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VIAGGIO APOSTOLICO IN POLONIA
(1°-9 GIUGNO 1991)

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI RAPPRESENTANTI DEL
CONSIGLIO ECUMENICO POLACCO

 Chiesa luterana della Santissima Trinità (Varsavia)
 Domenica, 9 giugno 1991

 

Sia lodato Gesù Cristo!

1. “Pietro, apostolo di Gesù Cristo, ai fedeli . . . eletti secondo la prescienza di Dio Padre, mediante la santificazione dello Spirito . . . e per essere aspersi dal suo sangue (di Gesù Cristo): grazia e pace a voi in abbondanza!” (1 Pt 1, 1-2). Con queste parole di Pietro Apostolo della sua Prima Lettera desidero salutare cordialmente tutti voi, cari Fratelli e Sorelle, partecipanti a questo incontro. Sia lode per questo alla Santissima Trinità. Alla sua gloria è stata dedicata questa casa di Dio della Chiesa Evangelica Asburgica, che oggi ci ospita.

2. A questo incontro mi invitò, quattro anni fa, nella sede del Primate in via Miodova, il Rappresentante del Consiglio Ecumenico Polacco, il Molto Venerato nostro fratello Adam Kuczma. Espresse allora l’augurio di poter incontrarci, durante il mio quarto pellegrinaggio in Patria, in un tempio di una delle Chiese associate al Consiglio Ecumenico Polacco. Anch’io lo desideravo ardentemente. Ed ecco si compiono i desideri di entrambe le parti.

3. Il luogo del nostro incontro odierno ha una profonda eloquenza. Questo tempio luterano nel 1939 e nel 1944 condivideva la sorte delle altre chiese di Varsavia.

Gli occupanti non le riservarono un trattamento migliore, perché era luterana. Qui lavorò nel 1898, come parroco, il reverendo Juliusz Bursche, più tardi vescovo e capo della Chiesa Evangelica-Asburgica in Polonia. Quel grande cristiano e grande patriota polacco preferì dare la vita nella prigione tedesca che rinunciare all’essere polacco.

In questo tempio annunziò la parola di Dio anche un altro grande cristiano e polacco, servo della Chiesa Evangelica-Asburgica, il Vescovo Zygmunt Michelis, parroco di questa parrocchia dal 1921, al quale per la difesa di Varsavia nel 1939 fu conferita la Croce “Virtuti militari”.

Sia il vescovo Bursche che il vescovo Michelis con la loro vita e con la loro morte hanno in un certo senso smentito la diffusa convinzione, che un luterano è un Tedesco, e un Polacco è un cattolico.

4. Lungo i secoli la nostra Patria fu una casa ospitale per tutti i suoi abitanti. Vivevano qui, una accanto all’altra diverse nazionalità, più religioni e molte confessioni. La Polonia si distingueva per la tolleranza, rara in Europa, il che è stato giustamente annotato dagli storiografi.

Nel mio “Messaggio per la Celebrazione della XXIV Giornata della Pace” ho discusso più ampiamente la questione delle minoranze religiose e confessionali su scala mondiale. L’intolleranza, una malattia dell’umanità e l’ignominia delle Chiese, può manifestarsi sia da parte del più forte sia da quella dei più deboli. La mancanza di tolleranza appare là, dove viene applicata per esempio la pressione e la costrizione nel “convertire”, ma anche là dove prevale la mentalità fondamentalista. Pensando prima di tutto alle comunità “più forti” ho scritto: “Per quanto si possa avere a cuore la verità della propria religione, ciò non dà a nessuna persona o gruppo il diritto di tentare di reprimere la libertà di coscienza di quanti hanno altre convinzioni religiose o di indurli a falsare la loro coscienza offrendo o negando determinati privilegi e diritti sociali, se essi cambiano la propria religione” (Ioannis Pauli PP. II, Nuntius ob diem ad pacem fovendam dicatum pro a. D. 1991, IV, die 8 dec. 1990: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XIII, 2 (1990) 1563).

