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VISITA PASTORALE A CORTONA ED AREZZO

INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON I GIOVANI ARETINI

Arezzo - Domenica, 23 maggio 1993

 

Il grande entusiasmo e il caldo affetto dei giovani aretini accolgono il Santo Padre al suo arrivo nella chiesa dedicata a San Francesco, dove nella tarda mattinata, si svolge l’incontro con le nuove generazioni della diocesi e dell’intera Toscana. Dopo gli indirizzi di omaggio e le domande rivoltigli da alcuni ragazzi, Giovanni Paolo II preferisce parlare a “braccio”, invitando i presenti a leggere su “L’Osservatore Romano” il testo del discorso preparato per l’occasione. Queste le parole da lui pronunciate.

Carissimi Giovani di questa Chiesa,
di questo Comune e di questa Regione!

1. Due settimane fa mi trovavo ad Agrigento con i vostri coetanei siciliani; oggi, ho la possibilità di incontrare voi, giovani amici della Toscana. Vi saluto tutti cordialmente. Un grazie particolare rivolgo ai vostri “portavoce”, che mi hanno manifestato l’affetto e le attese di tutti voi. Ma non è solamente questo. Sì, è vero, l’affetto e le attese. C’è una speciale metodologia che io già conosco a memoria degli incontri con i giovani, che si ripete quasi dappertutto, in tutti i Continenti, non solamente nei vari posti d’Italia. Prima, i giovani accolgono il Papa e fanno a lui una presentazione non tanto dei problemi, quanto di un messaggio. Sono sempre i giovani i portatori principali del messaggio e questo si ripete dappertutto e anche oggi si è ripetuto con i vostri due primi oratori: anche loro hanno portato un messaggio dei giovani. Direi che questo messaggio che ci portano i giovani è più prezioso di tutto il resto. Penso anche che dopo quello che i giovani fanno per questo messaggio, quello che dice il Papa è secondario. Ne sono convinto. Ma egli deve parlare per confermare questo messaggio giovanile: c’è anche la missione di Pietro di confermare i fratelli, confermare le sorelle. Confermare: questo voi aspettate da me. Abbiamo poi sentito, dopo il messaggio principale dei giovani, le domande. Queste domande sono state formulate in tre punti e cercheremo forse di trovare qualche risposta se non diretta, almeno indiretta, fondamentale per le domande fatte. Ma soprattutto devo ringraziarvi per le domande, sì, ma ancora più per questo messaggio che avete portato a me nel nome di tutti i giovani di Arezzo.

2. Ci troviamo tutti nella Basilica. Carissimi, fissiamo tutti lo sguardo sul grande Crocifisso che domina questa Basilica. Quel gesto di san Francesco, che abbraccia i piedi di Gesù, ci indica l’atteggiamento da assumere. In maniera eloquente sembra voler dire a ciascuno: amico, qui puoi trovare la risposta alle tue ansie più profonde; sta qui la chiave del tesoro che può dar valore a tutta la vita. Vediamo dunque che la risposta del Papa è soprattutto la risposta di Gesù alle vostre domande, ai vostri messaggi. Gesù, questo Crocifisso, con Francesco ai suoi piedi, ci parla, ci parla continuamente attraverso i secoli, e in questo secolo ci parla anche con la stessa adeguatezza sul senso della vita, sui problemi dell’Europa, sulla vocazione di ciascuno di noi. Ma ora entriamo nelle domande.

Esse vertono sostanzialmente sul significato della fede in un tempo di crisi qual è il nostro, sulla possibilità della gioia in un mondo tuttora segnato da tanta sofferenza, soprattutto delle guerre, nei Balcani e altrove, poi sulla scoperta della propria vocazione fra le molte e contrastanti proposte che vi giungono da ogni parte.

Sono domande legittime ed importanti. Nell’epoca moderna l’umanità ha realizzato straordinari progressi scientifici e tecnologici, smarrendo però spesso le vere risposte ai grandi interrogativi dell’esistenza. E questo è un dramma. C’è intorno un senso di insicurezza che tarpa le ali all’impegno, smorza gli entusiasmi, induce a soluzioni di compromesso quando non anche di resa. Come essere cristiani autentici in un mondo che di cristiano ha talora ormai così poco? Come vivere la fede in un ambiente che le è ostile o che almeno da essa prescinde con disinvolto senso di sufficienza? Così è il mondo.

