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VISITA ALLA PARROCCHIA DELLA SANTISSIMA ANNUNZIATA

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 21 gennaio 1990

 

Alla popolazione del quartiere  

Con un abbraccio caloroso la comunità parrocchiale della SS.ma Annunziata si stringe intorno al Santo Padre. La visita pastorale del Papa è segnata da due significati ben precisi: la celebrazione comunitaria della domenica centrale della Settimana di preghiere per l’unità dei Cristiani e la promessa di partecipazione nella preghiera al prossimo viaggio apostolico che il Santo Padre compirà in Africa a partire da giovedì prossimo. Segno tangibile di questo impegno di comunione e di partecipazione all’attività apostolica del Papa e della Chiesa intera è l’alberello di ulivo piantato dal Papa davanti alla chiesa parrocchiale. Segno di pace, di volontà di difesa dell’ambiente, di promessa di crescita della comunità ecclesiale. Accolto dal Cardinale Vicario Ugo Poletti, dal Vescovo Ausiliare del Settore Sud della Diocesi Romana, Clemente Riva, e dal Parroco Carmine Vitale di Maio, il Papa riceve da quest’ultimo il saluto della comunità alla quale rivolge le seguenti parole.  

Carissimi fratelli e sorelle, parrocchiani della SS.ma Annunziata, la vostra parrocchia porta questo nome, questo titolo, e ciò vuol dire che qui, in questa comunità cristiana, deve risuonare quasi continuamente l’annuncio salvifico, l’annuncio divino, per la prima volta risuonato davanti alla Vergine di Nazaret. Deve risuonare lo stesso annuncio: annuncio dell’Incarnazione del Figlio di Dio, annuncio dell’Emmanuele, annuncio nello stesso tempo, della nostra elevazione, in questo Figlio di Dio, a figli di Dio. Questo annuncio deve risuonare nella vostra parrocchia in modo speciale. Deve risuonare nella chiesa, che sta al centro del quartiere, deve risuonare sui palazzi più vicini ma anche più lontani, dove si vedono anche gli altri parrocchiani.

Io saluto tutti di cuore e porto tutti voi nella chiesa della vostra parrocchia come una comunità cristiana, per presentarvi all’altare come una risposta a questo annuncio. Se risuona l’annuncio di Nazaret, l’annuncio fatto alla Vergine Maria, la nostra risposta è avvicinarsi all’altare, perché su questo altare, che significa Cristo, la realtà dell’Emmanuele, Dio con noi, sempre si rinnova, sempre è viva, è presente, dà una dimensione alla nostra vita, dà un senso alla nostra vita: un senso umano, ma anche sovraumano, soprannaturale, perché l’anima dell’uomo è inquieta come diceva Agostino, fino a quando non trova in Dio il suo riposo, il suo ultimo destino. Qui sulla terra siamo giustamente preoccupati per la pace. Ecco, Colui che è annunciato a Nazaret, che è annunciato oggi, è il Principe della Pace. Nel suo nome voglio piantare questo albero significativo, simbolico, perché sia anche una preghiera per la pace, tanto necessaria dappertutto, in ogni cuore umano, nelle famiglie, le comunità più consistenti e fondamentali, nei quartieri, negli ambienti, nelle città, nei popoli, nel mondo intero. Che questo albero della pace, ad onore del Principe della Pace, sia una preghiera per la pace di tutti noi.  

Ai bambini  

Il Papa parla ai bambini prendendo spunto dalla canzone con la quale è accolto nel vasto salone sottostante alla chiesa parrocchiale.  

