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VISITA PASTORALE NELL’ARCIDIOCESI DI GAETA

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AGLI AMMALATI SUL PIAZZALE DEL SANTUARIO
DELLA MADONNA DELLA CIVITA DI ITRI

Itri (Latina) - Domenica, 25 giugno 1989

 

Signor ministro,
signor sindaco di Itri,
Cari fratelli e sorelle,
carissimi ammalati.

1. Sono venuto su questo Sacro Monte per venerare la Vergine santissima nel suo santuario della Civita, così famoso e così ricco di significato per voi, che negli occhi di Maria e nel suo volto materno cercate conforto alle sofferenze fisiche e morali.

Seguendo le orme del mio predecessore Pio IX, a centoquarant’anni dalla sua visita, ho desiderato salire quassù anch’io, iniziando questa giornata, dedicata pienamente all’arcidiocesi di Gaeta, proprio da voi, membra sofferenti del Corpo Mistico della Chiesa. Eccomi, dunque, ai piedi di Maria, salute degli infermi e aiuto di tutti i cristiani.

2. Un saluto speciale vorrei rivolgere ai responsabili delle strutture sanitarie - amministratori, medici, infermieri, ausiliari, suore e volontari - come pure ai familiari dei sofferenti.

Vi esprimo il mio apprezzamento per la dedizione con cui vi sforzate di creare intorno ai malati, immagini viventi di Cristo sofferente, un ambiente familiare, accogliente, disteso. Voi sentite il dovere di portare calore umano nel vostro lavoro, vivendolo come “vera missione”, da fratello a fratello. Voi sapete, infatti, che chi soffre non cerca soltanto lo specialista capace di curare i suoi mali, ma anche l’essere umano capace di capire i suoi stati d’animo e di sostenere la sua lotta quotidiana, volta alla riconquista della salute.

In questo vostro impegno vi è anche di grande aiuto la fede, la quale vi consente di vedere nel malato i lineamenti del volto di Cristo. Non ha forse egli detto: “Ero malato e siete venuti a visitarmi?” (Mt 25, 36) Queste parole risuonino continuamente dentro di voi. Lui, che legge nel segreto, vi saprà ricompensare.

Non è forse già una ricompensa preziosa la riconoscenza dei vostri malati, i quali porteranno per sempre nel cuore il ricordo della vostra dedizione, della vostra serenità, della vostra delicatezza, oltre che della vostra competenza e dell’efficacia del vostro intervento terapeutico? Il vostro servizio, spesso lungo e logorante, ha un valore inestimabile davanti alla società e soprattutto davanti al Signore.

3. Cari ammalati, io vorrei soprattutto ringraziarvi per la vostri presenza; vorrei ringraziare per le parole di un vostro rappresentante che ha saputo fare una profonda analisi di ciò che vuole dire essere malato, essere malato da cristiano, essere malato dentro la situazione del mondo contemporaneo. Ringrazio per queste parole, per questa analisi che esprime anche i sentimenti, gli atteggiamenti e le speranze di tutti voi.

Io non sono venuto unicamente per portarvi il mio incoraggiamento umano, ma per recarvi anche e soprattutto il conforto della fede cristiana. Sono venuto per dirvi che le vostre infermità sono inscritte nel disegno d’amore paterno ed esigente di Dio. Non vedete in esse una fatalità cieca, ma una prova sempre provvidenziale, anche se dal punto di vista puramente umano spesso oscura ed incomprensibile.

Elevate i vostri occhi a Cristo, che ha accettato la prova della sua Passione. Guardate a lui, l’Innocente, che ha offerto senza riserva la sua vita per salvare tutti gli uomini, a lui che si è affidato a Dio, suo Padre, con totale abbandono. In un primo momento, come sapete, egli ha chiesto che gli fosse allontanato quel calice amaro, ma poi ha subito soggiunto: “Si faccia non la mia, ma la tua Volontà” (Lc 22, 42). E la sua sofferenza è divenuta per noi causa di salvezza, di perdono, di vita.

