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VISITA PASTORALE IN FRIULI-VENEZIA GIULIA

INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON LA CITTADINANZA DI CONCORDIA

Piazza della Cattedrale di Concordia (Pordenone) - Venerdì, 1° maggio 1992

 

Carissimi fratelli e sorelle!

1. È soltanto una breve sosta quella che mi è possibile effettuare nella vostra Città. Si tratta, però, di una visita carica di profondi sentimenti. Vengo tra voi per esprimere all’intera vostra Cittadinanza il mio affetto. Vengo tra voi per recarvi la pace del Cristo Risorto e il suo messaggio di speranza per ogni essere umano. Sono particolarmente grato al Signor Sindaco per le cortesi espressioni di benvenuto che ha voluto rivolgermi anche a vostro nome. Saluto le Autorità amministrative, politiche e militari presenti. Saluto il vostro Pastore, il Vescovo di Concordia-Pordenone, Mons. Sennen Corrà, come anche il suo predecessore che è voluto essere qui con noi, anche nella vostra città, e insieme a lui il Clero, i Religiosi, le Religiose e l’intero popolo cristiano, con un particolare pensiero per la città di Portogruaro, che non mi è possibile purtroppo visitare. Tutti ringrazio per la molto cordiale accoglienza, e saluto con grande affetto.

2. Sono particolarmente lieto di compiere questo pellegrinaggio alla vostra Diocesi di Concordia-Pordenone, per quindici secoli chiamata semplicemente “di Concordia”. Essa ha celebrato di recente i 1600 anni di storia documentata, di vita religiosa ed ecclesiale. Le vestigia della prima cattedrale, presso le quali ci troviamo, risalgono all’ultimo scorcio del secolo IV dell’era cristiana: al tempo in cui sant’Ambrogio aveva costruito in Milano la sua “Basilica Apostolorum”, come ricorda l’illustre studioso Joseph Lemarié, il quale ha restituito alla sicura paternità di san Cromazio, Vescovo di Aquileia, il Sermone 26 da lui qui pronunciato, per la dedicazione della “Basilica Apostolorum” di Concordia (cf. “Corpus Christianorum”, Series latina IX A, Chromatii Aq. Opera, pp. 119-122). Si rileggono sempre con commossa ammirazione le sue parole. Egli riconosceva che i fedeli della Comunità di Concordia sollecitati dall’esempio di altre Chiese, avevano costruito e completato rapidamente il proprio tempio. “Ci felicitiamo con voi, fedeli, perché avete fatto prima di chi vi dava l’esempio; avete cominciato dopo, ma avete concluso prima, perché avete meritato di avere le reliquie dei Santi”. Che splendido elogio! Non è un torto avere cominciato dopo; è certamente un merito avere completato prima d’altri, con slancio devoto, l’opera intrapresa per devozione dei Santi Apostoli.

3. Quale profonda gioia è per me incontrare quest’oggi, qui, i discendenti di una Comunità cristiana che già sedici secoli or sono proprio qui si raccoglieva per ascoltare la Parola di Dio, per pregare e venerare la memoria santa degli Apostoli, di coloro cioè ai quali Gesù stesso aveva detto, prima di concludere la Sua vicenda terrena, “Andate dunque, e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28, 19-20). Noi tutti siamo qui, oggi, in forza di quelle parole. La presenza tra voi del Successore di Pietro, Vescovo di Roma, e di altri Successori degli Apostoli, miei carissimi confratelli nell’Episcopato, rappresenta la prova certa che medesima, negli Apostoli e in noi, è la fede nell’unico Salvatore Gesù Cristo; che a un identico mandato apostolico vogliamo obbedire, anche se ci riconosciamo ben distanti dalla carità e dallo zelo fervido che animava, dopo la Pentecoste, quei santi Amici del Signore. Noi sentiamo ripercuotersi nel nostro cuore, col carattere di una certezza incrollabile, le ultime assicurazioni del Redentore: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20). La nostra fede, la fede della Chiesa è la medesima in ogni tempo e in ogni luogo, ed è fondata sulla testimonianza certissima degli inizi. È la stessa fede che san Paolo esprimeva quando dichiarava ai cristiani di Efeso: “Voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Gesù Cristo” (Ef 2, 19-20). A Cristo, pietra angolare della Chiesa edificata sopra il fondamento degli Apostoli, fanno riferimento le pietre fondamentali della vostra santa Chiesa concordiese: i Santi alla memoria dei quali la Cattedrale fu allora consacrata, le anime fedeli che qui, sotto la guida di pastori illuminati e zelanti, seguirono il Maestro divino per le vie della perfezione evangelica, rinnegando se stesse e portando la croce (Lc 9, 23), “aspettando l’attuazione piena della beata speranza dell’incontro finale con il Signore” (Tt 2, 13).