Mi piace molto il canto che avete eseguito prima, soprattutto le parole: “l’egoismo cancelliamo”. Subito mi viene in mente colui che ci ha insegnato a cancellare l’egoismo nel modo più assoluto, radicale: voi sapete bene che è stato Gesù. Egli che, pur essendo Figlio di Dio, si è fatto Figlio dell’uomo, Figlio della Vergine, di Maria, uno di noi, ci ha insegnato a dare se stessi già dal primo momento della sua venuta, già a Betlemme, nella culla di Betlemme, poi durante tutta la sua vita, specialmente nella sua vita missionaria, messianica, e infine attraverso il suo sacrificio di croce. Egli ha offerto se stesso per i peccati di tutto il mondo, di tutti noi. È questo l’esempio supremo, trascendente che mostra come cancellare l’egoismo e sostituirlo con l’amore, perché non si può cancellare l’egoismo in altro modo, ma solamente sostituirlo: ciascuno di noi porta in sé un po’ di questo egoismo, egocentrismo. Allora, se vogliamo cancellarlo, come avete cantato, si deve sostituire o piuttosto eliminare questo egoismo facendo entrare in noi l’amore, il vero amore che ci ha insegnato Cristo. Io vi ringrazio per questo incontro. Esso dà prova anche di un’altra cosa che avete cantato: avete detto “tutti insieme camminiamo”. Per l’appunto siete qui tutti insieme, bambini, ragazzi, ragazze, giovani di questa parrocchia della SS.ma Annunziata. Insieme con voi sono anche i vostri genitori, i vostri insegnanti, catechisti, catechiste, i vostri sacerdoti, tutti insieme. E di questo insieme, di questo “camminare insieme”, Cristo è il Buon Pastore. Egli amava tanto parlare di se stesso come il Buon Pastore, facendo questa analogia tra l’ovile, il gregge e la comunità, la Chiesa.

La Chiesa è un insieme in cui tutti, cercando di cancellare l’egoismo, cercando di far entrare al posto dell’egoismo il vero amore, camminiamo con Cristo, guardando al suo amore, al suo Vangelo e al suo esempio, guardando soprattutto al suo sacrificio che ci è rimasto come un Sacramento, come l’Eucaristia: guardando, partecipando e vivendo. E voi ragazzi, bambini, giovani adesso imparate questo grande Mistero della nostra fede, vivete il periodo di una iniziazione cristiana, sacramentale, per costruire la vostra vita cristiana, vita autenticamente cristiana, sulla base di questa iniziazione, di questi Sacramenti, soprattutto della Confessione, della Penitenza, dell’Eucaristia, della Cresima.

Io vi auguro di cuore che questo vostro sforzo sia fruttuoso. Lo auguro ai vostri insegnanti, catechisti, genitori, lo auguro al parroco, ai sacerdoti e anche a ciascuno e a ciascuna di voi, perché è un’opera comune, uno sforzo che si fa comunitariamente. E poi, vi ringrazio per la vostra bella accoglienza, per questo canto, per il vostro sorriso e anche per questa attenzione con cui seguite le parole del Papa.

Come avete già detto, tra pochi giorni devo andare in Africa ad incontrare altri bambini di un altro colore di un’altra razza, ma vostri fratelli e vostre sorelle viventi in questo grande Continente, in condizioni e situazioni molto più difficili, qualche volta nella miseria, specialmente in questi Paesi che devo attraversare: sono Paesi dell’Africa desertica, del Sahara, del Sahel. Allora, io saluterò questi bambini e voi fate quello che mi avete promesso: pregate insieme con il Papa e con questi bambini africani durante la mia visita, perché questa visita serva a mostrare, a manifestare l’unità della Chiesa, che vuol dire anche unità dei bambini romani, degli italiani, dei bianchi e di questi africani di Capo Verde, della Guinea Bissau, del Mali, del Burkina Faso, del Ciad, di tutti questi bambini africani neri. Certamente anche loro saranno contenti di vedere il Papa, come è contento il Papa di incontrare loro.  

Al gruppo famiglie  

Giovanni Paolo II si rivolge a un gruppo di giovani famiglie incontrate subito dopo la celebrazione della Messa. Giovani mamme, giovani papà, tantissimi bambini di pochi anni o addirittura di pochi mesi. Tra loro sono anche alcune persone dai capelli bianchi: nella gioia di questo incontro sono stati coinvolti anche alcuni nonni che pazientemente e affettuosamente sorreggono i loro nipotini e li porgono al Papa perché li baci. Una giovane sposa in un’atmosfera resa surreale dal festoso accompagnamento canoro dei più piccini si rivolge al Papa con brevi parole di saluto. Profondamente commosso, il Santo Padre così risponde.  

