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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DEL BRASILE
IN VISITA
«AD LIMINA APOSTOLORUM»

Martedì, 20 marzo 1990

 

Cari fratelli nell’Episcopato,

1. Nell’esercizio del vostro ministero episcopale, a servizio della Chiesa di Dio nello Stato di San Paolo siete venuti a visitare il Vescovo di Roma, successore di Pietro, per professare la vostra comunione gerarchica. Vi do il benvenuto e vi saluto con il “bacio della carità”, in questa visita “ad limina Apostolorum”.

Il Signore Gesù stesso ha affidato a Pietro ed ai suoi successori l’autorità suprema, immediata ed universale, per la cura delle anime; e lo ha costituito a capo degli Apostoli, con carattere di perennità nei suoi successori affinché con lui, l’Episcopato rimanesse unito e unico (cf. Cost. Lumen gentium, 18); e affinché servendo fraternamente, nell’esercizio dell’autorità universale, egli “confermasse i fratelli”; e si conservasse così la comunione gerarchica fra il Capo ed i membri del Collegio Episcopale, e affinché il Popolo di Dio nel Nuovo Testamento fosse orientato, con saggezza e prudenza, nel suo pellegrinaggio verso l’eterna beatitudine (cf. Ivi, 21).

Ringrazio il Cardinale, Dom Paulo Evaristo Arns, per le gentili parole che mi ha rivolto, in nome anche degli altri Metropoliti e del numeroso gruppo di Fratelli Vescovi che formano il “Regional Sul-1” della Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile.

2. Vorrei, innanzitutto, esprimervi, in nome del Signore, la mia gratitudine, per la generosità del vostro lavoro pastorale.

So bene che l’esercizio del Ministero di un Vescovo diocesano comporta non pochi sacrifici e grande spirito di dedizione. In particolare, nel momento che sta attraversando il vostro Paese. Potete esser certi, amati Fratelli, che la mia preghiera e il mio ricordo affettuoso vi accompagnano sempre. In essi sono compresi anche i sacerdoti, religiosi e religiose, seminaristi e tutti i fedeli della Provincia, ecclesiastica di San Paolo, Botucatu, Campinas, Riberao Preto e Aparecida.

Dopo gli incontri privati e sulla base delle informazioni ricevute precedentemente, posso apprezzare la vitalità religiosa delle Comunità affidate alle vostre cure; e la buona volontà che vi anima, in qualità di Vescovi, nel mantenere e testimoniare la comunione effettiva ed affettiva degli uni con gli altri, con gli altri Vescovi Brasiliani e con tutto il Collegio che serve la Chiesa dispersa per il mondo.

Ho potuto ascoltare anche le vostre giustificate preoccupazioni, connesse con il vostro servizio di Pastori riguardo alla scarsezza ed alla formazione dei sacerdoti, così come all’esercizio della “missione” dei ministri ordinati, riguardo alla ispirazione delle comunità ecclesiali di base, riguardo alla catechesi e all’ecumenismo, senza dimenticare la problematica di tipo sociale. Questa si intende in un ampio ventaglio di argomenti importanti, del quale la vostra regione paulista costituisce un “campione” molto significativo.

Tenendo conto che, in ogni gruppo di Pastori di un “Regional”, considero presente l’Episcopato brasiliano, sui problemi sociali rifletteremo in un’altra occasione. E dato che c’è stata una convergenza, da parte vostra, nell’esporre problemi connessi alla vita liturgica delle comunità, vi presento alcune considerazioni.

3. Solo poco più di un anno fa, celebravamo il venticinquesimo anniversario del primo documento del Concilio Vaticano II che è la Costituzione sulla Sacra Liturgia. Per segnalare l’effemeride, scrissi una Lettera Apostolica - Vicesimus quintus annus - ringraziando Dio per tutto quanto beneficiò di questo Documento la vita della Chiesa, e sottolineando le sue linee fondamentali. Allo stesso tempo, esortavo che si continuasse a promuovere la rinnovazione Liturgica, alla luce della Sacrosanctum Concilium e dei documenti da essa derivati, così come dei libri che attualmente sono in uso nella Chiesa, e che sono anch’essi frutto di quella Costituzione.

Ricordando ancora, con emozione, i momenti di alta intensità spirituale che ho vissuto in Brasile, durante le celebrazioni liturgiche che costituivano il punto culminante delle mie visite alle varie Chiese locali, desidero ricordarvi l’importanza e il ruolo della Liturgia nelle Vostre Comunità, e la necessità di incrementare sempre più fra i fedeli la formazione liturgica dello spirito di preghiera. Spero di contribuire così affinché le Chiese che vi sono affidate crescano nella Chiesa Cristiana.

