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INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON I PRESULI PARTECIPANTI ALLA XXXVII ASSEMBLEA
GENERALE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Giovedì, 13 maggio 1993

 

“Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo; nella sua grande misericordia egli ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per una eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce” (1 Pt 1, 3-4).

1. “Mi rivolgo a voi, venerati Confratelli, con le parole della Prima Lettera di Pietro: benediciamo insieme il Padre per i doni che ci ha concesso mediante la risurrezione di Gesù Cristo, in particolare per il dono della rigenerazione battesimale, fonte inesauribile di speranza.

Da questa speranza viva scaturisce la gioia; anche la gioia del nostro ritrovarci insieme, nella comunione con Cristo e tra di noi. Con vivo piacere vi accolgo, carissimi Fratelli, nel corso della vostra Assemblea che vi vede riuniti accanto alla tomba di Pietro. Questo nostro incontro tanto desiderato è per me una rinnovata testimonianza del particolare legame che unisce i Vescovi italiani al Vescovo di Roma. A ciascuno di voi con fraterno affetto il mio abbraccio di pace nel Signore.

Sono lieto di salutare in particolare il Presidente, Cardinale Camillo Ruini, i tre vicepresidenti e il Segretario Generale, Monsignor Dionigi Tettamanzi. A tutti voi, venerati Pastori delle Chiese che sono in Italia, esprimo la mia solidale condivisione delle preoccupazioni e delle speranze che segnano il vostro quotidiano ministero, soprattutto nel delicato momento che sta vivendo l’amata Nazione italiana. La gioia spirituale dell’odierno incontro possa essere per ognuno motivo di conforto e di stimolo a proseguire con nuovo vigore nel comune servizio a Cristo risorto e all’annuncio del suo Vangelo.

2. I lavori della vostra Assemblea Generale si sviluppano attorno ad un testo di grande rilievo, il “Direttorio di Pastorale Familiare” che state per consegnare a tutte le Comunità ecclesiali in Italia, in ordine ad “annunciare, celebrare, servire il Vangelo del matrimonio e della famiglia”, come “progetto educativo e pastorale essenziale per il cammino di fede dei battezzati nella vocazione al matrimonio e per la vita di fede della famiglia in conformità al Vangelo” (Direttorio di pastorale familiare, 2).

Il “Direttorio” rappresenta il compendio organico e la riproposizione di quel magistero dottrinale assai ricco come pure di quella guida pastorale tempestiva e lungimirante che voi, venerati Confratelli, sia con documenti comuni sia con interventi destinati a singole Chiese particolari, avete sviluppato nel periodo postconciliare, in sintonia con l’insegnamento del Successore di Pietro. Con questo testo voi non intendete soltanto “completare” e “accompagnare”, secondo una prospettiva più propriamente pastorale, le norme emanate nel 1990 con il “Decreto generale sul matrimonio canonico”, ma anche dare risposta alla sollecitudine da me espressa nell’Esortazione sinodale “Familiaris Consortio”, quando scrivevo: «È auspicabile che le Conferenze Episcopali... curino che sia emanato un “Direttorio per la pastorale della famiglia»” (Familiaris consortio, 66). Ciò acquista peculiare significato nel contesto sia del decimo anniversario della “Carta dei Diritti della Famiglia”, emanata dalla Santa Sede nel 1983, sia dell’ormai prossimo Anno Internazionale della Famiglia, che si celebrerà nel 1994.

3. Il “Direttorio” assume, pertanto, il significato di una nuova testimonianza dell’amore e della cura con cui la Chiesa segue il matrimonio e la famiglia, impegnandosi a difendere questo “luogo primario della “umanizzazione” della persona e della società” (Christifideles laici, 40), contro le numerose e gravi minacce che oggi lo insidiano. È un servizio assolutamente necessario, anzi un servizio che si fa urgente soprattutto quando “l’egoismo umano, le campagne antinataliste, le politiche totalitarie, ma anche le situazioni di povertà e di miseria fisica, culturale, morale, nonché la mentalità edonistica e consumistica fanno disseccare le sorgenti della vita, mentre le ideologie e i diversi sistemi, insieme a forme di disinteresse e di disamore, attentano alla funzione educativa propria della famiglia” (Ivi).