Vi saluto tutti nel nome della Sacratissima Famiglia, Gesù, Maria, san Giuseppe. Vi saluto tutti in questo nome, in questo segno, perché è un nome, è un segno l’opera della famiglia, è un segno divino. È indicativo che Gesù abbia trascorso trent’anni della sua vita messianica, redentrice, nella famiglia. Questo ci dimostra il ruolo che ha la famiglia nell’opera della redenzione e della salvezza. Questo ruolo, possiamo dire medio, universale, in diversi ambienti e nell’ambito della missione della Chiesa universale, della diocesi, della Chiesa di Roma, della parrocchia, è della famiglia, Chiesa domestica. Certamente non viene ricompresa nell’elenco delle chiese della diocesi di Roma ogni chiesa domestica; in quello che leggiamo nei registri dei battesimi troviamo anche la Chiesa domestica. Essa ha tuttavia la sua importanza, il suo posto, non solamente nella conoscenza di Dio, ma soprattutto nell’amore di Dio. Questo ha voluto mostrarci Gesù facendosi uomo, facendosi bambino, nascendo e vivendo nella famiglia: una famiglia povera, una famiglia anche emigrata, esclusa dalla sua patria, una famiglia operaia, umile.

Tutto questo possiede un significato per noi. Tutto questo diviene oggetto della meditazione, della contemplazione. Tutto questo costituisce un’ispirazione per ogni famiglia umana, per ogni famiglia cristiana realizzata nel sacramento del matrimonio. È per questo che io vi ho detto all’inizio: vi saluto nel nome della Sacra Famiglia. E nel nome della Sacra Famiglia vi auguro tutti quei beni, quelle grazie che attraverso la Sacra Famiglia sono destinate ad ogni famiglia umana, a ogni famiglia di questa parrocchia, ad ogni vostra famiglia. Mi avete dato una grande gioia con questo incontro, la gioia di toccare da vicino questi piccoli parrocchiani appena battezzati che sono la vostra gioia e contemplano che nella Chiesa deve essere la gioia, questa gioia che emanano i bambini, questa gioia significa che noi tutti siamo pienamente chiamati a essere figli, figli del Figlio. Vi auguro anche una buona vita matrimoniale, coniugale, familiare, una buona educazione per i vostri figli. Che la Sacra Famiglia sempre vi aiuti in questa vostra grande vocazione di essere sposi, di essere genitori, di essere Chiesa domestica.  

Al consiglio pastorale  

Siamo tutti Chiesa. Tutti siamo responsabili dell’opera di propagazione del Vangelo, non soltanto il Papa, i Vescovi e i sacerdoti. Anche i laici, con la diversità dei loro carismi e la diversità del loro apostolato partecipano a pieno titolo alla missione della Chiesa. Lo ribadisce il Santo Padre nel corso dell’incontro con i componenti del Consiglio pastorale. Uno di loro a nome di tutti i laici della parrocchia sono ora circa 35.000 rivolge un breve saluto al Papa. Le sue parole, più che un discorso costituiscono una testimonianza dell’amore fraterno e della partecipazione vera alla vita della comunità che anima questo gruppo di persone più attive e responsabili nella vita parrocchiale. Il Papa, rispondendo al saluto, così si esprime.  

Si può dire che le parole in cui si trova tutto sono queste: siamo tutti Chiesa. Questo è l’insegnamento, il magistero del Concilio Vaticano II, ma non soltanto di questo Concilio della nostra epoca, del nostro secolo. Questo corrisponde alla realtà della Chiesa dall’inizio. Forse negli Atti degli apostoli troviamo un’espressione certamente più breve di quella dei documenti del Vaticano II, ma ancora più essenziale. E si può dire anche di quella: siamo tutti Chiesa. Siamo tutti Chiesa vuol dire che siamo tutti in Cristo: in Cristo, Figlio di Dio, che ci ha redenti, in Cristo che ci ha dato il suo Spirito e, attraverso questo suo Spirito, ci fa suo corpo. Nello stesso tempo, siamo tutti Chiesa come un popolo. Una volta era il popolo dell’Antica alleanza, Israele, adesso è il nuovo popolo di Israele, la Chiesa nuovo popolo, popolo composto da tanti popoli, da tanti gruppi etnici, culturali, storici. Tutto questo è la Chiesa, cioè, siamo noi.

