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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI LATINI DELLA REGIONE ARABA
IN VISITA
«AD LIMINA APOSTOLORUM»

Venerdì, 3 febbraio 1989

 

Beatitudine, cari fratelli in Cristo.

1. Il fraterno incontro con voi, col Patriarca latino di Gerusalemme, i suoi vicari generali e con i Vescovi latini della Regione Araba, è per me un momento di intensa gioia e di spirituale comunione. Vi do il benvenuto con gli stessi sentimenti espressi nella lettera di Paolo a Filemone: “Rendo grazie al mio Dio, sempre ricordandomi di te nelle mie preghiere, per avere udito di te l’amore e la fede che hai verso il Signore e verso tutti i santi” (Fm 4-5).

Penso con affetto e stima ai nostri fratelli e alle nostre sorelle, dei quali voi siete Pastori e che servite con fede e umiltà: i sacerdoti, i religiosi e i laici del patriarcato latino di Gerusalemme, dell’arcidiocesi di Baghdad, delle diocesi di Gibuti e di Mogadiscio, dei vicariati apostolici di Aleppo, Alessandria, Arabia, Kuwait e Libano.

Menzionare questi nomi significa ricordare una realtà ricca di profondo valore spirituale. Voi, cari fratelli, esercitate il vostro ministero pastorale in un contesto molto speciale e privilegiato: una regione del mondo dove sono nate e fiorite grandi civiltà, la Terra santa, il luogo dell’Incarnazione di nostro Signore e salvatore Gesù Cristo. Realmente, le regioni che voi rappresentate sono il cuore della storia della salvezza.

2. Nel contesto della vostra visita, tra tutte le riflessioni, ne emerge una in particolare: dal cuore di quella regione, Pietro, il pescatore di Tiberiade, è venuto in questa città, dove i suoi successori hanno svolto la loro missione per essere “il fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede e della comunione” (Lumen Gentium, 18).

Come Pietro e secondo la chiamata ricevuta dal Signore, voi ed io siamo diventati “pescatori di uomini” (cf. Mt 4, 19). In questo modo noi siamo uniti da una profonda e duratura comunione di fede e di servizio al Popolo di Dio. Questo incontro è il segno della sollecitudine pastorale che abbiamo condiviso nei nostri incontri personali e parlando delle vostre Chiese locali. In questo modo, noi siamo espressione della natura collegiale del nostro ministero, una collegialità, che è misura del nostro amore per la Chiesa.

3. Desidero esprimere la speranza che questo aspetto collegiale della vostra missione di Pastori possa continuare ad ispirare il lavoro della vostra Conferenza, che trova le sue origini fin dagli anni del Concilio Vaticano II.

Nella vostra più recente assemblea, svoltasi nel novembre scorso ad Amman, voi avete esaminato con molta attenzione e profondità la situazione delle vostre Chiese locali, così diverse l’una dall’altra nella loro composizione e nel loro contesto, ma anche con molti aspetti comuni, derivanti dalla vostra situazione di comunità minoritarie in ciascuno dei vostri paesi.

La vostra assemblea è stata il chiaro riflesso del perseverante e profondo zelo che caratterizza la vostra attività pastorale. Voglio riferirmi in particolare alla dedizione, con la quale voi e i vostri collaboratori affrontate il compito di trasmettere la fede alle generazioni più giovani, tramite la catechesi e le altre forme di educazione. È commovente ricordare il modo con il quale i vostri sacerdoti, i vostri religiosi e i vostri laici rispondono a questa urgente necessità. Lo fanno accettando una sfida con la viva consapevolezza che è in gioco il futuro delle vostre comunità.

Vi prego di portare ad essi il mio sostegno e il mio vivo incoraggiamento.

Pur ricordando le diversità di situazioni nelle quali vivono i vostri fedeli, vorrei sottolineare che certamente, tra le vostre Chiese, vi sono aspetti comuni, con i quali voi, nella vostra Conferenza, vi confrontate insieme e vi arricchite vicendevolmente con l’apporto di ciascuno.

Molti di voi sono chiamati ad esercitare il loro ministero in circostanze socio-politiche difficili. In alcuni dei vostri Paesi i fedeli soffrono e muoiono in conflitti che per anni hanno segnato la regione del Medio Oriente e la regione del Golfo.