Carissimi, essere cristiani oggi non è facile, bisogna riconoscerlo. Occorre andare contro corrente. La fede non è più, come forse in altri tempi, una sorta di scelta scontata. È una decisione nella quale è richiesto a ciascuno di investire se stesso con le proprie convinzioni, sfidando l’ambiente.

La fede, carissimi è come l’oro: si purifica nel fuoco. Per essere autentica, deve passare attraverso la Croce di Cristo (cf. 1 Pt 1, 7).

Il vero credente, pertanto, è chiamato a confrontarsi con la “parola della croce” (1 Cor 1, 18), così come Francesco, Margherita da Cortona e tanti altri e tante altre. “Parola della croce” ascoltata ed accolta nell’intimo della propria coscienza.

3. Voi vi chiedete se sia possibile la gioia pur tra tante prove e sofferenze. Guardate a Francesco: tutto cambiò radicalmente nella sua esistenza quando, giovane benestante e pieno di ambizioni, s’imbatté nel Vangelo. Che cosa avvenne concretamente? Nella Chiesa di Assisi – ve lo ricordate? – alzò lo sguardo al Crocifisso: in quel momento si sentì amato, si sentì amato da Cristo (cf Mc 10, 21). I suoi occhi per la prima volta s’aprirono sul volto di Dio, visibile in Gesù crocifisso. Allora l’anima di Francesco fu trafitta da un pentimento mai sperimentato e, nello stesso tempo, assaporò una gioia altrettanto nuova. Da quel giorno, nuova fu tutta la sua vita.

In realtà, cari giovani, finché non si giunge a conoscere Dio personalmente – personalmente, non in astratto, “a tu per tu”, come da persona a persona – non ci si rende conto nemmeno del proprio peccato. È l’esperienza della misericordia di Dio, della sua fedeltà e compassione senza limiti, che avvolgendo l’umana creatura, la porta a sentirsi trafiggere il cuore (cf. At 2, 37). Toccare il cuore è trafiggere. Il cuore di Gesù è trafitto. Egli ha anche la forza di trafiggere i nostri cuori. E così l’uomo si apre alla conversione. Conversione a Cristo.

Vi ripeto che dovete guardare a Cristo. Dovete guardare perché in Lui potete trovare, come Egli stesso dice, la Via, la Verità e la Vita (cf. Gv 14, 6).

E poi, da questo incontro personale con Cristo entriamo nella Chiesa, non solamente nella chiesa in senso architettonico, stupendo, come questa, come tante altre chiese italiane, europee, di tutto il mondo, latino-americane, e tante altre. Da Cristo, come da un vulcano in eruzione, scende il fuoco dell’amore divino e questo viene comunicato a noi nei Sacramenti, cominciando dal Battesimo. Naturalmente, non è sempre la nostra esperienza vissuta dei Sacramenti. L’esperienza vissuta del Battesimo in un piccolo bambino non può essere un’esperienza adeguata. Ma il Battesimo in se stesso è questa esperienza. Si deve tornare a questa esperienza del Battesimo negli anni posteriori per trovare quell’eruzione del vulcano dell’amore divino, amore crocifisso. Dice san Paolo che nel Battesimo noi siamo morti con Cristo per risorgere con Cristo: una condivisione stupenda della stessa esistenza, della stessa identità del mistero pasquale di Cristo. E tutto questo diventa la nostra parte: noi partecipiamo a questa realtà. I riti, soli, ci indicano questa realtà, ma bisogna approfondire questa realtà con gli occhi della fede: bisogna guardare a Cristo, guardare a Lui attraverso i Sacramenti. Guardare a Cristo per vedere i Sacramenti e guardare attraverso i Sacramenti a Cristo. Questo ci insegna la Sacra Scrittura e questo ci insegnano Paolo, Giovanni e poi tutta la tradizione della Chiesa, soprattutto l’esperienza dei Santi. E poi se prendiamo l’Eucaristia – ho cominciato con il Battesimo – forse è già una realtà che noi conosciamo, possiamo dire che sperimentiamo di più, perché la riceviamo già consapevoli del mistero che si compie, che si realizza nell’Eucaristia celebrata, nell’Eucaristia comunione con Dio, comunione con Cristo Crocifisso e Risorto, comunione di una persona con una persona che ci porta la comunione della Trinità divina.