4. Che cosa ha portato la Chiesa al rinnovamento preconizzato dalla Sacrosanctum Concilium? Le ha portato innanzitutto, una nuova concezione della Liturgia. Di questa si aveva prima un’idea che abitualmente non andava oltre gli aspetti esteriori: cerimoniale, precetti e norme per la corretta realizzazione degli atti liturgici. Nonostante anche tali aspetti siano degni di rispetto, la Costituzione ci ha detto che la Liturgia è qualche cosa di più. In essa si tratta della stessa azione di Cristo Sacerdote: azione in cui Egli associa a Se medesimo la Chiesa. Cioè l’azione del Capo e dei membri (SC, 7). Celebrare la Messa i Sacramenti; la Liturgia delle Ore, significa rendere presente e attuale l’azione di Gesù Cristo sacerdote realizzata nel suo Mistero pasquale. “La Liturgia è, per ciò, il “luogo” privilegiato dell’incontro dei cristiani con Dio e con colui che egli ha inviato, Gesù Cristo” (cf. Gv 17, 3) (Vicesimus quintus annus, 7).

Collocando la Liturgia nel contesto della storia della Salvezza, attualizzata nella Chiesa, il Concilio non solo le riconosce il ruolo eminente nella vita della Chiesa stessa, ma fa appello anche alla responsabilità dei cristiani; loro tutti sono chiamati a farsi parte integrante dell’azione liturgica. Da ciò deriva che, in tutta la Costituzione l’idea-forza è quella della partecipazione. Non è assistere ad un atto che altri eseguono, è celebrare qualcosa, o meglio, Qualcuno. Ed in tale celebrazione tutti sono e si devono sentire impegnati, tutti ed ognuno, a proprio modo, devono prendere in essa parte attiva e cosciente.

5. Questa nuova concezione della Liturgia ha portato alla vita della Chiesa dopo il Concilio molti frutti. Come sapete, ha fatto sì che si approfondisse la riflessione teologica sul culto cristiano, ha aiutato a superare formalismi e ha diminuito la distanza fra il clero e il popolo nelle celebrazioni, incoraggiando iniziative in favore di una partecipazione viva e personale, liberando il cristiano dal ruolo di mero “spettatore” e portandola a progredire nella sua unità con Dio e con i fratelli (cf. SC, 48). Persone che prima si accontentavano del mero compimento del precetto della Messa domenicale, si sono sentite interpellate dal nuovo stile della celebrazione, dalle parole e dai gesti; e hanno scoperto che anche esse, infine, avevano una funzione da compiere nella comunità cristiana (cf. SC, 26).

La celebrazione di alcuni Sacramenti, alla luce dei nuovi testi (si pensi al Battesimo ed al Matrimonio) ha posto spesso problemi di esigenza spirituale, e di verità e coerenza morale; è divenuta occasione perché molti cristiani prendessero coscienza delle proprie responsabilità. Il riconoscimento del fatto che la preghiera pubblica della Chiesa è la preghiera di tutti, ha fatto sì che la Liturgia delle ore smettesse di essere un fatto privato dei Sacerdoti e dei Religiosi, per divenire realmente la preghiera di tutto il Popolo di Dio, della Chiesa che prega (Introduzione Generale alla Liturgia delle Ore, nn. 1 e 20).

Nell’applicazione della Sacrosanctum Concilium, vi sono state, certamente, carenze, esitazioni ed abusi. Ma non si può negare che, dove le comunità sono state preparate con la dovuta informazione e la catechesi, i risultati sono positivi. Con ragione si è affermato nell’ultima Assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi che “Il rinnovamento liturgico è il frutto più visibile di tutta l’opera conciliare” (Relazione finale, 7 dicembre 1985, II, B, b, 1).

6. Pensando in particolare al Brasile, mi rallegro nel riconoscere che lì la riforma liturgica, in modo generale, è stata accolta favorevolmente e messa in pratica. È degno di merito lo sforzo che gli organismi responsabili hanno svolto, per rendere la celebrazione liturgica accessibile alle varie classi sociali della popolazione. Ora bisogna che l’opera iniziata non degeneri e metta radici profonde. Quindi, mi permetto di sollecitare la vostra cura nella formazione Liturgica del clero, dei religiosi e dei seminaristi: sono o diventeranno i formatori diretti del Sentimento Liturgico del Popolo di Dio (cf. SC, 15 ss; Congregazione per l’educazione Cattolica, Istruzione In ecclesiastica futurorum, 3 giugno 1979).

