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INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON IL CLERO DELLA DIOCESI DI ROMA

Giovedì, 9 febbraio 1989

 

Cominciamo con una domanda che era certamente fuori programma. Ecco, in prima fila è colui che ha fatto la domanda, chiedendomi cosa io pensi del clero di Roma. Vorrei dare una risposta, ma non in linea retta, piuttosto in obliquo.

Ci troviamo all’inizio della Quaresima ed in questo periodo la Chiesa dice a noi tutti: “Mettiti in ascolto della Parola di Dio”. Lo dice a tutti e per primo al Papa: “Mettiti all’ascolto della Parola di Dio, fai i tuoi esercizi spirituali”. Si faranno tra poco, la prossima settimana, come è tradizione in Vaticano. Quest’anno predicherà gli esercizi un Cardinale, il Cardinale Biffi. Ma, prima di questi esercizi, vengono invitati i parroci di Roma, il clero di Roma, ed io mi metto in ascolto della loro parola. Si sa bene che per predicare gli esercizi si cerca sempre un buon predicatore, una persona qualificata. Allora, se voi siete stati invitati a fare questo primo esercizio spirituale al Papa . . . questo contiene già la risposta alla domanda del vostro collega su cosa pensi il Papa del clero di Roma.

Vi ringrazio per quanto ho potuto ascoltare. È stata veramente una relazione molto accurata, composta - possiamo dire - da diversi capitoli. Ogni capitolo ha trattato un aspetto diverso, e tutti hanno ruotato intorno al problema guida del “Sinodo di Roma”.

A queste considerazioni, a queste voci che abbiamo ascoltato tutti insieme, vorrei aggiungere una cosa di carattere storico, che viene dalle esperienze della Chiesa universale. Certamente, questo nostro Sinodo deve fare riferimento al Concilio Vaticano II. È un Sinodo post-conciliare.

Venticinque anni fa abbiamo partecipato a tale Concilio e possiamo dire, nello stesso tempo, lo abbiamo ricevuto. Tutti hanno ricevuto questo Concilio come un contenuto, come un messaggio, come una nuova lettura della Parola di Dio. Lo abbiamo ricevuto da noi tutti e, attraverso noi tutti, lo abbiamo ricevuto dallo Spirito Santo, Questo è il Concilio Vaticano II che così si interpreta, così si spiega nella storia della Chiesa o, piuttosto, nella ecclesiologia, la teologia della Chiesa.

Ma dopo il Concilio si è vista le necessità di trovarne le chiavi di lettura. Qui sono intervenuti i diversi Sinodi, le sessioni straordinarie e quelle ordinarie del Sinodo dei Vescovi, che coinvolgono l’Episcopato del mondo intero. Tra questi Sinodi post-conciliari direi che quello che costituisce la chiave di lettura di prim’ordine è stato il Sinodo del 1974 sull’evangelizzazione. Tutti i Sinodi post-conciliari, non solamente quello, hanno presentato una chiave di lettura del Concilio, ma direi che il Sinodo del ‘74 ha costituito una chiave centrale per la lettura del Concilio, del suo contenuto, del suo messaggio e del suo orientamento: come la Chiesa deve ricevere il Concilio e come deve farne la propria vita.

Inoltre si spiega anche molto bene come fra i documenti post-sinodali, quello che Paolo VI ci ha lasciato nella Evangelii Nuntiandi sia un documento che certamente spicca e guida la Chiesa in diversi ambienti, in diverse dimensioni. Naturalmente si potrebbe pensare che l’Evangelii Nuntiandi, sia un documento missionario, ma tutta la Chiesa si trova in “statu missionis”. È un documento universale. Evangelii Nuntiandi, vuol dire ovunque e dappertutto e soprattutto qui a Roma.

Penso così che il tema centrale del Sinodo romano, che adesso si è cominciato a realizzare - da quasi due anni - corrisponda veramente a quello che ha trattato il Concilio e, poi, la sua principale chiave di lettura, ossia l’Evangelii Nuntiandi: l’evangelizzazione.