4. Nel corso di lunghissimi secoli, ora lenti e quasi immoti come l’acqua del vostro antico fiume, il Lèmene, ora convulsi e tragici, come quelli che andarono dalle incursioni barbariche alle invasioni militari nella prima metà di questo secolo, la Comunità cristiana di Concordia, stretta attorno ai suoi pastori, conservò integra la fede apostolica trasmettendola amorosamente di generazione in generazione. Io so che la pietà del Popolo concordiese è stata proverbiale tra le genti vicine ed esemplare per tutta la Diocesi. Non inquinarono la sua fede le serpeggianti eresie, che pur riuscirono a fare qua e là non poche vittime; non poterono fiaccare la sua fedeltà a Cristo e al proprio Vescovo, in costante comunione col Pontefice romano, le vicissitudini politiche e i perturbamenti sociali; non la povertà di gran parte del popolo, la quale assunse per lunghi tratti di tempo caratteri di grave indigenza, se non di squallida fame. Tuttavia anche un Popolo tradizionalmente cristiano può avvertire in senso negativo, o assimilare quasi inconsciamente, i contraccolpi di quel modo di pensare e di fare che, volendo difendere la gente da inique strutture sociali, finisce per insinuare una filosofia, anzi un’utopia, nella quale è apertamente rifiutato, o nascostamente ostacolato, il messaggio della liberazione evangelica. Viene negato il posto di Dio nella vita del popolo che è anzitutto Suo, taciuto il destino ultraterreno di ogni essere umano, ridotto l’orizzonte dei valori ai soli beni raggiungibili in questa vita, quasi che essa non sia destinata, in forza della salvezza operata da Gesù Cristo, a prolungarsi nell’eternità. So quanto sia stato e quanto continui ad essere grande il vostro impegno nel difendere i perenni valori della fede cristiana, posta a solido fondamento della vostra tradizione. Vi incoraggio, fratelli e sorelle carissimi, a non cedere mai alle ricorrenti tentazioni della cultura edonistica e ai richiami del consumismo materialista. Fedeli al ricco patrimonio di valori del passato, guardate alle sfide emergenti del nostro secolo con prudenza e coraggio, con saldezza di principi e saggia attenzione ai “segni dei tempi”.

5. Riferendomi a quanto ho avuto occasione di affermare nella Centesimus annus a proposito degli avvenimenti che consegneranno alla storia il 1989, vorrei qui ripetere che nell’Est europeo, un “fattore decisivo, che ha avviato i cambiamenti, è certamente la violazione dei diritti del lavoro” (cf. Centesimus annus, 23). Ed è proprio ai lavoratori che in questo 1° maggio festa del lavoro, vorrei rinnovare con affettuoso rispetto l’ammonimento che rivolgevo in quell’Enciclica: “L’uomo non può donare se stesso a un progetto solo umano della realtà, a un ideale astratto o a false utopie. Egli, in quanto persona, può donare se stesso a un’altra persona o ad altre persone e, infine, a Dio, che è l’autore del suo essere ed è l’unico che può accogliere pienamente il suo dono” (n. 41). In tale verità hanno creduto i vostri antenati: una verità che associa l’essere umano al progetto divino della creazione e della redenzione, dell’esistenza terrena e della sopravvivenza eterna. Sulla fede nel Cristo, vero uomo e vero Dio, essi fondarono la Cattedrale di Concordia ed edificarono la prima comunità ecclesiale. Questa medesima adesione a Cristo e al suo Vangelo di salvezza voi oggi siete chiamati a rinnovare e testimoniare coraggiosamente.

Guardando alla vita esemplare di Santo Stefano e degli altri Martiri, che sentiamo singolarmente vicini a noi in questo solenne momento della Chiesa concordiese, sono lieto di augurare a voi tutti, Comunità ecclesiale e civile di Concordia, le grazie più elette del Signore, mentre di cuore vi imparto l’apostolica benedizione.

 



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