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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AL TERMINE DELLA RIUNIONE QUARESIMALE
CON IL CLERO DELLA DIOCESI DI ROMA

Giovedì, 5 marzo 1992

 

Grazie per questo incontro, ormai tradizionale e molto ben inquadrato nella prima settimana della Quaresima, specialmente dopo la visita al Seminario Romano, sabato scorso, e dopo l’incontro con questi protagonisti dei confronti con la città.

Vorrei ora offrire una sintesi, come mi è venuta seguendo i vostri interventi. Ritorna la parola-chiave: “Spiritus loquitur Ecclesiae”. Lo Spirito parla alla Chiesa. È questa, io penso, la definizione del Concilio Vaticano II, lo Spirito che ha parlato alla Chiesa nella sua dimensione universale.

Lo incontriamo anche nella Scrittura, molte volte: lo Spirito parla alle Chiese, e una conseguenza di questa dimensione universale sono i Sinodi. Il Sinodo è anche un luogo in cui lo Spirito Santo parla alle Chiese particolari e alle Chiese locali; naturalmente per Chiesa vogliamo intendere soprattutto la Diocesi, ma anche, dentro la Diocesi, ogni parrocchia che partecipa all’unità di questa Chiesa particolare, diocesana e anche di questa Chiesa Universale, attraverso la Diocesi.

Lo Spirito ha parlato alla Chiesa Universale soprattutto della Chiesa. C’era questa domanda di partenza durante la prima sessione del Concilio: “Ecclesia, quid dicis de te ipsa”? È veramente la domanda fondamentale che ha poi orientato tutto il Concilio, tutti i lavori del Concilio. Tutto il Concilio è, in qualche senso, risposta a questa domanda. Come una volta la domanda è stata indirizzata a Giovanni Battista: quid dicit de te ipso? Così è anche la stessa domanda indirizzata alla Chiesa che ha trovato risposta nel Concilio Vaticano II. E questa risposta sta sempre davanti a noi, non è una risposta che già abbia perso la sua attualità; acquista sempre di più la sua attualità e acquista questa attualità soprattutto attraverso i Sinodi. I Sinodi, le Assemblee Sinodali, devono porsi la stessa domanda: quid dicis de te ipsa, Ecclesia Romae? Quid dicis de te ipsa?

E poi si deve elaborare sistematicamente, in un modo un po’ analogo come si faceva nel Concilio, una risposta a questa domanda.

Qui dobbiamo tornare alla risposta che il Concilio ha dato. Questa risposta si articola in tutti i Documenti, ma soprattutto nei due centrali: Lumen gentium e Gaudium et spes. E sono - come ho detto ai miei ospiti di due giorni fa che mi spiegavano la tematica dei confronti con Roma - Documenti complementari: la Chiesa in se stessa, Lumen gentium, e la Chiesa nel mondo, Gaudium et spes; non può essere la Chiesa in se stessa senza essere nel mondo. Io penso che qui troviamo anche la logica interna del Sinodo romano, qui ci troviamo davanti a questa logica interna.

Io penso che i lavori finora compiuti dal Sinodo romano si centravano soprattutto sulla Chiesa in se stessa, possiamo dire che era il capitolo della Lumen gentium che essa già ha approfondito. Adesso, con questi confronti, la Chiesa di Roma passa alla “Gaudium et spes”, a incontrare i problemi del mondo contemporaneo, del mondo di oggi. Quei problemi che sono universali nel Documento del Vaticano II, “Gaudium et spes”, e quelli che devono essere più localizzati nel Sinodo di Roma, ma sono gli stessi problemi. Cerchiamo di identificare la struttura di questa problematica tipica per la “Gaudium et spes”.

Sappiamo bene che la prima parte è dedicata alla vocazione della persona umana. La seconda parte si articola in quattro o cinque capitoli che toccano le diverse dimensioni di questa vocazione dell’uomo e il primo capitolo è la famiglia, il matrimonio e la famiglia; poi seguono gli altri, la cultura, la vita sociale, la vita economica, la vita politica, la vita internazionale.

