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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
DURANTE LA RIUNIONE CON I PATRIARCHI E I VESCOVI
DEI PAESI IMPLICATI NELLA GUERRA DEL GOLFO

Lunedì, 4 marzo 1991

 

Cari e venerabili fratelli nell’Episcopato,

1. Permettetemi innanzitutto di esprimervi la gioia spirituale che provo nel vedervi qui riuniti. Attraverso di voi, saluto con affetto coloro che rappresentate: i vostri confratelli nell’Episcopato, i vostri collaboratori nell’apostolato così come tutti i fedeli affidati alla vostra sollecitudine pastorale. A ognuno dico insieme all’Apostolo Paolo: “Il Signore della pace vi dia egli stesso la pace sempre e in ogni modo” (2 Ts 3, 16)!

2. La presenza dei venerabili Patriarchi cattolici delle Chiese del Vicino e del Medio Oriente ci ricorda le sofferenze che molte popolazioni di una regione nella quale Dio si è manifestato ai nostri Padri nella fede continuano a sopportare. In questi ultimi mesi, nella zona del Golfo Persico le prove sono raddoppiate.

3. Mentre apriamo le nostre giornate di riflessione su questi gravi problemi, invochiamo sui nostri lavori la luce dello Spirito Santo e affidiamoci all’intercessione materna di Maria affinché dai nostri scambi nascano orientamenti e iniziative che riflettano più chiaramente l’amore di Dio verso tutti gli uomini.

4. Invitandovi a prendere parte a questa riunione, cari fratelli nell’Episcopato, ho voluto fornire a ciascun capo delle Chiese del Vicino e del Medio Oriente l’occasione di esporre la situazione, spirituale e materiale, nella quale si trovano i loro fedeli a causa delle tensioni e dei combattimenti provocati dall’invasione irachena del Kuwait, il 2 agosto 1990, e le ostilità che ne sono seguite. Gli osservatori accorti della realtà internazionale sono unanimi nel dire che quella che si deve definire una guerra ha già avuto e avrà ancora ripercussioni su tutta la regione e oltre.

Cari fratelli, venite qui come testimoni di queste grandi prove che hanno colpito e decimato intere popolazioni, che hanno seminato lutto e distruzione e che hanno anche riacceso diffidenze e rancori ereditati dal passato. Perché, in realtà, la tentazione di ricorrere alla guerra era presente molto prima del mese di agosto 1990.

5. La pace e la giustizia camminano insieme. Ora, da più di quarant’anni il popolo palestinese è errabondo e lo Stato d’Israele è contestato e minacciato. Non possiamo dimenticare che, dal 1975, il popolo libanese vive una lunga agonia e, ancora oggi, il suo territorio nazionale è occupato da forze non libanesi. Sua Beatitudine Nasrallah Sfeir potrà esporci le aspirazioni dei suoi concittadini, cristiani e musulmani, La presenza dei Patriarchi cattolici copto, siriano, melkita, maronita, latino di Gerusalemme e armeno ci ricordano opportunamente che i loro fedeli, praticamente disseminati in tutti i paesi della regione, si trovano di fronte, con gli altri fratelli cristiani, a mille difficoltà, la più grande delle quali è quella di potersi affermare come cristiani essendo minoritari nelle società islamiche che, secondo le politiche nazionali o regionali, li tollerano, li stimano o li rifiutano. A questo proposito, non posso tacere il fatto che ci sono ancora oggi paesi che non permettono alle comunità cristiane di istallarsi sul loro territorio, celebrare la loro fede e viverla secondo le esigenze proprie alla loro confessione. Penso in particolare all’Arabia Saudita. Infine, il Patriarca di Babilonia dei Caldei, Sua Beatitudine Raphael Bidawid, ci porterà la testimonianza del suo paese, l’Iraq, le cui popolazioni, appena uscite da un altro conflitto con l’Iran hanno conosciuto di nuovo gli orrori della guerra. Immaginiamo tutti con quale impazienza gli iracheni, cristiani e musulmani, aspettano una vera pace per oggi e per il domani.

6. Di fronte a questa situazione, ho voluto che non mancasse un’espressione concreta della solidarietà ecclesiale. Ecco perché ho deciso che a questa riunione avrebbero partecipato i Presidenti delle Conferenze episcopali dei paesi più direttamente coinvolti in quella che è stata chiamata “la guerra del Golfo”. Li ringrazio tutti per essere venuti, malgrado i loro impegni pastorali e per aver dato questa testimonianza di collegialità. Quando la guerra ha seminato divisioni, sofferenze e morte, è fondamentale che la Chiesa cattolica appaia agli occhi del mondo come una comunità di carità, lei che, come affermava il Concilio Vaticano II “cammina insieme con l’umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena” e deve dunque apparire sempre di più “come il fermento e, quasi, l’anima della società umana destinata a rinnovarsi in Cristo e a trasformarsi in famiglia di Dio” (Gaudium et Spes, 40).