Sotto il profilo più propriamente pastorale, il “Direttorio”, in quanto emanato dalla CEI e rivolto a tutte le Diocesi d’Italia, rappresenta un’espressione privilegiata della “comunione ecclesiale” nell’ambito della pastorale familiare. È necessario, infatti, che essa divenga sempre più omogenea e convergente nel tessuto vivo del popolo di Dio, favorendo un’azione evangelizzatrice e missionaria incisiva e feconda nei riguardi della famiglia.

4. La famiglia è luogo privilegiato dell’annuncio evangelico. Non dobbiamo mai stancarci, carissimi Fratelli nell’Episcopato, di servire la famiglia; di dare così risposta alla fame e sete che essa ha di senso, di verità, di amore profondo, di libertà autentica e di pienezza di vita.

Il primo e fondamentale servizio della Chiesa agli sposi cristiani è di richiamarli ed accompagnarli a riscoprire, con stupore gioioso e grato, il “sacramento grande” (Ef 5, 32), 193 il “dono” che è stato loro fatto dallo Spirito di Gesù morto e risorto. In un contesto sociale e culturale nel quale la scristianizzazione e l’indifferenza religiosa intaccano profondamente la mentalità e i comportamenti delle stesse famiglie cristiane, urge rievangelizzare instancabilmente gli sposi cristiani, far loro riascoltare la “buona novella” del dono divino ricevuto. La coscienza di questo misterioso dono è radice e forza della vita morale degli sposi, del loro quotidiano cammino verso la santità coniugale e familiare, come pure della loro specifica partecipazione alla missione della Chiesa. All’interno della Comunità ecclesiale, la coppia e la famiglia cristiana sono chiamate a percorrere un singolare itinerario di fede. Così tra la grande Chiesa e la “piccola Chiesa” si realizza ogni giorno, in forza della presenza dello Spirito, uno “scambio di doni”, che è reciproca comunicazione di beni spirituali.

Ricevendo dalla Chiesa il triplice dono della Parola, del Sacramento e della Carità, la famiglia è abilitata e impegnata a svolgere il suo tipico ministero a favore degli altri (1 Cor 7, 7). Ed è proprio a questo che, in definitiva, tende il “Direttorio”: far assumere a tutte le famiglie cristiane il posto, il ruolo e la vitalità che loro competono nella Chiesa e nella società.

5. Venerati Fratelli, voi siete pienamente consapevoli dei profondi cambiamenti, delle tensioni e delle crisi a cui, in questo momento storico, è sottoposta la famiglia. Condivido la vostra trepidazione per i contraccolpi preoccupanti che ne derivano all’intera compagine sociale. Ma a voi mi unisco anche nel riaffermare piena fiducia nella presenza vittoriosa del Risorto. Sorretti dalla sua forza, i coniugi cristiani sapranno testimoniare in modo chiaro e forte fondamentali valori umani ed evangelici quali l’amore fedele di fronte alla disistima dell’indissolubilità, la donazione generosa della vita in un contesto di paura e di rifiuto della vita stessa, il servizio umile e la solidarietà disinteressata in una cultura dell’egoismo e del tornaconto. E ancora: la riconciliazione e la pace in una situazione sociale di conflittualità, la reciprocità gratuita della comunicazione e del dialogo in un contesto fortemente segnato da incomunicabilità, uno stile di vita sobrio ed essenziale all’interno di una società consumistica. Infine, la moralità e la spiritualità all’interno di una mentalità materialistica e in crisi nei suoi riferimenti etici.

Più che in passato, occorre che la testimonianza evangelica della famiglia sia la più ampia e unitaria possibile, anche in ordine ad una reale efficacia storica. Di qui la necessità di promuovere e sostenere le diverse forme di associazionismo familiare, non solo per la vitalità pastorale delle comunità ecclesiali, ma anche per una più esplicita partecipazione alla costruzione di una società illuminata dalla speranza del Vangelo.