4. E poi, per citare almeno un Sacramento, la Penitenza, oggi la Penitenza è stata un po’ accantonata, dimenticata, e si priva ciascuno di noi di una grande esperienza. Noi non sappiamo che cosa vuol dire “liberazione”, non sappiamo che cosa vuol dire essere liberi, se sappiamo soltanto questo: che essere liberi significa fare quello che voglio. Questo è stupido, questa non è la libertà, è il contrario.

Allora, nel nome di Cristo, davanti a questo Crocifisso di San Francesco, vi ripeto: se volete sapere che cosa vuol dire liberarsi, sperimentare la vostra propria libertà, non dimenticate la Confessione, la Penitenza, non dimenticate. Ritornate, se avete dimenticato. Ritornate. Egli ci libera. Qualche volta ci libera da pesi gravissimi; qualche volta ci libera da pesi non tanto gravi, ma sempre ci libera, perché Lui è il nostro Redentore, il nostro Liberatore. Lui che conosce ciascuno di noi di dentro, conosce che cosa è in ciascuno di noi, Lui solo può aiutarci ad oltrepassare questa barriera che tante volte si trova in noi e che si chiama peccato. Noi non vogliamo chiamarlo così, molte volte, e si fa di tutto per allontanare questa categoria, questa categoria “clericale”. Invece, questa categoria è profondamente antropologica, realistica, creaturale. Noi non conosciamo la realtà, non conosciamo il mondo, specialmente questo mondo interno, che supera tutte le ricchezze della creazione esterna, della natura, fin quando non sappiamo che cosa vuol dire peccato. C’è una diminuzione, diminuzione della nostra consapevolezza umana, della nostra antropologia vissuta, non solamente studiata dai libri e sotto diversi aspetti, ma vissuta. I grandi specialisti di questa antropologia vissuta sono i Santi. Stamattina ho visitato Cortona e ho raccontato di nuovo ai presenti la storia stupenda di questa ragazza di Cortona che è Santa Margherita, la storia della sua vita. Che ricchezza! Che ricchezza di umanità! Noi, giovani del XX secolo, non lasciamoci privare di questa grande esperienza antropologica, umana e cristiana che è la conversione, che è la penitenza, che è l’assoluzione.

5. Ecco, mi sono un po’ allargato. Vedo che sempre più mi cresce la difficoltà di parlare con un testo scritto ai giovani. È difficile parlare ai giovani con la carta, perché io non sono un professore. Sì, lo sono stato e mi ricordo di quei tempi preziosi, ma ora sono quello che sono e allora è difficile parlare ai giovani con la carta. Quando si vedono questi giovani, questi occhi, questi volti, questi grandi progetti – ciascuno di voi è un progetto, un grande progetto divino, un grande progetto che si deve studiare fino in fondo per non smarrirsi, per non perdersi – quando si vede tutto questo si comincia ad essere molto più spontanei. Perdonatemi questa spontaneità. Penso sia meglio lasciare queste carte. Le troverete pubblicate su “L’Osservatore Romano” e forse anche altrove.

Apprezzo molto questo testo come testo; ma c’è un altro testo che si crea avendo contatto con i giovani, incontrando i giovani. Si crea e questo altro testo irrompe e distrugge le carte.

Ogni luogo ha il suo genio, e in Italia sono molti i luoghi che hanno il loro genio. Questo ci ispira una chiesa così, certamente medievale, e dentro questa chiesa di tanti secoli fa questi giovani che si avvicinano al Terzo Millennio, una situazione molto suggestiva. Non so se potrò fare così a Denver, temo di no: lì ci saranno gli americani in maggioranza, si dovrà forse leggere il testo preparato, ma non sono del tutto sicuro.

Alla fine, devo dirvi una riflessione che mi è venuta all’inizio quando alcuni di voi hanno gridato “Giovanni, Giovanni, Giovanni”. Voi dite “Giovanni”, e Giovanni dice “Giovani”. Un ultimo pensiero: Giovanni deve andare per continuare il suo programma. I giovani invece rimangono, poi andranno anche loro. Solamente per essere in ordine con le regole della giustizia distributiva adesso vado per questa strada, ma prima cantiamo il “Regina Coeli”.


