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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI AL SIMPOSIO PROMOSSO DALLA
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA
FEDE SU
«I CATTOLICI E LA SOCIETÀ PLURALISTA»

Sabato, 12 novembre 1994

 

Signor Cardinale,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Cari Fratelli e Sorelle!

1. Sono lieto di accogliervi al termine del Simposio su “I cattolici e la società pluralista. Il caso delle leggi imperfette”, che vi ha occupati intensamente in questi giorni.

Ringrazio il Signor Cardinale Joseph Ratzinger per la presentazione che mi ha fatto delle tematiche affrontate e della metodologia seguita nel trattarle. Esprimo altresì il mio grato compiacimento a ciascuno dei partecipanti per l’apporto recato, sulla base dei propri studi e della propria esperienza, all’approfondimento dei vari argomenti.

2. Nella Lettera Enciclica Veritatis splendor ho richiamato che: “. . . la vera comprensione e la genuina compassione devono significare amore alla persona, al suo vero bene, alla sua libertà autentica. E questo non avviene, certo, nascondendo o indebolendo la verità morale, bensì proponendola nel suo intimo significato di irradiazione della Sapienza eterna di Dio, giunta a noi in Cristo, e di servizio all’uomo, alla crescita della sua libertà e al perseguimento della sua felicità” (Giovanni Paolo II, Veritatis Splendor, n. 95).

Se vi propongo oggi queste stesse parole, è perché sono sicuro che esse definiscono esattamente lo spirito del Simposio organizzato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, al quale avete partecipato. Il suo scopo non era infatti di cercare un compromesso fra la legge civile e la legge morale, ma di riflettere secondo verità e di approfondire i fondamenti e le ragioni di un’osservanza più esatta della legge morale.

L’insegnamento della Chiesa sul rapporto tra legge civile e legge morale è chiaro e semplice. Come ricorda l’Istruzione Donum vitae, “in nessun ambito di vita la legge civile può sostituirsi alla coscienza né può dettar norme su ciò che esula dalla sua competenza” (Congr. pro Doctrina Fidei, Donum Vitae, cap. III). Ad essa spetta piuttosto assicurare il bene comune delle persone garantendo il riconoscimento e la difesa dei loro diritti fondamentali, la promozione della pace e della moralità pubblica (cf. Dignitatis humanae, 7).

3. La persona ha dei diritti che la legge positiva dello Stato non crea, ma deve riconoscere, ed il primo fra essi è il diritto alla vita. Ogni individuo innocente ha diritto alla vita, dal suo concepimento fino alla morte naturale.

Se, talvolta, l’autorità pubblica deve tollerare ciò che non può proibire senza che ne derivi un male più grave, essa non può mai legittimare come un diritto per gli uni ciò che attenta radicalmente al diritto fondamentale degli altri. Una legge che lo faccia non è una vera legge. È ciò che insegnava San Tommaso (San Tommaso, Summa theologiae, I-II, q. 93, a.3), ed è ciò che ha riaffermato il mio predecessore di venerata memoria Giovanni XXIII, nella sua Enciclica Pacem in terris: “Nell’epoca moderna l’attuazione del bene comune trova la sua indicazione di fondo nei diritti e nei doveri della persona. Per cui i compiti precipui dei poteri pubblici consistono, soprattutto, nel riconoscere, rispettare, comporre, tutelare e promuovere quei diritti, e nel contribuire, di conseguenza, a rendere più facile l’adempimento dei rispettivi doveri . . . Per cui ogni atto dei poteri pubblici, che sia od implichi un misconoscimento od una violazione di quei diritti, è un atto contrastante con la stessa loro ragione di essere e rimane per ciò stesso destituito di ogni valore giuridico” (Giovanni XXIII, Pacem in terris, cap. 2).

4. La dottrina della Chiesa su questo punto non presenta alcuna ambiguità. La Congregazione per la Dottrina della Fede non vi ha chiesto di approfondire i fondamenti di una risposta al problema della collaborazione ad una legge ingiusta, ma quelli di una risposta al problema della collaborazione ad una legge che cerca di ridurre l’ingiustizia di una legge precedente.

La società nella quale viviamo ci pone in situazioni di ingiustizia che sfuggono al nostro controllo. In questi casi, si pone la questione di sapere come fare il bene. Ad essa avete cercato di dare una risposta nel vostro Simposio. Lo avete fatto con serietà e competenza, esaminando i meccanismi e le leggi della democrazia attuale, precisando il senso dei termini e delle situazioni nelle quali il problema può porsi ad un uomo politico cattolico; approfondendo gli elementi di soluzione che possono dare la Sacra Scrittura, la Tradizione e la Storia della Chiesa; e precisando la specificità del ruolo del laico rispetto a quello del Magistero pastorale.

5. Il problema considerato, in realtà, non è semplice in quanto ci si trova di fronte a diverse proposte di comportamento che si potrebbero definire nei termini di resistenza profetica, di collaborazione o di tolleranza. Il contesto attuale pone sempre nuove domande, che la Congregazione ha preso in considerazione, in vista di presentare risposte adeguate. Nella vostra riflessione comune di questi giorni il quadro dei problemi implicati ha avuto un suo ampliamento e anche le nuove dimensioni della questione hanno potuto trovare la loro collocazione.

Per questo vostro lavoro vi rinnovo il mio più vivo ringraziamento, mentre, invocando su ciascuno di voi la continua assistenza del Signore, tutti di cuore benedico.

 

© Copyright 1994 -  Libreria Editrice Vaticana

 



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