Possiamo dire che questi capitoli sono basati su una certa analogia perché si possono leggere non solamente dal primo all’ultimo, ma anche dall’ultimo al primo e si devono leggere così. Si devono leggere dall’ultimo al primo perché se prendiamo la dimensione della vita internazionale, della vita politica, della vita economica e della cultura, torniamo sempre alla famiglia, perché torniamo alla vocazione dell’uomo, della persona umana. La vocazione della persona umana si realizza soprattutto nella famiglia. Così dall’inizio, dalla Genesi lo leggiamo subito. Allora anche qui io vedo, parlando con i diversi capi dei gruppi di confronto, erano dieci, c’erano anche i Vescovi e altri collaboratori che sono un po’ gli assistenti di questi gruppi di lavoro, di confronto, di studio, allora, c’erano le diverse problematiche un po’ come nella parte seconda della “Gaudium et spes”, ma alla fine tutto deve essere ridotto e ricondotto alla famiglia e così si vede anche nella struttura dei lavori del Sinodo romano e così si è visto soprattutto oggi, in questa nostra adunanza del clero di Roma.

Ecco, la struttura logica corrisponde alla struttura dei principali Documenti del Concilio Vaticano II e in questo senso possiamo anche confermare la nostra fede, la nostra convinzione che “Spiritus loquitur Ecclesiae Romae”, parla alla Chiesa di Roma, perché attraverso questa logica interna del Vaticano II in cui noi entriamo con la nostra logica del Sinodo, attraverso questo, si vede quasi la stessa mano. Non è solamente la mano degli artefici umani, dei Vescovi, dei teologi, è anche questa mano invisibile.

Si è visto nella discussione soprattutto che la famiglia è soggetto-oggetto dell’evangelizzazione, ma ancora di più, di un’ampia evangelizzazione. Ancora di più, e lo abbiamo toccato con le mani o piuttosto con le parole in questo dibattito. Lo abbiamo toccato e lo vediamo non solamente in questo dibattito, ma lo vediamo ogni giorno, lo vediamo nell’esperienza della vita sociale, della vita di Roma, di ogni parrocchia, lo vediamo anche guardando le statistiche, i giornali. Io direi che in queste fonti si trova più ciò che è anti-Vangelo, anti-evangelizzazione che evangelizzazione. Servono piuttosto all’anti-evangelizzazione che all’evangelizzazione. Il nostro incontro si è rivelato utile, perché qui si è parlato non solamente di ciò che è evidente - i frutti dell’anti-evangelizzazione, che è anche sistematica, anche guidata da un centro qualche volta anonimo - ma si sono visti anche l’evangelizzazione e i suoi frutti, perché dove abbonda il peccato, e così abbonda certamente, deve sovrabbondare la grazia. Questo principio paolino è il principio primo e principale della nostra evangelizzazione e del nostro apostolato, della nostra opera pastorale.

Certamente, l’anti-evangelizzazione cerca i punti deboli dell’uomo. Non solamente cerca questi punti deboli dell’uomo per distruggerlo e per distruggere, attraverso lui e la sua debolezza, i valori della famiglia: l’unità, la fedeltà, l’amore, la castità. Vuol fare un programma di questo: vuol convincere l’umanità, la società, gli ambienti, le persone che la vera realtà dell’uomo è quella del peccato, della distruzione.

È interessante come anche Gesù abbia detto agli apostoli che lo Spirito Santo ci convincerà sul peccato. È vero, ma questo convincimento sul peccato che viene dallo Spirito Santo è appunto l’evangelizzazione perché lo Spirito Santo se convince del peccato, convince per tirare fuori, per salvare, per sanare e santificare. E questo è il nucleo dell’evangelizzazione.