Questo il testo del discorso preparato dal Santo Padre per l’incontro con i giovani, nella chiesa di San Francesco e poi sostituito con un discorso improvvisato (riportato qui sopra).  

Carissimi Giovani!

1. Due settimane fa mi trovavo ad Agrigento con i vostri coetanei siciliani; oggi, ho la possibilità di incontrare voi, giovani amici della Toscana. Vi saluto tutti cordialmente. Saluto il Cardinale Silvano Piovanelli, Arcivescovo di Firenze, il vostro Pastore, il caro Monsignor Giovanni D’Ascenzi, che vi ha invitati a questo appuntamento, i Presuli della Toscana presenti.

Un grazie particolare rivolgo ai vostri due “portavoce”, che mi hanno manifestato l’affetto e le attese di tutti voi. Carissimi, fissate lo sguardo sul grande Crocifisso che domina questa Basilica. Quel gesto di san Francesco, che abbraccia i piedi di Gesù, ci indica l’atteggiamento da assumere. In maniera eloquente sembra voler dire a ciascuno: amico, qui puoi trovare la risposta alle tue ansie più profonde; sta qui la chiave del tesoro che può dar valore a tutta la vita.

2. In vista di questo incontro voi avete preparato alcune domande, sulle quali vorreste avere la risposta del Papa. Esse vertono sostanzialmente sul significato della fede in un tempo di crisi qual è il nostro, sulla possibilità della gioia in un mondo tuttora segnato da tanta sofferenza, sulla scoperta della propria vocazione fra le molte e contrastanti proposte che vi giungono da ogni parte.

Sono domande legittime ed importanti. Nell’epoca moderna l’umanità ha realizzato straordinari progressi scientifici e tecnologici, smarrendo però spesso le vere risposte ai grandi interrogativi dell’esistenza. C’è intorno un senso di insicurezza che tarpa le ali all’impegno, smorza gli entusiasmi, induce a soluzioni di compromesso quando non anche di resa. Come essere cristiani autentici in un mondo che di cristiano ha talora ormai così poco? Come vivere la fede in un ambiente che le è ostile o che almeno da essa prescinde con disinvolto senso di sufficienza?

Cari amici, è necessario riconoscerlo: essere cristiani oggi non è facile. Occorre andare contro corrente. La fede non è più, come forse in altri tempi, una sorta di scelta scontata. È una decisione nella quale è richiesto a ciascuno di investire se stesso con le proprie convinzioni, sfidando l’ambiente.

La fede, cari giovani, è come l’oro: si purifica nel fuoco. Per essere autentica, deve passare attraverso la Croce di Cristo (cf. 1 Pt 1, 7). Il vero credente, pertanto, è chiamato a confrontarsi con la “parola della croce” (1 Cor 1, 18), ascoltata ed accolta nell’intimo della propria coscienza.

3. Voi vi chiedete se sia possibile la gioia pur tra tante prove e sofferenze. Guardate a Francesco d’Assisi: tutto cambiò radicalmente nella sua esistenza quando, giovane benestante e pieno di ambizioni, s’imbatté nel Vangelo. Che cosa avvenne concretamente: Nella Chiesa di Assisi – ve lo ricordate? – alzò lo sguardo al Crocifisso: in quel momento si sentì amato da Cristo (cf. Mc 10, 21). I suoi occhi per la prima volta s’aprirono sul volto di Dio, visibile in Gesù crocifisso. Allora l’anima di Francesco fu trafitta da un pentimento mai sperimentato e, nello stesso tempo, assaporò una gioia altrettanto nuova. Da quel giorno, nuova fu tutta la sua vita.

In realtà, cari giovani, finché non si giunge a conoscere Dio personalmente, non ci si rende conto nemmeno del proprio peccato. È l’esperienza della misericordia di Dio, della sua fedeltà e compassione senza limiti, che avvolgendo l’umana creatura, la porta a sentirsi trafiggere il cuore (cf. At 2, 37). E l’uomo si apre allora alla conversione.