È molto importante per una parrocchia avere questa consapevolezza: Chiesa siamo noi, parrocchia siamo noi. Sarebbe controproducente pensare altrimenti, per esempio, pensare che la Chiesa siano il Papa, i vescovi, il cardinale vicario di Roma, mons. Riva, il parroco, il suo cooperatore. Certamente anche noi siamo Chiesa, anzi, siamo ministri di questa Chiesa. Però la Chiesa siamo noi. E tutti, tutti quelli che siamo Chiesa, partecipiamo in Cristo come sacerdoti, partecipiamo del suo sacerdozio, partecipiamo anche in Cristo come profeta, alla sua missione profetica e alla sua missione regale: Cristo sacerdote, profeta, re. Noi siamo partecipi di questo Cristo sacerdote, profeta, re. E così, essendo partecipi di Cristo, siamo tutti corresponsabili di quello che Cristo ci ha portato, ci porta sempre attraverso il suo Spirito. E questa responsabilità, responsabilità del popolo di Dio, si esprime attraverso diversi carismi, e poi attraverso le diverse forme dell’apostolato, apostolato dei laici.

Penso che questo Consiglio pastorale della parrocchia in un certo senso sintetizzi tutti questi carismi, o almeno simboleggi, sintetizzi tutte queste forme di apostolato che sono proprie dei parrocchiani. Io vi vedo qui riuniti in un gruppo di trenta persone e penso ai 35.000 parrocchiani che costituiscono la vostra comunità. Formalmente, numericamente si vede una rappresentanza valida, consapevole, corresponsabile, responsabile per poter portare avanti l’opera del Vangelo, l’opera dei sacramenti, l’opera della grazia di Dio, per poter portare avanti l’opera di Cristo messia, di Cristo sacerdote, di Cristo re, di Cristo profeta. Vi ringrazio perché siete così, perché siete Consiglio pastorale, perché insieme con il vostro parroco, con i sacerdoti, e non solamente con loro ma anche con mons. Riva, con il cardinale vicario, con me, portate l’opera della redenzione, della salvezza, l’opera di Cristo. Vi sono grato per questo, per questa vostra partecipazione alla missione della Chiesa, alla missione del vescovo della Chiesa di Roma, che è il Papa. E vi auguro una buona continuazione e buoni frutti di questo impegno pastorale. Consiglio pastorale vuol dire anche impegno pastorale: noi tutti siamo chiamati non solamente in forza del nostro sacerdozio sacramentale, ma in forza del nostro sacerdozio comune, battesimale. Vorrei augurare a tutti voi, carissimi fratelli e sorelle, anche di arricchirvi attraverso questa consapevolezza e questo impegno, perché veramente sono i grandi doni, i grandi beni a cui partecipate come persone, come famiglie, come associazioni, come comunità. Voi partecipate di questi beni, di questi doni. Portateli agli altri: i beni divini hanno un’altra caratteristica: che non possono essere solamente posseduti, privatizzati, ma devono essere condivisi, portati agli altri. E Cristo è il primo esempio di questa caratteristica della Grazia divina, dei doni divini. Concludo ringraziando ancora una volta e augurando tutto il bene per questa parrocchia che è cresciuta così rapidamente: se c’è una crescita rapida della società, una crescita demografica, numerica della parrocchia, occorre anche una crescita rapida, abbondante nel senso carismatico, nel senso della grazia, nel senso della vita divina. Questo vi auguro di cuore.  

