effetti a preparare uomini capaci di comprendere i moderni sistemi preposti alla tutela della pace. Essi esigono determinazione, ma anche lucidità nel considerare i nuovi scenari della vita internazionale. Vi auguro di inquadrare la vostra preparazione in questa ampiezza di orizzonti.

2. L’enciclica Pacem in Terris del mio predecessore Giovanni XXIII, proprio venticinque anni fa, esortava a guardare la realtà della difesa con occhio e cuore decisamente nuovi. Ciò non sarà mai possibile senza uomini nuovi. L’umanità intera anela alla pace. La Chiesa di Gesù Cristo non può non far riecheggiare incessantemente l’invito evangelico della pace. Ma non c’è garanzia di pace senza verità, senza libertà, senza giustizia, senza solidarietà.

A questo quadrilatero ideale tutti gli uomini di buona volontà, e specialmente quanti si onorano del nome cristiano, devono costantemente ispirarsi se non vogliono vanificare i loro sforzi.

Ci sono dunque profonde esigenze morali alla base dell’educazione di responsabili della vita militare.

L’esempio del vostro collega Faà di Bruno e il richiamo della tradizione cristiana ancora così viva in Italia, vi aiutino ad entrare in confronto coraggioso con queste esigenze. La novità dell’uomo non risiede tanto nella acquisizioni tecniche oggi raggiunte, quanto nella capacità di usarle con spirito nuovo. In un’epoca di robot, c’è più che mai bisogno di uomini responsabili.

Vogliate consentirmi un altro rilievo inteso a ribadire l’importanza che attribuisco a questo incontro. Da questa Scuola, che proprio quest’anno celebra il 250° anniversario della sua fondazione, partono ogni anno i giovani ufficiali destinati ad addestrare buona parte dei loro coetanei nell’ambito del servizio militare.

Altre volte ho richiamato l’importanza di questo periodo in un momento tanto delicato nella vita del giovane. Esso dovrebbe essere un motivo di crescita globale e offrire l’occasione di formarsi ad un’autentica responsabilità. Ciò comporta per tutti, anche per i giovani avviati al servizio militare che sono ancora oggi di gran lunga la maggioranza dei giovani, una scelta di coscienza. Come superare il distacco dalla famiglia, dagli amici, dall’ambiente senza una forte motivazione interiore? Senza che siano presenti ed operanti solidi principi di sicura convinzione?

Viviamo in un momento di radicali trasformazioni culturali e sociali che toccano anche alcuni settori delicati come la famiglia, la scuola, la parrocchia, i gruppi. In questo contesto si rendono indispensabili figure nobili, come quella di Faà di Bruno e di molti altri, che hanno dato spessore educativo anche all’esperienza del servizio militare.

Certamente garantirete questa altissima funzione sociale, cari giovani ufficiali, se vi porrete come obiettivo primario della vostra carriera il servizio dell’uomo. A questo livello si pone, mi pare, il modello più alto e più moderno di ufficiale e di militare. Non si può pretendere dagli altri quello che non si è in grado di motivare e di accettare personalmente.

3. La legge italiana, come quella di diversi Paesi del mondo, prevede la presenza dei cappellani, la cui funzione non è solo di assicurare, a coloro che lo desiderano, l’adempimento dei doveri religiosi. La loro missione più impegnativa, anche se in modo discreto, tende a sostenere la buona volontà di quanti cercano ragioni trascendenti per vivere.

Da poco tempo, come voi certamente saprete, ai militari è stata riconosciuta dalla Sede apostolica la condizione canonica di vera comunità ecclesiale. Questo comporta più larghe possibilità pastorali per i cappellani, ma anche coinvolgimento più pieno dei laici, cioè dei fedeli appartenenti al quadro permanente, o in servizio di leva, e alle loro famiglie.

Don Bosco, quando i suoi ragazzi partivano militari, scriveva personalmente ai cappellani ed ai superiori perché non ci fossero rotture nel processo di crescita dei giovani. Sono convinto che questa premura è ancora attuale e spero che diventi abituale nelle comunità cristiane italiane.

Possa la mia visita, cari giovani, essere motivo per una riflessione più profonda sulla vostra missione umana e cristiana nella società contemporanea. Di voi, della vostra dirittura morale, della vostra lealtà, della vostra bontà ha bisogno la Patria, che a voi affida le nuove generazioni. Su di voi, come cattolici operosi e coerenti, conta anche la Chiesa. E il Papa oggi, insieme a tutti i vostri amici e colleghi, vi incoraggia e vi benedice.

 

© Copyright 1988 - Libreria Editrice Vaticana

 



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