Questa formazione Liturgica, di base e continuata, deve fondarsi su una mirata ed autentica inculturazione.

È ben nota l’enorme ricchezza delle culture locali in Brasile, così come la varietà degli Atti di culto tradizionali e le manifestazioni della religiosità popolare. Ma è anche un dato di fatto che questa ricchezza, quanto più sarà grande e variata, tanto più esigerà discernimento e un’amministrazione prudente ed attenta. Ogni e qualsiasi celebrazione liturgica, per più assimilata ed acculturata che sia, anche se si realizza nel più ignoto angolo della terra, è sempre una celebrazione della Chiesa universale.

Un’educazione Liturgica illuminata e ben orientata aiuterà i fedeli a liberarsi della confusione seminata da sette e movimenti religiosi e ad apprezzare correttamente il significato delle parole, dei gesti e degli atteggiamenti corporei, così come a conoscere sempre meglio il valido simbolismo dei segni e degli elementi materiali usati nella celebrazione.

7. Facendo questa riflessione con pastori che il Signore ha messo a capo delle Chiese locali del Brasile, sono consapevole del fatto che quali principali dispensatori dei misteri di Dio e primi promotori della pastorale Liturgica, è dal Vostro comportamento che dipende in gran parte, la giusta comprensione e la pratica illuminata della Liturgia nelle Vostre comunità.

Successori degli Apostoli non finiamo di udire dal Signore: “Andate ed evangelizzate”. Il mezzo, per eccellenza, dell’evangelizzazione è senza dubbio l’attività Liturgica: “Lex orandi lex credendi”. Ciò che saranno le celebrazioni Liturgiche della Chiesa in Brasile, sarà la vostra capacità e creatività di suscitare, mantenere e sviluppare la vera fede apostolica.

Oltre all’opera di promozione, è nostro compito, in qualità di Vescovi vegliare affinché nella vita Liturgica delle nostre diocesi non si introducano deviazioni, che falserebbero la vera natura della Liturgia. Nella Vicesimus quintus annus osservavo che “Si constatano, a volte, omissioni o aggiunte illecite, riti inventati al di fuori delle norme stabilite, atteggiamenti o canti che non favoriscono la fede o il senso del sacro, abusi nelle pratiche dell’assoluzione collettiva . . .”. Tali iniziative, “Lungi dall’essere legate alla riforma liturgica in se stessa, o ai libri che ne sono seguiti, la contraddicono direttamente, la sfigurano e privano il popolo cristiano delle ricchezze autentiche della Liturgia della Chiesa” (n. 13).

8. Quanto alla celebrazione del sacramento della Riconciliazione, ricordo ancora ciò che ho detto nella Esortazione Apostolica Reconciliatio et paenitentia. Il Sacramento della misericordia e del perdono deve essere vissuto con un sentimento di grande fiducia nella salvezza divina ed un sincero desiderio di conversione, cercando in esso la riconciliazione con Dio e con i fratelli. Ma, perché ciò avvenga, è fondamentale che i cristiani abbiano il giusto sentimento del peccato personale e della sua portata sociale: la mia comunità è peccatrice, perché io sono peccatore; Cristo è l’Agnello di Dio, che muore per togliere il peccato dal mondo; e il peccato del mondo è un peccato molto concreto, perché è il mio peccato.

In tal modo, è solo quando qualcuno si riconosce peccatore che può sentire anche la necessità del perdono e della salvezza; e allora ricorre a Dio, affinché Egli lo riconcilii con sé come Padre, con gli uomini suoi fratelli e si senta purificato, grazie al sangue versato da Gesù Cristo, con uno “spirito nuovo”.

La Reconciliatio et paenitentia ha trattato le tre forme di celebrazione di questo Sacramento, così come le caratteristiche di ognuna di esse (n. 32). La celebrazione con assoluzione generale collettiva (n. 33) richiede particolare cura, poiché non è la forma ordinaria di celebrare il Sacramento. Come lì viene indicato, si tratta di una forma per risolvere situazioni di grave necessità, tenendo conto dei criteri stabiliti dalla Conferenza Episcopale.

9. È vero che “La liturgia non esaurisce tutta l’azione della Chiesa”; ma è anche vero che “Nondimeno la liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia” . . . Essa “Introduce i fedeli nella pressante carità di Cristo e li infiamma con essa” (SC, 10). “La liturgia spinge i fedeli, nutriti dei “sacramenti pasquali”, a vivere «in perfetta unione»” (Messale romano, Post-communio della Veglia Pasquale).