Ai giovani  

Una chiesa antica pulsante di vita. La vita della parrocchia e della Chiesa del futuro. L’Annunziatella, la bellissima chiesetta che ha portato fino ai tempi nostri la testimonianza di pietà e di fede degli antichi abitanti della campagna romana, ospita l’incontro del Papa con i giovani, offrendo anche visivamente l’immagine meravigliosa di una comunità cristiana pellegrina su questa terra, proveniente da gloriosi tempi passati, che proprio in queste zone hanno visto luminosi esempi di testimonianza cristiana culminati nel martirio, protesa verso il futuro, verso il terzo millennio. Il bastone offerto al Papa dai giovani è come il simbolo di questo cammino che impegna tutti i cristiani, sullo sfondo della promessa racchiusa nell’“Annunciazione”, la promessa della salvezza che si incarnava, che la chiesa ricorda con stupendi attestati di fede e di arte. E infine, la recita dell’Angelus, tutti insieme per testimoniare al Papa la partecipazione dei giovani della SS.ma Annunziata al suo prossimo viaggio pastorale in Africa. All’inizio dell’incontro, a nome dei coetanei, un giovane rivolge al Santo Padre espressioni di saluto. Giovanni Paolo II, appoggiandosi al bastone che gli è stato donato, così si rivolge ai giovani:  

È molto significativo che la vecchia chiesa serva per l’incontro con i giovani. Non c’è contraddizione tra le due cose, piuttosto c’è una complementarità. La vostra presenza qui ci dice che la Chiesa è sempre giovane e sempre deve ringiovanire attraverso i giovani. Conserviamo ancora tutti nella memoria quella speciale esperienza giovanile europea che abbiamo vissuto insieme a Santiago di Compostela, lo scorso anno, nel mese di agosto. Si vede che i giovani europei, specialmente dei Paesi più vicini, i giovani italiani, fra loro molto numerosi, hanno intrapreso un cammino spirituale, hanno ritrovato questa consapevolezza che c’è Cristo Gesù ieri, oggi e per sempre, e non c’è un altro nome sotto il sole che dà salvezza. Salvezza vuol dire realizzazione, possiamo dire autorealizzazione di quello che ciascuno di noi è, o deve essere, deve diventare: è trovare se stesso.

Tutti siamo alla ricerca di noi stessi, della nostra umanità, della nostra personalità, della finalità umana e cristiana della nostra vita. Questa ricerca corrisponde alla verità della persona umana: l’uomo deve cercare, è uno che sempre si trova in cammino, è un camminatore dell’Assoluto. Così lo definisco, e molto giustamente. Il Concilio Vaticano II, parlando di questa ricerca, si esprime così: l’uomo è l’unica creatura del mondo che Dio ha voluto per se stesso, ha voluto come autofinalità. Ma questo essere umano, così scelto da Dio, così marcato da Dio con una autofinalità, non può trovare se stesso se non attraverso il dono disinteressato di se stesso. Questa non è una definizione, è piuttosto una descrizione, molto precisa, di quello che l’uomo è, che la persona umana è. La ricerca di se stesso è propria in lui: è veramente un camminatore che deve avere un bastone. Non solamente il Papa. Ciascuno di noi deve compiere uno speciale “turismo”, il “turismo” della nostra umanità. Il Vangelo ci dà tanti orientamenti preziosi, importanti, efficaci, per questo “turismo” attraverso la nostra umana ricerca, attraverso la nostra vocazione.

Vi auguro, in questa bella circostanza, di riflettere su queste proposte che vi lascio, e poi di riflettere sulle parole dell’“Angelus Domini”. La Chiesa ripete queste parole ogni giorno, tre volte, e lo fa perché veramente queste parole sintetizzano tutta la grande storia dell’uomo ma soprattutto tutta la storia di Dio nell’uomo, o dell’uomo in Dio. Come ha proposto il vostro collega, terminiamo recitando l’“Angelus Domini” in questa chiesa, in questa parrocchia che è dedicata all’Annunciazione. E l’“Angelus Domini” ci ricorda l’Annunciazione.

 

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