La vostra generosa unione con la sofferenza di Cristo costituisce il culmine del vostro credere. Coloro che sono chiamati a soffrire con Cristo non subiscono un castigo, ma sono messi a parte di un compito impegnativo e fecondo. La loro sofferenza, infatti, se accettata ed offerta con amore, diviene sorgente di grazia, di pace, di gioia. Diviene la via stretta, ma sappiamo che questa è la via che conduce al paradiso.

4. Carissimi ammalati, io vi auguro di recuperare presto la salute, per poter lasciare i centri di cura e tornare alle vostre case. Vi attendono gli abituali compiti familiari e sociali, nei quali tanto bene potrete ancora fare grazie alle energie ritrovate. Io prego per la vostra sollecita guarigione.

Ora, tuttavia, che nel libro della vostra vita il capitolo della malattia non è ancora chiuso, vi raccomando di valorizzarlo in ogni sua espressione. La sofferenza, infatti, è purificazione per sé e per i fratelli, è fonte di glorificazione, è dono offerto per completare nella propria carne “quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo Corpo che è la Chiesa” (Col 1, 24).

Il vostro soffrire sia pertanto dono alla Chiesa, perché essa possa camminare più speditamente sulle strade del mondo. Accogliere nella propria vita il mistero del dolore significa riconoscere che la salvezza fiorisce dalla Croce di Cristo, e la Croce di Cristo è il vero albero della vita.

La Croce però non è fine a se stessa. Al venerdì di Passione segue la domenica della Risurrezione. La sofferenza dell’uomo s’illumina nella prospettiva della Pasqua di Cristo. In mezzo al fitto buio delle umiliazioni, dei dubbi, dell’abbattimento che la malattia porta con sé, il credente trova conforto nella luce che splende sul volto di Cristo risorto. Perciò l’Apostolo scrive anche nella seconda lettera ai Corinzi: “Come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione” (2 Cor 1, 5).

5. Carissimi fratelli e sorelle, ci troviamo qui, presso questo caro santuario, anima della vostra devozione a Maria. Ebbene, nel portare la vostra croce quotidiana, sappiate guardare alla Vergine santa, ed ispirarvi al suo atteggiamento di totale adesione all’opera di grazia del Signore.

La risposta generosa di Maria: “Eccomi”, diventi espressione anche della vostra personale adesione, momento per momento, alla volontà di Dio; diventi la vostra risposta, suggerita ed alimentata dall’amore.

Se numerosi santuari come questo sono dedicati a Maria, è perché i fedeli di ogni parte della terra hanno capito l’importanza della presenza della Vergine santa in mezzo al Popolo di Dio; hanno capito che suo compito precipuo è di “presentare” alle generazioni di tutti i tempi il Cristo “ricco di misericordia”, perché ciascuno possa trovare in lui il Salvatore a cui affidare se stesso per il tempo e per l’eternità.

Prima di concludere questo mio colloquio, desidero augurare anche a voi, cari volontari delle diverse associazioni, qui presenti in numerosa rappresentanza, la prontezza e la generosità di Maria santissima nel rendere visibile agli uomini ed alle donne di oggi l’amore di Dio, che vuol dare a tutti la gioia della sua stessa vita.

Nel ringraziare tutti i volontari, voglio ancora ringraziare coloro ai quali è stato affidato questo santuario, i nostri carissimi padri passionisti, la loro comunità, il loro seminario, che ho potuto incontrare, prima, nella chiesa, nel santuario. Ed aggiungo anche una parola di ringraziamento ai giovani che compongono il coro, i quali ci hanno accompagnato con i loro canti, durante il lungo percorso dell’incontro con i malati.

Allora, mi sia permesso confermare il mio affetto e offrire un augurio di serenità nel corpo e nello spirito e come espressione di quell’affetto e di quell’augurio, voglio offrire a voi, a voi ammalati soprattutto, a tutti coloro che vi assistono, a tutti i vostri cari, le vostre famiglie ed a tutti presenti una benedizione; invito il Cardinale ed i Vescovi qui presenti a prendere parte a questa benedizione conclusiva del nostro incontro con Maria.

 

© Copyright 1989 - Libreria Editrice Vaticana

 



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