6. L’impegno per il bene comune è quanto mai urgente nella fase storica di rapida e radicale trasformazione che l’Italia sta vivendo. Di fronte alle singolari difficoltà che un tale impegno incontra nell’ambito non solo economico, politico ed istituzionale, ma anche e soprattutto morale e culturale, le famiglie sono motivo di preoccupazione e insieme di grande fiducia. L’Italia possiede un inestimabile patrimonio morale, costituito da tantissime famiglie moralmente sane e ogni giorno impegnate a vivere e a comunicare quegli ideali di onestà, laboriosità, solidarietà che soli possono assicurare il rispetto delle esigenze autentiche della persona e il corretto sviluppo della vita democratica.

A voi non sfugge, venerati Fratelli nell’Episcopato, che il rinnovamento del Paese passa attraverso un’attenzione concreta alla famiglia. Se questa deve assumersi con più coraggio il suo compito sociale e politico, la società e lo Stato devono sottrarla alla condizione di marginalità, e spesso di penalizzazione, nella quale è tuttora confinata; devono fare della politica familiare la chiave centrale e risolutiva dell’intera politica dei servizi sociali.

La testimonianza cristiana in Italia potrà così prendere “rinnovato slancio – come ricordavo di recente al personale del quotidiano cattolico “Avvenire” – nel nuovo contesto morale, sociale ed istituzionale che essa deve contribuire a creare, e rafforzare la sua tensione unitiva, a vantaggio non di un proprio interesse, ma del bene di tutto il Paese” (Discorso al quotidiano “Avvenire”, 1 maggio 1993). Possa l’intera comunità cattolica italiana, con l’aiuto di Dio e sempre unita ai suoi Pastori, adempiere fino in fondo al mandato della nuova evangelizzazione, di cui sono parte essenziale l’evangelizzazione della cultura e l’annuncio e la testimonianza della dottrina sociale cristiana. Intorno a questa dottrina, messa a confronto con le concrete circostanze storiche, si coaguli l’impegno sociale e politico dei laici cattolici. Non è forse proprio a causa delle presenti difficoltà che essi sono chiamati ad operare con maggior coraggio, coerenza e generosità? Saranno allora, nella continuità e nella capacità di rinnovamento della propria tradizione, punto di riferimento e forza propulsiva del vero progresso di questa diletta Nazione, la cui civiltà è intessuta di opere di testimonianze cristiane.

7. Carissimi Fratelli nell’Episcopato: siete voi i primi responsabili della pastorale nelle vostre rispettive Diocesi. A voi pertanto è affidato il compito di promuovere un’attenta e costante azione missionaria ed evangelizzatrice a favore della famiglia e mediante la famiglia per il bene di tutta la comunità civile. Vi orienti e vi sostenga sempre il “pressante invito” che già Paolo VI rivolgeva ai Vescovi nell’Enciclica “Humanae Vitae”: “Con i sacerdoti vostri cooperatori e i vostri fedeli, lavorate con ardore e senza sosta alla salvaguardia e alla santità del matrimonio, perché sia sempre vissuto in tutta la sua pienezza umana e cristiana. Considerate questa missione come una delle vostre più urgenti responsabilità nel tempo presente” (Humanae vitae, 30). Nella vostra parola e sollecitudine pastorale le famiglie, specialmente quelle in difficoltà, potranno così sentire “l’eco della voce e dell’amore del Redentore” (Ivi, 29).

Vi accompagni nel quotidiano ministero episcopale la dolce e forte protezione della santa Famiglia di Nazaret, di Gesù, Maria e Giuseppe.

Di questa protezione sia pegno la mia affettuosa benedizione.

Al termine del discorso ai Vescovi della Conferenza Episcopale Italiana, Giovanni Paolo II aggiunge a braccio le seguenti parole.