Io ho sentito con preoccupazione grande i dati statistici su quelli che sono i frutti dell’anti-evangelizzazione o del peccato anche in qualche senso codificato dalla mentalità, dalle ideologie, anche anonime, odierne. Ma ho sentito nello stesso tempo con grande speranza tutto quello che riguarda gli sforzi dell’evangelizzazione e soprattutto della disponibilità grande da parte degli stessi interessati, degli stessi fidanzati, degli stessi sposi, delle stesse famiglie, di assumere questo problema che appartiene alla loro vocazione umana, la persona umana nella famiglia. Sono pronti, dunque, ad assumere questa responsabilità nelle loro mani, sentono il pericolo, vogliono difendersi. E questo è già un grande passo avanti.

Qui si è parlato - passo un po’ ai problemi concreti - della preparazione al sacramento del matrimonio. I corsi di preparazione hanno diversi sistemi. Ci sono poi, per esempio, diversi centri di spiritualità e molti già impiantati in diversi posti di Roma. Io penso sempre questo: ci sono due sacramenti che hanno una grande importanza per il popolo di Dio, come popolo, come società, i sacramenti cosiddetti sociali, il sacerdozio e il matrimonio.

Allora, se noi prendiamo la preparazione normale, consueta, ad essere sacerdote, si deve constatare che la preparazione consueta, normale, ad essere coniuge, marito o moglie, ad essere padre o madre di famiglia, è relativamente molto scarsa. Si dovrebbero avere sei anni di preparazione, ma come poterlo fare? Certamente, il processo vocazionale - vocazione sacerdotale o religiosa -, è un processo più lungo, più profondo. La vocazione matrimoniale sembra un processo più breve, più spontaneo: viene da quell’innamoramento dei giovani che vogliono essere sposi e questo è il periodo in cui si pensa: ecco, dobbiamo prepararci. Ma, forse, si potrebbe ancora pensare al modo come strutturare più pienamente questa preparazione al sacramento. È una cosa molto positiva che io già ho notato nella mia Diocesi in Polonia, Cracovia, e che noto anche qui: questa preparazione più sistematica al sacramento del matrimonio, questa preparazione più completa è già trattata come regola e nessuno cerca di dispensarsi. Tutti vedono che questo serve a loro, anzi, forse vorrebbero avere di più. Questa disponibilità è una grande speranza, ci dice molte cose, anche se naturalmente questa crea per noi un lavoro di più, grazie a Dio. Noi sappiamo bene che questo lavoro pastorale in più, che è dedicato alla famiglia, alla preparazione della famiglia, è molto condiviso dai nostri laici, dai tanti laici che sono già pronti a collaborare in questo campo.

Ci sono poi naturalmente i problemi che nella nostra civiltà, come frutti dell’anti-evangelizzazione, sono accresciuti, sono aumentati. Se si tratta di questa anti-evangelizzazione noi non dobbiamo pensare solamente che viene dall’“extra”. Questa evangelizzazione viene dall’“intra”, soprattutto in ciascuno di noi troviamo quel “fomes peccati”. Il problema è questo: l’evangelizzazione è come vincere il “fomes peccati”, come vincere il peccato. Con l’amore o “anti” come distruggere l’amore col peccato, approfittando di questo “fomes peccati” che è in ciascuno.

Ci sono questi casi, questi problemi specifici, come per esempio le persone divorziate, risposate. Tutti i Vescovi europei che vengono, adesso ci sono i francesi, tutti parlano della stessa cosa come un problema di grandissima importanza pastorale. Io penso che la proposta fatta da uno dei confratelli è molto giusta, si deve studiare questo problema, le possibili soluzioni, la sistemazione di questo problema, non per facilitare i divorzi, ma cercando una più profonda, una più ampia comprensione per l’immaturità dei fidanzati, dei giovani sposi, eccetera.

C’è ancora un problema che è molto vicino a questo, il problema degli anziani. È il problema dell’invecchiamento della società. Certamente una tale società troppo invecchiata non è una società sana. E penso che quel processo, che poi è un processo inevitabile e necessario secondo i principi cosiddetti della ideologia laica o laicista, allora questo processo è inevitabile, ma forse potrebbero anche incominciare un ripensamento sugli stessi principi perché se è così andremo sempre di più verso una società meno sana, più in pericolo. Si vedono, in diverse società europee, fenomeni di partiti politici un po’ problematici, orientati piuttosto in senso anti-straniero, anti-immigrazione, con princìpi quasi nazisti. Tutte queste sono le conseguenze della situazione non sana e sempre meno sana della società.

