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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AD UN GRUPPO DI STUDIOSI
DELLA REGOLAZIONE NATURALE DELLA FERTILITÀ

Venerdì, 14 dicembre 1990

 

Carissimi.

1. Nel rivolgervi il mio saluto cordiale, desidero esprimere vivo compiacimento per l’importante iniziativa, promossa dal “Centro Studi e Ricerche sulla regolazione naturale della fertilità” dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Il corso a cui partecipate si propone di formare insegnanti capaci di diffondere tra le famiglie quei metodi naturali che consentono una procreazione veramente responsabile, in conformità con la dottrina morale costantemente esposta dal magistero. L’enunciazione della finalità dell’iniziativa basta da sola a sottolineare la rilevanza che essa riveste per la missione della Chiesa in favore della famiglia. Nell’esortazione apostolica Familiaris consortio (n. 35) richiamavo ai pastori e ai fedeli l’urgenza di “un impegno più vasto, decisivo e sistematico per far conoscere, stimare e applicare i metodi naturali di regolazione della fertilità”.

2. L’insegnamento della Chiesa circa un problema tanto delicato e urgente nella vita dei coniugi e della società viene talvolta frainteso e contestato, perché presentato in modo inadeguato e anche unilaterale. Ci si ferma, infatti, al giudizio sulla negatività morale della contraccezione, quale atto sempre intrinsecamente disonesto, ma raramente ci si sforza di comprendere questa norma alla luce della “visione integrale dell’uomo e della sua vocazione, non solo naturale e terrena, ma anche soprannaturale ed eterna”. In realtà, solo nel quadro della responsabilità per l’amore e per la vita può essere intesa la motivazione profonda della proibizione di “azioni che si propongono come scopo o come mezzo di rendere impossibile la procreazione” (Humanae vitae, 7. 14). Solo nel contesto di simili valori i coniugi trovano l’ispirazione che permette loro di superare, con l’aiuto della grazia divina, le difficoltà che inevitabilmente incontrano quando, in condizioni sociali poco favorevoli e in un ambiente segnato da facile edonismo, cercano di seguire una strada conforme alla volontà del Signore. È ancora solo approfondendo la concezione cristiana di questa “responsabilità per l’amore e per la vita” che si può cogliere la “differenza antropologica e al tempo stesso morale, che esiste tra la contraccezione e il ricorso ai ritmi temporali” (Familiaris consortio, 32).

3. “Responsabilità per l’amore e per la vita!”. Questa espressione ci ricorda la grandezza specifica della vocazione dei coniugi, chiamati ad essere i collaboratori consapevoli e liberi di quel Dio che è amore, che crea per amore e che chiama all’amore. Il termine “responsabilità” è, quindi, eticamente decisivo, perché in esso si coglie da un lato la dignità del “dono” che si riceve, e dall’altro il valore della “libertà”, a cui esso è affidato, perché venga fatto fruttificare. Quanto più grande è il dono, tanto più alta è la responsabilità del soggetto che liberamente lo riceve. E quale dono è maggiore, sul piano naturale, di questa vocazione dell’uomo e della donna a esprimere un amore fedele e indissolubile, aperto alla trasmissione della vita?

Nell’amore coniugale e nella trasmissione della vita l’uomo non può mai dimenticare la sua dignità di persona, che eleva l’ordine della natura a un livello specifico, non più meramente biologico. Per questo la Chiesa insegna che la responsabilità per l’amore è inseparabile dalla responsabilità per la procreazione. Il fenomeno biologico della riproduzione umana, infatti, come trova al suo inizio la persona, così ha al suo termine il sorgere di una nuova persona, unica e irripetibile, fatta a immagine e somiglianza di Dio. Scaturisce da ciò la dignità dell’atto procreativo, nel quale l’amore interpersonale dei coniugi trova il suo coronamento nella nuova persona del figlio. Per questo la Chiesa insegna che l’apertura alla vita nei rapporti coniugali protegge la loro stessa autenticità di rapporti di amore, salvandoli dal rischio di scadere al livello di mero godimento utilitaristico.