L’evangelizzazione costituisce la vita della Chiesa e noi, a Roma, dobbiamo vedere con i nostri occhi, con la nostra esperienza, nella quale nessuno può sostituirci, dobbiamo vedere questa evangelizzazione come compito, come sfida, come metodologia per la nostra città, per le nostre parrocchie.

Qui vorrei aggiungere ancora un’altra cosa che forse tocca l’aspetto metodologico del Sinodo. Certamente in questo periodo ogni Sinodo deve fare una lettura e una applicazione del Concilio con l’aiuto dei diversi Sinodi e dei documenti post-sinodali che si sono succeduti dopo il Vaticano II. Ma si deve sempre temere ed evitare una cosa: che il Concilio ed anche il Sinodo possano essere trattati come una cosa esterna, un supplemento della nostra vita, della Chiesa locale, della parrocchia, una cosa - se possiamo dire così - un po’ paracadutata nella vita della Chiesa. Penso allora che, parlando organicamente, il Sinodo arrivi al suo punto proprio, quando la sua tematica - come anche la tematica del Concilio Vaticano II - non viene più vista come una tematica, un contenuto, un avvenimento esterno: il momento in cui la parrocchia si vede nel Sinodo e, attraverso il Sinodo, si vede anche nel Concilio, e vede questo Sinodo in sé e non vede una divergenza, una spaccatura. Non sono due cose diverse. Il Sinodo non è altro che la mia parrocchia, la mia parrocchia così come è e così come dobbiamo cercare di renderla, se possiamo farlo, perché ci sono molte cose che non si possono fare semplicemente, benché si debbano fare sempre. Sappiamo bene quante siano le circostanze dalle quali dipende questo “fare” nel campo spirituale, nel campo pastorale, apostolico. E sappiamo sempre che il primo agente qui è lo Spirito Santo e noi tutti insieme, e ciascuno di noi, siamo suoi poveri ministri.

Vorrei augurare a tutti voi, carissimi confratelli, che si ottenga questo momento nella vita della parrocchia e nella vita del Sinodo, che si ottenga questo momento nel quale si vedrà il Sinodo come la mia parrocchia e nello stesso tempo si vedrà la mia parrocchia come il Sinodo. Non sono due realtà estranee, non sono diverse fra di loro, ma si identificano, si coinvolgono. Questo voglio augurare al Sinodo romano e ad ogni parrocchia romana nella prospettiva dei lavori che ci aspettano.

Nello stesso tempo voglio ringraziare tutti coloro che hanno preso la parola ed hanno svolto un capitolo, una parte di questa predica quaresimale, la prima, giustamente, che il Papa ha potuto ascoltare. Ringrazio poi tutti i presenti come tutti coloro che non sono qui fisicamente presenti, ma che appartengono alla nostra assemblea, al clero di Roma, che collaborano nella grande opera nell’apostolato e della pastorale delle parrocchie. A tutti loro voglio esprimere il mio ringraziamento, il mio cordiale saluto e il mio augurio di buona e fruttuosa Quaresima. Lo faccio certamente rivolgendomi, per esempio, al nostro seminario romano e agli altri seminari, perché tutti questi istituti sono organi dello stesso Corpo e lavorano per la vita dello stesso Corpo, che è sempre il Corpo di Cristo. La Chiesa nella sua dimensione universale e la Chiesa nella sua dimensione romana, particolare e locale è sempre lo stesso Corpo di Cristo. Questo dice di più a ciascuno di noi. Ci dice che facciamo parte di questo Corpo, più che parte, parte attiva, parte che rende dei servizi, che svolge dei ministeri, che porta carismi in questo Corpo, nell’insieme della sua organicità e della sua vitalità.

Ancora una volta voglio ringraziare vostra Eminenza e tutti i confratelli Vescovi per la loro presenza e per la loro continua collaborazione, perché se il Papa può e deve essere Vescovo di Roma - e non può essere altro - lo è grazie a loro.

 

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