Inoltre, dovete far fronte alle speciali esigenze che derivano dall’essere minoranze, tra cristiani di altri riti e confessioni e, in molti casi, dall’essere una esigua presenza in società a maggioranza musulmane.

Voi avete accettato queste ed altre circostanze non solamente considerandole un ostacolo al lavoro evangelico, ma piuttosto come un nuovo stimolo per un generoso e fedele ministero. La Chiesa non può che esservi riconoscente per il sostegno e l’incoraggiamento che voi offrite ai fedeli, per l’armonia che voi cercate di costruire tra di loro, per la forza che voi infondete nelle famiglie, per la speranza che voi trasmettete alla gioventù, insegnando la bellezza e la sacralità della vita e il rispetto della dignità di ogni persona umana, anche quando esse sembrano di fatto negate.

4. La vostra risposta alle sfide che voi incontrate nel ministero è colma dell’ardente amore che Gesù ha insegnato ai suoi discepoli di avere l’uno per l’altro, l’amore che è di Dio e sconfigge la paura (cf. Gv 4, 18). Questo amore implica una fondamentale disposizione di apertura agli altri tramite il dialogo e il servizio.

Nel vostro caso, il dialogo è una realtà della vita quotidiana, specialmente il dialogo ecumenico ed interreligioso.

Comprendo bene i limiti nei quali questo dialogo deve realizzarsi e so che, qualche volta, dovete sopportare anche risposte negative ai vostri sforzi.

Nonostante tutto, la Chiesa, in risposta alla volontà di Cristo, è impegnata a ricercare l’unità dei cristiani e il dialogo, nella verità e nella pace, con tutti gli uomini e le donne di buona volontà. So che, in questo ambito, voi cercate di offrire la necessaria guida pastorale per sostenere la fede e la vita ecclesiale dei fedeli.

5. Devo anche sottolineare che il vostro ministero, in collaborazione specialmente con il lavoro dei religiosi e delle religiose delle vostre regioni, offre, dov’è possibile, un notevole servizio nell’ambito della educazione e della salute.

In questo contesto desidero esprimere un vivo apprezzamento per la Compagnia di Gesù, a motivo del lavoro svolto nella università “Saint Joseph” di Beirut. L’università è stata strumento di formazione per generazioni di studenti dei paesi mediorientali ed appartenenti alle diverse fedi religiose. Nonostante la presente difficile situazione libanese, essa è impegnata in uno sforzo molto positivo per promuovere la vita culturale della regione. Lo stesso sforzo è realizzato in altri centri di formazione e istituti educativi affidati a religiosi latini.

Non meno degno di nota è il contributo dell’educazione offerto dall’Università di Betlemme, diretta dai fratelli delle Scuole cristiane. Da più di un anno e mezzo, essa è chiusa e costituisce una testimonianza silenziosa di un conflitto politico, che porta, tra l’altro, alla distruzione dei valori essenziali alla costruzione di una civiltà degna dell’uomo.

La fede e l’amore evangelici, che animano le vostre Chiese locali, sono chiaramente visibili nelle molteplici attività caritative ed assistenziali che vi si svolgono. Tramite voi desidero esprimere uno speciale augurio per il personale degli ospedali e dei centri di salute, dei quali voi avete la responsabilità pastorale. Ringrazio anche le organizzazioni cattoliche internazionali, che sostengono questo servizio. Che il Signore benedica questi sforzi comuni della carità cristiana al servizio del bene di tutti i bisognosi!

6. Alla radice di tutte queste iniziative, un osservatore obiettivo non troverà altra motivazione che il desiderio di servire lo sviluppo della persona umana, secondo il disegno di Dio.

Il dialogo con i fratelli e le sorelle musulmani si fonda sul fatto che Dio è il Padre comune di tutta la famiglia umana. Il suo piano per la creazione abbraccia la vita e il benessere di ogni persona. Come ho già indicato a Casablanca, nel discorso ai giovani islamici, esiste una enorme possibilità di comprensione e collaborazione tra cristiani e musulmani nel cercare di risolvere insieme i problemi degli uomini di oggi, e specialmente dei giovani. “Il mondo è come un organismo vivente; ciascuno ha qualche cosa da ricevere dagli altri e qualche cosa da dare loro” (Allocutio Albae domi, in Marochio, ad iuvenes muslimas, 7, die 19 aug. 1985: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VIII, 2 [1985] 503). Tale collaborazione e mutuo rispetto devono essere preceduti da una vera conoscenza e da una fraterna fiducia. Tutto ciò è finalizzato alla gloria di Dio e al bene autentico dei paesi dove voi vivete e lavorate.