Così vissuta consapevolmente, la Liturgia deve essere la fonte permanente dell’ispirazione e lo stimolo agente affinché si viva fraternamente in comunità. Soprattutto la comunione con Cristo nell’Eucaristia, deve portare i cristiani a una comunione sempre più trasformatrice e più perfetta con i fratelli: comunione nei beni, non solo in quelli spirituali, ma anche materiali. In paesi con eclatanti disuguaglianze sociali fra gli abitanti, si potrà vedere con maggior chiarezza come il vivere l’Eucaristia abbia ripercussioni anche nei rapporti interpersonali e comunitari.

Nella Liturgia, specialmente nell’Eucaristia, si celebra la realtà fondamentale della Pasqua: morte e resurrezione di Gesù Cristo, morte e resurrezione del battezzato, con Cristo. Nell’atto liturgico devono trovare spazio tutte le realtà della vita quotidiana del cristiano, poiché è con tutti gli aspetti della sua persona che anche lui deve “passare da questo mondo al Padre”. Nel partecipare alla celebrazione, il cristiano avrà presente le sue aspirazioni, le sue gioie, le sue sofferenze, i suoi progetti, così come quelli di tutti i suoi fratelli. E collocherà tutti questi propositi nella preghiera che la sua comunità, con tutta la Chiesa, rivolge al Padre, per Cristo Salvatore, nell’unità dello Spirito Paraclito.

Allo stesso tempo, la legittima e necessaria preoccupazione per le realtà attuali della vita concreta delle persone non può far dimenticare la vera natura delle azioni liturgiche. È chiaro che la Messa è qualcosa di più che una festa dell’unione fraterna; è molto più che un convivio di amici o di una mensa per i poveri. Non è neppure il momento per “celebrare” la dignità umana, le rivendicazioni o le speranze puramente terrene. È il Sacrificio che rende Cristo realmente presente nel Sacramento.

Tutti gli atti liturgici celebrano il Mistero pasquale; e l’Eucaristia è il Banchetto pasquale, al quale lo stesso Signore Gesù ci invita, per darsi a noi in alimento, come Pane che scende dal cielo, pegno di vita eterna (cf. Gv 6, 51), pegno della Sua Pasqua eterna. Risiede in questo la funzione primaria di tutta la Liturgia: “ricondurci instancabilmente sul cammino pasquale aperto da Cristo, in cui si accetta di morire per entrare nella vita” (Vicesimus quintus annus, 6).

10. Miei amati Fratelli nell’Episcopato, la liturgia è la legittima espressione della fede della Chiesa universale, nel momento in cui si presta culto a Dio santificando e edificando i fedeli. È un’attività che si ordina nel soprannaturale; e la fede è un primo elemento della nostra vita soprannaturale. Questo significa che il Credo deve essere sempre alla base della Liturgia, come professione della nostra fede sentita, vissuta, cantata e pregata.

È la fede che unisce i cristiani nella Chiesa. La prima condizione perché vi sia liturgia è che il culto sia vero e obbiettivo tenendo debitamente conto e luogo della natura di Dio e della natura dell’uomo, con i rapporti sintetizzati da Cristo stesso, quando disse: “Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto” (Mt 4, 10). La liturgia può, in un certo modo, dirsi la teologia del popolo cristiano, il quale - come un tempo i discepoli di Gesù - continua a chiedere ai Suoi Pastori: insegnateci a pregare (cf. Lc 11, 1). Dobbiamo quindi essere maestri di preghiera nelle nostre Chiese particolari. Per esse siamo i primi liturghi. Con esse e per esse siamo innanzitutto “ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio” (1 Cor 4, 1). Come vescovi, siamo i primi responsabili per far pregare il popolo fedele, i primi zelanti della purezza e della nobiltà delle celebrazioni, per una liturgia degna e fervente.

Tornate alle vostre Chiese particolari con rinnovata fiducia che il Signore, Signore risorto è con i Vescovi del Regional Sul-1, fino alla fine; con voi è la Chiesa tutta e sono l’apprezzamento e la gratitudine del Vescovo di Roma, con affetto fraterno ravvivato da questa visita “ad limina”.

Con l’intercessione della Madre della nostra fiducia - Patrona del Brasile, che ha la sua Casa materna ad Aparecida, nel territorio del vostro Regional - continuerò ad implorare la protezione del Buon Pastore; e pegno di questa, per le vostre persone e le vostre Comunità diocesane, sia la mia Benedizione Apostolica.

 

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