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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI ALL'ASSEMBLEA PLENARIA DEL
PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE

Palazzo Pontificio di Castel Gandolfo - Giovedì, 29 settembre 1994

 

Signori Cardinali,
Cari Fratelli nell’Episcopato,
Cari amici
,

1. Sono molto lieto di incontrarvi in occasione dell’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio “Giustizia e Pace” il cui tema di studio è: “La Chiesa dinanzi ai grandi cambiamenti attuali nel mondo”. Ringrazio il Cardinale Etchegaray per la presentazione dei vostri lavori e saluto cordialmente i membri del Consiglio, venuti da tutte le parti del mondo, così come i collaboratori del dicastero.

Questa udienza mi permette di esprimervi di persona la mia gratitudine per la vostra generosa partecipazione alle numerose iniziative della Sede Apostolica che desidera aiutare gli uomini a comportarsi secondo lo spirito della beatitudine evangelica degli “operatori di pace” (Mt 5, 9). Solo qualche settimana fa, in vista della visita che prevedevo di fare a Sarajevo e di quella che ho effettuato a Zagabria, il Vangelo della pace ha ispirato una preghiera pressante e un ardente appello al perdono. L’opera di pace, nell’ambito della missione pastorale della Chiesa, deve diventare per tutti i fedeli un impegno sempre più concreto.

2. La vostra riflessione si è giustamente incentrata sui principali cambiamenti in corso nel mondo. In modo paradossale, in effetti, la fine del sistema bipolare - di cui ho parlato nell’Enciclica Centesimus annus -, invece di favorire l’accesso a un’era di pace, ha condotto a un profondo cambiamento degli equilibri mondiali. E ciò suscita un sentimento d’instabilità e d’incertezza che giunge a volte ad alimentare un certo rimpianto per ciò che a ragione veniva chiamato l’equilibrio del terrore. Dinanzi a questa situazione nuova e inquietante, non bisogna perdere la speranza né rinunciare a impegnarsi. Al contrario, la speranza cristiana invita al coraggio; bisogna esaminare la situazione mondiale con la convinzione che sia possibile andare verso uno sviluppo autentico e una pace duratura, nel rispetto dell’uomo e della creazione. Tutta la Chiesa è chiamata ad avere speranza e fiducia per operare su questo terreno. È in questo spirito che a Zagabria ho espresso la convinzione cristiana che la pace non è un’utopia, ma che essa è possibile, se la si desidera realmente, mentre la guerra è priva di qualsiasi giustificazione.

3. Il nostro sguardo sulla situazione storica, illuminato dalla speranza cristiana, ci consente di affrontare uno degli aspetti più caratteristici dei cambiamenti attuali: penso alle rivendicazioni di coloro che incoraggiano l’economia di mercato, volendo allargare la loro libertà d’azione. Nelle teorie e nelle pratiche dell’economia liberale, le esigenze della giustizia, dell’equità e della solidarietà rischiano di sembrare contrarie alla ricerca dell’efficacia. Tuttavia il Magistero della Chiesa, dalla Rerum novarum alla Centesimus annus, nella sua ponderata critica del capitalismo, ha sempre rifiutato la presunta razionalità di tali teorie. Esso insegna piuttosto che il rispetto degli obblighi morali non impedisce l’efficacia, ma, in realtà, vi contribuisce. Nell’ambito economico, conviene definire il ruolo dello Stato: spetta ad esso garantire la libertà economica e allo stesso tempo assicurare l’esercizio di tale libertà nel rispetto del bene comune. Inoltre, constatiamo con soddisfazione che l’insegnamento sociale della Chiesa richiama sempre più l’attenzione di numerosi economisti e di molti responsabili della vita economica e politica.

La Santa Sede apporterà il suo contributo proprio su questi temi importanti nel corso della conferenza mondiale sullo sviluppo sociale, prevista dalle Nazioni Unite per il prossimo anno. Questa Conferenza dovrà incoraggiare gli sforzi delle nazioni e della comunità internazionale volti a sostenere un ordine economico capace di promuovere la partecipazione di tutti, in particolare mediante il lavoro. Essa dovrà tracciare nuove vie per evitare la disgregazione della società, per eliminare la povertà e per garantire la protezione sociale, soprattutto a favore dei più svantaggiati. Investire per lo sviluppo umano e renderlo accessibile a tutti nella dignità e nella sicurezza: sono questi gli obiettivi prioritari per la politica economica delle nazioni.

4. L’equilibrio che caratterizza la dottrina della Chiesa nel settore economico e sociale permetterà anche di contribuire in modo utile alla soluzione delle grandi difficoltà derivanti dalla preoccupante opposizione tra, da una parte, il processo d’internazionalizzazione e di ampliamento mondiale dei problemi e, dall’altra, le rivendicazioni ispirate dal nazionalismo e dal regionalismo. Anche in questo caso si tratta di creare un rapporto di reciprocità tra le diverse realtà. La dottrina sociale della Chiesa riconosce il valore dell’appartenenza a una nazione (cf. Giovanni Paolo II, Centesimus annus, 50); tuttavia essa ha sempre rifiutato in modo netto il punto di vista di coloro che ne fanno un fattore naturale di concorrenza e d’opposizione. Bisogna piuttosto fare in modo che, nella cultura delle nazioni e dei governi, si sviluppi il senso della comunità internazionale in uno spirito di solidarietà (cf. Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis, nn. 39-40). L’obiettivo delle nazione e degli Stati non deve essere quello di servirsi della comunità internazionale al solo fine di aumentare il proprio potere e il proprio benessere; esso dovrebbe invece includere i servizi che si possono rendere all’insieme della comunità umana con i mezzi a disposizione. In questa prospettiva così importante ai nostri occhi, i cristiani sono chiamati a operare con coerenza e ampiezza di vedute, ispirandosi all’insegnamento sociale della Chiesa sia nella teoria che nella pratica.

5. Dinanzi ai complessi problemi del nostro tempo, i cristiani devono rendere conto della speranza che è in essi (cf. 1 Pt 3, 15). Essi sono coscienti del valore universale della loro fede, che ha un’incidenza in tutti gli ambiti dell’esistenza. Cristo, nostra salvezza, ci illumina sul senso della vita umana e sul destino del mondo; egli ci rende liberi per accettare le molteplici sfide che ci presentano i profondi cambiamenti attuali, drammatici per molti dei nostri fratelli e delle nostre sorelle.

La dottrina sociale della Chiesa, ispirata dal Vangelo, è lo strumento appropriato perché i cristiani del nostro tempo possano misurarsi con queste sfide, coscienti della ricchezza e dell’irriducibile originalità della loro eredità, difensori di una concezione dell’uomo e della storia conforme alla loro fede.

Il Pontificio Consiglio “Giustizia e Pace” ha come missione una considerevole opera di formazione, che consente ai cristiani di conferire al loro impegno sociale e politico una qualità spirituale e culturale che risponda alle esigenze del momento presente. Ringrazio qui i responsabili del Consiglio, i suoi membri e tutti i loro collaboratori per il servizio competente che essi rendono con generosità alla Santa Sede e a tutta la Chiesa.

Su tutti imparto di cuore la benedizione apostolica.

 

© Copyright 1994 - Libreria Editrice Vaticana

 



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