7. Cari fratelli, pensando che voi venite da regioni così intimamente legate alle Sacre Scritture ed alla storia della Rivelazione, non posso evitare di rivolgere la mia mente alla pace, così spesso ricordata nella Bibbia come il più grande dei doni di Dio. Quella pace è la profonda aspirazione dei popoli della vostra regione.

Mentre dobbiamo ringraziare Dio per la fine delle ostilità nella regione del Golfo, siamo profondamente angosciati dalle notizie di ulteriori vittime, che giungono dalla Terra Santa e dal Libano.

Voi sapete in quante circostanze sono intervenuto pubblicamente per invocare la fine di tante sofferenze e di palesi ingiustizie che durano da troppi anni. Ho spesso affermato che tutti i popoli della Terra santa, del Libano e dell’intera regione hanno il diritto inalienabile a vivere in pace, libertà e dignità nella loro Patria.

I responsabili delle nazioni hanno il dovere morale di offrire il loro contributo per il rispetto di tale diritto. Le parti interessate sono invitate ad evitare atteggiamenti intransigenti o decisioni che potrebbero allontanare ancor più le possibilità di trovare adeguate composizioni dei conflitti.

In questo contesto i cattolici, seppur in minoranza, hanno anch’essi un ruolo molto importante da svolgere: come discepoli di Cristo sono testimoni di speranza, di carità, di perdono e di apertura all’altro. Si tratta di valori indispensabili per il trionfo della giustizia e dell’equità.

Quelli che realmente lavorano per la pace sanno che per la sua realizzazione occorre osservare l’uguaglianza e la reciprocità nel rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo. La pace politica e sociale può diventare realtà solamente tramite un autentico e concreto rispetto per i diritti di tutti incluso il diritto alla libertà religiosa. Vorrei attirare l’attenzione sul riferimento fatto a questo proposito, in occasione del discorso al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede: “Anche se, per ragioni storiche uno Stato accorda una protezione speciale a una religione, esso ha l’obbligo di garantire, d’altra parte, alle minoranze religiose le libertà personali e comunitarie, che derivano dal diritto comune alla libertà religiosa nella società civile . . . Purtroppo, non è sempre così . . . non è, infatti, rara l’esistenza di legislazioni o di disposizioni amministrative che offuscano il diritto alla libertà religiosa o che prevedono delle limitazioni talmente eccessive che finiscono per ridurre a nulla le rassicuranti dichiarazioni di principio” (Allocutio ad Nationum apud Sanctam Sedem Legatos, die 9 ian. 1989: vide supra, p. 60).

Prego costantemente affinché i capi delle nazioni vogliano riconoscere che non c’è pace senza libertà, che non c’è pace se l’uomo non trova in Dio l’armonia con se stesso e con gli altri.

8. Cari fratelli in Cristo, so bene che, nelle vostre fatiche quotidiane, voi e le vostre comunità dovete spesso affrontare situazioni difficili, derivanti da discriminazione, dal fatto di essere minoranze spesso esigue e dalla eterogeneità dei fedeli, così come non meno dalla scarsità dei sacerdoti. La vostra forza, però, viene dal di dentro, dalla grazia della preghiera, sia nella vita individuale, che nella vita della comunità radunata per ascoltare la Parola di Dio e offrire il sacrificio di lode.

A proposito della liturgia, ho appreso con gioia che avete pubblicato il messale festivo in lingua araba, curato dal patriarcato latino di Gerusalemme, terminando così la serie dei messali e lezionari già in uso. Si tratta di un mezzo essenziale per una sempre più efficace animazione cristiana.

Nel vostro lavoro pastorale vi assista la Madre di Dio, dandovi conforto ed aiutandovi a perseverare, con gioia e senza timore, nella speranza e nella carità. “Per mezzo di (Cristo) credete in Dio . . . in modo che la vostra fede e la vostra speranza siano in Dio” (1 Pt 1, 21).

Imparto di cuore la benedizione apostolica a voi e a tutti i vostri fedeli ed auguro che essa sia pegno di conforto e gioia spirituale e segno del mio vivo affetto nel Signore Gesù.

 

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