7. Questa missione esaltante della Chiesa nel mondo e per il mondo non risponde assolutamente a criteri o ad ambizioni di natura politica. Con povertà di mezzi, conformemente alla sua natura spirituale, la Chiesa si sforza di suscitare o di risvegliare il senso della verità, della giustizia e della fraternità, che il Creatore ha messo nel cuore di ogni uomo, di ogni persona considerata sempre nella sua dimensione trascendente e sociale.

Queste considerazioni fondamentali hanno motivato i miei numerosi, recenti interventi, mentre la pace nel Golfo e, in un certo senso, la pace del mondo erano minacciate. Mi è sembrato necessario, in effetti, ricordare i grandi principi della morale e del diritto internazionale che dovrebbero sempre ispirare i comportamenti dei popoli e dei loro responsabili, i principi di una morale e di un diritto che interpellano nello stesso modo la coscienza di tutti e che siano applicati dappertutto e applicabili ad ogni componente della comunità internazionale. Ora, sappiamo che dalla fine della seconda guerra mondiale un ordine internazionale ha visto la luce con lo scopo di rendere solidali, ovunque soggetti uguali in dignità e in diritto. Ha escluso la guerra come mezzo utile per la soluzione delle controversie tra le nazioni. Abbiamo oggi l’occasione di misurare il fondamento di una simile visione delle cose.

8. Alla luce di questi principi, la comunità delle nazioni, e in particolare le organizzazioni internazionali e regionali, è chiamata oggi a considerare “il dopo guerra del Golfo”. Vengono poste questioni di primaria importanza: il rispetto effettivo del principio dell’integrità territoriale degli Stati; la soluzione dei problemi irrisolti da decenni e che costituiscono focolai di tensioni continue; la regolamentazione del commercio delle armi di ogni tipo; accordi per il disarmo della regione. È soltanto quando sarà data una risposta a questi problemi che potranno coesistere, nella pace, l’Iraq e i suoi vicini Israele, il Libano, il popolo palestinese e i ciprioti.

È impossibile ignorare i problemi di ordine economico. In questa parte del mondo esistono ineguaglianze, e sappiamo tutti che, quando la mancanza di prospettive per l’avvenire e la povertà attanagliano un popolo, la pace è in pericolo. L’ordine economico internazionale, infatti, deve tendere sempre più alla condivisione e al rifiuto dell’accaparramento o dello sfruttamento egoista delle risorse del pianeta. Si deve assicurare la giusta remunerazione delle materie prime, permettere a tutti l’accesso alle risorse necessarie per vivere, assicurare lo scambio armonioso delle tecnologie e fissare condizioni accettabili per il rimborso del debito dei paesi più poveri.

9. Passiamo ora alla fase attiva della nostra riunione ascoltandoci gli uni e gli altri, ci sforzeremo di udire le grida di molte popolazioni che aspettano una pace giusta e duratura e di farci solidali con le loro aspirazioni. Non dimenticheremo l’esistenza dei gravi problemi della regione che oggi si manifestano più urgenti che mai.

Mi sembra importante, cari fratelli nell’episcopato, che alcune convinzioni guidino le nostre riflessioni.

- Se i problemi di ieri non sono risolti o non conoscono l’inizio di una soluzione, i poveri del Medio Oriente, penso in particolare al popolo palestinese e al popolo libanese, saranno ancora più minacciati;

- non ci sono guerre di religione in corso e non può esserci una “guerra santa”, perché i valori di adorazione, di fraternità e di pace che nascono dalla fede in Dio chiamano all’incontro e al dialogo;

- la solidarietà che sarà chiesta alla comunità internazionale in favore dei popoli afflitti dalla guerra dovrà essere accompagnata da un serio sforzo affinché i pregiudizi e i semplicismi non vengano a compromettere le intenzioni migliori;

- ogni attesa nella ricerca di soluzioni o nella promozione del dialogo costituisce un rischio serio di aggravamento delle tensioni già esistenti.

10. Venerabili fratelli, il nostro incontro stesso è un messaggio che si rivolge alle Chiese e al mondo. Esso riunisce pastori di popoli che ieri si sono opposti con la forza. Oggi, al centro della Chiesa, di questa sede apostolica che presiede alla carità, questi stessi pastori li chiamano alla riconciliazione per costruire insieme un avvenire che permetta a ciascuno di vivere nella dignità e nella libertà.

Sono certo che le comunità cattoliche della regione, nonostante la loro piccolezza e talvolta la debolezza dei loro mezzi, sono chiamate provvidenzialmente a portare la loro testimonianza e il loro contributo alla ricostruzione dì una società più fraterna. Per ognuna di esse è il tempo della conversione e dell’autenticità: vivere il Vangelo senza paura né complessi e dare prova della speranza che è in noi (cf. 1 Pt 3, 15).

È il nostro augurio; è la nostra preghiera!

 

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