5. Si tratta però di qualcosa di più che tolleranza reciproca. Sovente infatti la tolleranza viene intesa come protezione di minoranze etniche o religiose, “riducendole così alla categoria di minori civili . . . Ciò potrebbe risolversi in una forma di discriminazione che ostacola, anzi impedisce lo sviluppo di una società armonica e pacifica. Piuttosto, va riconosciuto e garantito l’insopprimibile diritto di seguire la propria coscienza e di professare e di praticare, da soli o comunitariamente, la propria fede, sempre che non siano violate le esigenze dell’ordine pubblico” (Ivi). Ho ritenuto che questo avrebbe dovuto essere detto in un Messaggio di pace.

6. Fratelli e sorelle in Cristo! Se noi ricordiamo al mondo la necessità della tolleranza tra le Chiese, ciò non vuol dire che basta la tolleranza da sola. Decisamente è troppo poco. Un semplice tollerarsi non può bastare ai cristiani e alle Chiese di Cristo. A volte infatti si tollera persino il male, nel nome di un bene maggiore. Non vorrei che voi soltanto mi tolleraste. E io non voglio soltanto tollerarvi, Fratelli e Sorelle. Che fratelli e sorelle sono se soltanto si tollerano? Che fratelli e sorelle sono in Cristo coloro che soltanto si tollerano?! Siamo davvero i figli amati del Padre, i figli amati nel Figlio, siamo la dimora dello Spirito Santo, amiamo il Vangelo, siamo innestati in Cristo, dissetati dal suo Spirito.

Ognuno nel modo a sé proprio, a misura del dono di Cristo e delle proprie vie, a volte difficili da discernere e da valutare. Leggiamo nella Lettera agli Efesini: “. . . in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate i lontani siete diventati i vicini grazie al sangue di Cristo . . . Per mezzo di lui possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito” (Ef 2, 13.18). Apparteniamo a diverse Chiese, però non siamo “stranieri né ospiti”; “siamo concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù” (Ef 2, 19-20). Anche se ancora siamo diversi nella fede, tuttavia per la grazia di Dio siamo concordi a proposito dei fondamenti stessi della nostra fede: tutti crediamo in Gesù Cristo Figlio di Dio, che è il nostro Salvatore crocifisso e risorto; tutti siamo stati battezzati nel nome dello stesso Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

Esattamente quasi due anni fa, durante l’incontro ecumenico nella lontana Reykjavik, facevo osservare che lo stesso battesimo, con cui siamo battezzati, non costituisce soltanto il germe della nostra reciproca unità. “II Battesimo, come inizio della salvezza in ciascun individuo, contiene un dinamismo interno che “tende interamente all’acquisto della pienezza della vita in Cristo”” (cf. Unitatis redintegratio, 22). È quindi “orientato all’integra professione di fede, alla integrale incorporazione nell’istituzione della salvezza, come lo stesso Cristo ha voluto, e infine, alla piena inserzione nella comunione eucaristica” (Ivi). La sfida che ci si pone è di superare a poco a poco gli ostacoli a questa comunione e crescere insieme in quella unità di Cristo che è una sola, quella unità della quale la dotò sin dall’inizio. La serietà del compito vieta ogni precipitazione o impazienza, ma il dovere di rispondere alla volontà di Cristo esige che restiamo saldi sulla via verso la pace e l’unità tra tutti i Cristiani. Sappiamo bene che non siamo noi quelli che rimargineranno le ferite della divisione e che ristabiliranno l’unità; siamo semplici strumenti che Dio potrà utilizzare. L’unità tra i cristiani sarà dono di Dio, nel suo tempo di grazia. Umilmente tendiamo a quel giorno, crescendo nell’amore, nel reciproco perdono e nella reciproca fiducia” (Ioannis Pauli PP. II, Allocutio in magnis hortis Islandensium regionibus, vulgo Thingvellir cognominatis, ad Christifideles et seiunctos Fratres una simul congregatos habita, 3, die 3 iun. 1989: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XII, 1 (1989) 1485).