Così è finito il mio discorso scritto incentrato sulla vostra Assemblea. Ma non posso non pensare al contesto in cui tutto ciò si svolge. Questo contesto generale, nazionale, italiano. Da parte mia sento e partecipo a questo contesto che è un contesto in un certo senso nuovo e porta in sé una novità anche promettente, ma forse, d’altra parte, una novità preoccupante, anzi pericolosa.

Gli ultimi giorni della visita in Sicilia mi hanno dato la possibilità di avvicinarmi alla gente, a quella parte del popolo italiano che è il popolo siciliano. Mi sono sicilianizzato più che italianizzato in questi giorni. Ma non si può prescindere e staccarsi dal contesto più generale che tocca tutta la Nazione, tutta l’Italia. Stamattina, prima di venire qui, ho lavorato per preparare l’omelia per la conclusione del Sinodo Romano e ho visto che in quella celebrazione che si farà nella notte, alla vigilia della Pentecoste, sono state introdotte molte letture, più della liturgia normale. Meditando su questi testi, cominciando dalla Genesi, dall’episodio della Torre di Babele, dalla divisione e dalla dispersione della umanità primitiva con la diversità delle lingue, e attraverso altre letture, arrivando fino alla lettura classica degli “Atti degli Apostoli”, ho pensato che la liturgia di Pentecoste ci rivela molte cose, specialmente quella della nascita della Chiesa, della rivelazione della Chiesa.

Ma essa ci rivela anche i problemi inerenti a questa nascita. Un problema è la dicotomia fra pluralismo, nettamente marcato nelle letture liturgiche, soprattutto quella degli “Atti degli Apostoli”, ed unità. Ci sono due strade, due cammini che si devono sempre rispettare. Come arrivare all’unità da un certo pluralismo. Non perdere l’unità nel pluralismo, ma, d’altra parte, come non perdere il pluralismo nell’unità.

Io penso che alla base delle preoccupazioni, avvenimenti, opinioni che si vivono adesso in Italia c’è lo stesso tema, che è ecclesiale, ma che per analogia è un tema politico, sociale. Come mantenere l’unità nella diversità. Come non perdere, cambiando, l’unità e rispettare un nuovo pluralismo. È un problema cruciale e io penso che in questo momento si tratta di risolvere questa problematica di fondo nella vita italiana. Penso che noi abbiamo una nostra parte in questa sfida e non lo dico con la mia autorità, privata od ecclesiale, ma lo dico con l’autorità del defunto Presidente Pertini. Lui mi diceva, in un altro momento critico, che la Chiesa potrebbe fare molto di più in Italia. Sappiamo che egli era socialista, che non si considerava credente, praticante, cattolico. Ma ciò che mi disse significa che il popolo, nei momenti difficili, guarda alla Chiesa. Quando tutto sembra andare bene non si guarda molto alla Chiesa. Io lo vedo adesso anche nella mia Patria. Ma nei momenti critici si guarda con una certa fiducia alla Chiesa in cerca di consiglio e di aiuto. Che cosa fare per offrire questo aiuto?

Il grande faro della mia giovinezza episcopale, il Cardinale Wyszynski, lo faceva soprattutto con la preghiera, con una intensa e grande preghiera. È il momento in cui l’Italia ha bisogno di una grande ed impegnata preghiera.

Anche se ho detto ciò oggi a braccio, senza scriverlo, spero che venga accettato come segno di buona volontà, del desiderio di non essere assente, come Vescovo di Roma, dai problemi di questo Paese che ha Roma come capitale. Durante la storia ci sono stati diversi Vescovi di Roma, anche di diversa nazionalità, ma il Paese era sempre lo stesso e Roma si trovava sempre nello stesso Paese. Oggi è così come è. È chiaro che in ogni Paese dove è la Chiesa, essa deve sentirsi cittadina della Gerusalemme celeste, ma, nello stesso tempo, concittadina della Patria terrena.

Ho ricevuto la notizia dell’apertura del processo di canonizzazione del mio Predecessore Paolo VI. Per me era un Padre, nel senso personale. Perciò non posso che esprimere la mia grande gioia e riconoscenza.

Possiamo dare la benedizione tutti insieme a tutta l’Italia e a tutto il popolo italiano.

 

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