E qui si deve aprire il dialogo tra la Chiesa, come ha già sottolineato il Cardinale, e le autorità di questa società, le autorità statali, le autorità regionali, anche le autorità urbane.

Ancora due piccole cose ma importanti. La prima, la domanda di beatificazione di una coppia. Questo desiderio grande lo porto nel mio cuore, ma vedo che i meccanismi delle beatificazioni sono ancora lontani da questa possibilità. Ma non è colpa della Congregazione, la colpa è della comunità cristiana. Vengono beatificati e canonizzati, soprattutto i fondatori, le fondatrici, i religiosi, un po’ meno i sacerdoti del clero diocesano. Quando era l’anno del Sinodo sui laici si cercavano dei candidati e la situazione era grave perché non si trovava nessuno, all’infuori del professor Moscati. All’ultimo momento sono arrivati alcuni martiri giovani, martiri come Maria Goretti, erano due ragazze italiane, e poi Marcel Caillot, che è martire del campo di concentramento tedesco morto per la fede, assassinato per la fede.

Più difficile è stato durante il Sinodo della famiglia in cui si sentiva questo desiderio di avere una coppia di sposi come candidati. È stato un desiderio grande in quel momento, ma non si è trovato nessuno perché non esistono queste riserve normali che hanno tutti i religiosi e le religiose, beatificati e canonizzati giustamente, con merito. Manca questo appoggio della società ecclesiale, del popolo di Dio. E mi è venuto in mente che forse la vostra assemblea potrebbe chiedere formalmente una tale beatificazione. Cerchiamoli, perché, ex natura rei, come stanno le cose, oggi loro non trovano in genere questo appoggio della società, della comunità cristiana, della Diocesi, delle parrocchie. Non lo trovano, non c’è una tradizione in questo campo e poi manca anche questo meccanismo umano che è necessario per i processi della beatificazione e della canonizzazione. Si deve ripensare tutto questo. La Congregazione delle Cause dei Santi è piuttosto esecutrice, ma il sistema, il meccanismo deve essere pensato dal popolo di Dio, dalla comunità cristiana, nei diversi posti, come andare avanti. Una volta si parlava dei genitori di Santa Teresa del Bambino Gesù, ma non sembra che la causa sia andata avanti finora.

Ancora una parola ai Diaconi permanenti. Io sono pronto a riceverli come vogliono con le loro famiglie. Cercheremo una circostanza opportuna per questo, il Cardinale ci preparerà tutto. Quando sono andato negli Stati Uniti, dove il numero dei diaconi permanenti è il più alto nel mondo, ho avuto un tale incontro molto ben preparato e molto ben vissuto.

L’ultima cosa per il confronto. Il Cardinale ha detto che questa parola è un po’ ambigua, che può anche significare uno scontro. Non solamente scontro, ma incontro. Io ho fatto una visita al Seminario Romano, sabato scorso, e ho trovato ancora un’altra interpretazione di questo confronto. Ho detto: ecco qui, in questo Seminario Romano, la Chiesa di Roma, la società di Roma, la comunità umana e cristiana di Roma, deve “confrontarsi” con la realtà di questo Seminario. Voi siete anche un “confronto”, dicevo agli studenti, ai seminaristi, voi mostrate a questa Chiesa di Roma una certa realtà, una certa verità di se stessa che non è solamente una comunità umana decadente e non più cristiana. Ci sono anche i semi della vocazione divina, ci sono candidati al Seminario e sono sempre più numerosi quelli della città. Questa ultima parola potrebbe anche servire bene all’opera vocazionale che si fa nella Chiesa di Roma, nella Diocesi e in ogni parrocchia.

Grazie ancora una volta per questo incontro.

 

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