“Sopportandovi a vicenda”, continua la Lettera agli Efesini, delineando un vero programma di convivenza cristiana del Popolo di Dio. Dobbiamo agire “con ogni umiltà, mansuetudine”; anche con “pazienza”. Questa è anche una lezione di tolleranza che nella nostra storia polacca si è riusciti ad incarnare nella vita in modo abbastanza soddisfacente. Tuttavia questo è appena il primo, il più facile punto del programma scritto per i cristiani. Leggiamo infatti: “sopportandovi a vicenda con amore” (Ef 4, 2). “Sopportare . . . con amore” significa più di tollerare soltanto.

“Sopportare con amore” è anche tentare di capire; capire per perdonare; “sopportare con amore” è anche accettare, sentirsi vicini interiormente, voler essere nella comunione, sentire il bisogno di comunità, è affrettarsi per sostenersi, è voler collaborare e creare insieme. Ancora una volta ricorrerò alle riflessioni ecumeniche formulate in occasione nel mio viaggio nei Paesi scandinavi. “Dobbiamo riconoscere con dolore - dicevo durante l’incontro ecumenico nella cattedrale luterana a Uppsala (Ioannis Pauli PP. II, Allocutio Upsalae in ecclesia lutheranense habita, ad repraesentantes Confessionum christianarum, 3, die 9 iun. 1989: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XII, 1 (1989) 1604) - che i cristiani non sono uniti. Allo stesso tempo possiamo essere fiduciosi che il Signore della storia non ci ha abbandonati alle nostre divisioni. Egli con saggezza e pazienza ci conduce con la sua grazia ad un maggiore ravvedimento e ad un maggiore desiderio dell’unione”.

Che il nostro amore si esprima prima nel perdonare e nel chiedere perdono. “È una sfida per noi perdonarci l’un l’altro, ma il Signore ci ha comandato di farlo. Dopo quattrocento anni di separazione, occorre del tempo perché il processo di riconciliazione e di risanamento abbia luogo. Non tutto può essere fatto subito, ma dobbiamo fare oggi quello che possiamo nella speranza di ciò che sarà possibile domani” (Ivi).

Occorre tenere presente che “Per quanto noi ci impegniamo per l’unità, essa rimane sempre un dono dello Spirito Santo. Saremo disponibili a ricevere questo dono nella misura in cui avremo aperto le nostre menti e i nostri cuori a lui attraverso la vita cristiana e soprattutto attraverso la preghiera” (Ivi).

7. Nella misura in cui in noi crescerà l’obbedienza allo Spirito Santo, anche la collaborazione esterna e collaborazione delle nostre Chiese acquisterà forma spirituale: sarà questo il nostro comune sforzo avente come scopo la difesa della vita umana dal momento del concepimento sino alla morte naturale, oppure la nostra collaborazione in favore dei valori come la dignità di ogni uomo, il lavoro, la giustizia, la pace, la libertà o la difesa dell’ambiente.

Possiamo essere più visibilmente solidali ecumenicamente nel sostenere i bisognosi. Tanto desideriamo di essere ecumenicamente solidali con i popoli che lungo la via della croce procedono nella ricerca di poter essere se stessi nella propria terra.

8. Per una tale solidarietà cristiana, ecumenica tra le Chiese prego oggi il Signore Dio per la mia amata Patria. La raccomando vivamente ai miei Fratelli nel servizio episcopale nella Chiesa romana cattolica. Da loro infatti dipende così tanto il cristianesimo polacco. La raccomando a tutti i Molto Venerati Fratelli delle Chiese associate nel Consiglio Ecumenico Polacco. La raccomando a voi tutti, amati Fratelli e Sorelle nel Vangelo.

“Grazia e pace a voi in abbondanza”.



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