Giovani di Arezzo e della Toscana, è a Cristo che dovete guardare. È in lui che potete trovare la Via, la Verità e la Vita (cf. Gv 14, 6).

Come lava che scende da un vulcano in eruzione, il fuoco dell’amore divino ci è comunicato nei Sacramenti, specialmente nell’Eucaristia e nella Penitenza. Chi ne accoglie anche solo una scintilla sperimenta la povertà delle sue opere e la ricchezza del perdono del Signore che libera e giustifica. La vita, allora, non è più come prima: si diviene giovani nell’anima, giovani in Dio.

4. Vi chiedete ancora: come scoprire la propria vocazione: Continuiamo a contemplare la storia di Francesco. Nel lontano 1211, egli predicò il Vangelo in questa vostra città di Arezzo. Potremmo domandarci: ma la gente di Arezzo non conosceva già Gesù: Non erano già cristiani? Che bisogno c’era di predicare Cristo qui ad Arezzo? La risposta voi la conoscete: l’annuncio evangelico va continuamente rinnovato, perché purtroppo l’uomo dimentica e si sbanda. Francesco tornò a proporre la parola di Cristo con tale passione, da toccare sul vivo la coscienza di quella gente e subito alcuni giovani lo seguirono, tra i quali il nobile Benedetto Sinigardi, la cui salma riposa in questa Basilica.

Quella che san Francesco operò qui, come in cento altre contrade già cristiane, fu una “nuova evangelizzazione”, un nuovo annuncio fatto di parole, ma soprattutto di testimonianza. Annuncio “nuovo”, perché l’apostolo Francesco era passato attraverso il fuoco della Croce, che lo aveva purificato e trasformato ad immagine di Gesù.

Oggi pure è tempo di nuova evangelizzazione, in Europa, in Italia, in Toscana. Ma ci può essere nuova evangelizzazione senza nuovi annunciatori? Occorrono nuovi evangelizzatori, nuovi apostoli. Tocca a voi, miei cari giovani, essere i primi apostoli tra i vostri coetanei. Ve la sentite di annunciare Cristo, di testimoniarlo a scuola, nei posti di lavoro, nelle piazze, dappertutto?

Non sapete come fare: Non scoraggiatevi! Pensate: se gli Apostoli, se Francesco, se Paolo di Tarso avessero dovuto contare solo sulle loro forze, credete che si sarebbero mossi?

Per grazia del Signore, è lo Spirito Santo che spinge gli amici di Dio e li rende intrepidi messaggeri della verità e della giustizia evangelica. È lo Spirito divino che rinnova la faccia della terra (cf. Sal 104, 30); è lo Spirito di Cristo che farà di voi giovani, se lo volete, apostoli e testimoni.

5. Aprite, dunque, il cuore, la vita a Gesù, maestro di verità e di amore! Non fermatevi dinanzi agli ostacoli e alle difficoltà che potete trovare dentro ed attorno a voi. Se il mondo è chiuso al Vangelo, o magari sprezzante del messaggio salvifico; se esso è ambiguo, disposto solo ad accettare un annuncio ben circoscritto nella sfera del privato, non lasciatevi intimidire.

Per essere protagonisti della nuova evangelizzazione, dovete essere “nel” mondo, ma non “del” mondo (cf. Gv 17, 14-16). Dovete seguire Cristo. È vero! Il Vangelo è esigente. Talora può apparire persino troppo esigente. Ma è l’unica strada che può condurre alla felicità vera, quella a cui ogni essere umano anela dal profondo del cuore.

6. Carissimi giovani, potrebbe sorgere spontaneo, a questo punto, l’interrogativo balenato anche nel cuore della Vergine di Nazaret: “Come è possibile?” (Lc 1, 34). Come è possibile essere sino in fondo fedele a Cristo?

Rispondo con le parole dell’Angelo: “Nulla è impossibile a Dio” (Lc 1, 37).

Guardate a Maria, carissimi! Vi affido a Lei, Stella della nuova evangelizzazione. Sia Lei ad accompagnarvi nella ricerca e nella scoperta della vostra vocazione e missione.

Giovani, siate apostoli dei giovani! Vi accompagno con la mia preghiera e tutti benedico.

 



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