4. In questa responsabilità per l’amore e per la vita, Dio creatore invita i coniugi a essere non passivi esecutori, ma piuttosto “cooperatori e quasi interpreti” del suo disegno (Gaudium et spes, 50). Essi, infatti, nel rispetto dell’ordine morale oggettivo stabilito da Dio, sono chiamati a un insostituibile discernimento dei segni della volontà di Dio circa la loro famiglia. Così, in rapporto alle condizioni fisiche, economiche, psicologiche e sociali, la paternità responsabile potrà esprimersi “sia con la deliberazione ponderata e generosa di far crescere una famiglia numerosa, sia con la decisione presa per gravi motivi e nel rispetto della legge morale, di evitare temporaneamente, o anche a tempo indeterminato, una nuova nascita” (Humanae vitae, 10).

La scienza offre oggi la possibilità di individuare con sicurezza i periodi di fecondità e di infecondità dell’organismo femminile. Di questa conoscenza i coniugi possono utilmente servirsi per diversi scopi legittimi: non solo per distanziare o limitare le nascite, ma anche al fine di scegliere per la procreazione i momenti sotto ogni punto di vista più favorevoli oppure anche per individuare i periodi con migliori possibilità di raggiungere un concepimento, in alcuni casi di difficoltà.

5. In questa applicazione delle conoscenze scientifiche alla regolazione della fertilità, la tecnica non si sostituisce in alcun modo all’impegno delle persone e neppure interviene a manipolare la natura del rapporto, come è invece il caso della contraccezione, nella quale si scinde deliberatamente il significato unitivo dell’atto coniugale da quello procreativo. Al contrario, nella pratica dei metodi naturali la scienza deve sempre coniugarsi con l’autodominio, giacché nel ricorso ad essi è chiamata necessariamente in causa quella perfezione propria della persona che è la virtù.

Per questo si può dire che la continenza periodica, praticata per regolare in modo naturale la procreazione, richiede una profonda cultura della persona e dell’amore. Essa esige, infatti, ascolto e dialogo reciproco tra gli sposi, attenzione e sensibilità per l’altro, costante padronanza di se stessi: tutte qualità che esprimono l’amore autentico verso la persona del coniuge per quello che essa è, e non per quello che si vorrebbe che fosse. La pratica dei metodi naturali esige la crescita personale dei coniugi nella comune edificazione del loro amore.

Tale connessione intrinseca di scienza e di virtù morale costituisce l’elemento specifico e moralmente qualificante del ricorso ai metodi naturali. Essa fa parte di un’integrale formazione degli insegnanti e delle coppie dei coniugi, per i quali dev’essere chiaro che non si tratta di una semplice “istruzione” sganciata dai valori morali propri di un’educazione all’amore. Essa permette, infine, di comprendere che non è possibile praticare i metodi naturali come una variante “lecita” di una scelta di chiusura alla vita, che sarebbe dunque sostanzialmente analoga a quella che ispira la contraccezione: solo se c’è una fondamentale disponibilità alla paternità e maternità, intese quali collaborazione col Creatore, il ricorso ai metodi naturali diviene parte integrante della responsabilità all’amore e alla vita.

6. La Sacra Scrittura ci svela il volto luminoso di Dio, che “è amore” (1 Gv 4, 8) e che è “amante della vita” (Sap 11, 26). Non dimenticate mai, pur in mezzo alle difficoltà e alle incomprensioni, che il lavoro, a cui vi dedicate, carissimi fratelli e sorelle, è un servizio all’amore e alla vita, a sostegno dei coniugi che intendono vivere secondo il disegno di Dio. Con questo servizio, che merita l’appoggio convinto di tutti i pastori, voi offrite un valido aiuto alla missione della Chiesa.

Che il Signore vi conceda la sua efficace assistenza, in pegno della quale vi imparto la mia benedizione che volentieri estendo alle vostre famiglie, così come alle famiglie con cui verrete a contatto.

 

© Copyright 1990 - Libreria Editrice Vaticana

 



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