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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI BRASILIANI DELLE PROVINCE ECCLESIASTICHE
DI RIO DE JANEIRO E DI NITERÓI
IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»

Sabato, 1° aprile 1995

 

Cari Fratelli nell’Episcopato,

1. Vi do il benvenuto con immensa gioia, membri della Regione Est 1, che comprende le province ecclesiastiche di Rio de Janeiro e di Niterói. Una delle principali finalità delle visite quinquennali a questa Sede Apostolica è di venerare le tombe dei Principi degli Apostoli, Pietro e Paolo. In tal senso, la visita “ad Limina” è un pellegrinaggio spirituale nel tempo fino alle origini della Chiesa, quando il suo divino Fondatore affidò le ricchezze della sua grazia agli Apostoli, per “pascere e sempre più accrescere il popolo di Dio” (Lumen Gentium, 18). La vostra presenza qui non è semplicemente l’adempimento di un obbligo amministrativo o giuridico del vostro incarico, ma una manifestazione di autentica fratellanza e amicizia nell’amore di Cristo, il Principe dei Pastori (cf. 1 Pt 5, 4), che continua a inviare i suoi vicari e i suoi ambasciatori “affinché, partecipi della sua potestà, rendessero tutti i popoli suoi discepoli, li santificassero e li governassero” (Lumen Gentium, 19).

Ringrazio il Cardinale Eugênio de Araújo Sales, per le cordiali parole che, a nome di tutti voi, mi ha rivolto e che io contraccambio assicurandovi della mia stima e del mio riconoscimento per l’opera pastorale svolta nelle circoscrizioni ecclesiastiche che vi sono state affidate affinché siate in esse “il visibile principio e fondamento dell’unità” (Lumen Gentium, 23).

Saluto ognuna delle Chiese che presiedete nella carità e nel servizio. Ringrazio con voi Dio per la fede e per la devota vita cristiana dei vostri sacerdoti, dei religiosi e dei laici, per l’unione di tutti i figli attorno ai loro Pastori e con il Successore di Pietro, centro e fondamento visibile dell’unità indefettibile della Chiesa.

2. Questo incontro riveste una importanza particolare in quanto siamo alle soglie dell’anno Duemila, Anno Giubilare, per cui esorto voi e le comunità ecclesiali a voi affidate ad aprire il cuore ai suggerimenti dello Spirito, nella certezza che esso continuerà a muovere gli animi perché si dispongano a celebrare con fede rinnovata e generosa partecipazione questo grande evento (cf. Lettera apostolica Tertio Millennio Adveniente, 59).

È di somma importanza che ci lasciamo illuminare da Colui che è “luce degli uomini” (Gv 1, 4) per preparare le vie della Nuova Evangelizzazione attraverso un intenso programma missionario, poiché, se la salvezza è destinata a tutti, deve essere messa concretamente a disposizione di tutti (cf. Redemptoris Missio, 10), e coinvolgere le persone e le strutture del nostro tempo poiché “evangelizzare... è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda” (Evangelii Nuntiandi, 14).

3. Si avvicina il quinto centenario della scoperta e contemporaneamente dell’evangelizzazione del Brasile che commemoreremo nell’anno 2000. Sono indubbiamente due date molto significative per la memoria storica e religiosa del vostro Paese.

Appare chiara la vocazione cristiana ed eucaristica della vostra patria fin dalle origini, all’inizio del XVI secolo, quando i suoi scopritori, in ginocchio durante la prima Messa celebrata sulla terra ferma, ringraziarono Dio per quel dono inusitato emerso dall’oceano, la cui grandiosità e ricchezza erano incalcolabili, seguiti dagli sguardi attoniti degli indigeni, nell’incomparabile scenario di una natura lussureggiante.

La Croce della redenzione benedisse il Brasile fin dall’inizio – che venne per questo chiamato Terra della Santa Croce – e quando di notte essi levarono lo sguardo al cielo poterono intravedere nell’armoniosa vastità degli astri luminosi quello stesso segno salvifico. In verità, il Brasile, già al suo nascere, possedeva la vocazione cristiana rappresentata dal Creatore nella costellazione della Croce del Sud.

4. La prima evangelizzazione fu, senza dubbio, un’esperienza nuova e una grande sfida. La celebrazione del V Centenario, che si sta approssimando, costituisce per voi e per le vostre Chiese, un’occasione privilegiata per recuperare la storia del vostro passato, come forza propulsiva per la costruzione del vostro futuro.

Naturalmente, non sono mancate in essa, come ben sapete, delle ombre: scelte e atteggiamenti che, anche tenendo conto delle diverse concezioni filosofiche e culturali di quell’epoca, rimangono deplorevoli. Ciò, tuttavia, non deve indurre a disprezzare gli straordinari risultati ottenuti dallo sforzo generoso di tanti pionieri che, con enormi sacrifici, hanno contribuito alla diffusione del seme evangelico nel Paese. In verità, se gli evangelizzatori piantarono il seme, fu Dio a farlo crescere (cf. 1 Cor 3, 6). Non si può ripercorrere la storia dell’evangelizzazione senza tener presente la forza trasformatrice della Parola annunciata che, al di là dei limiti e delle debolezze umane, compie un’opera che non è altro che la realizzazione del disegno salvifico di Dio.

La Chiesa guarda a questo passato con la serenità del dovere compiuto, anche dinanzi alle difficoltà che, nel contesto sociale e storico, tale evangelizzazione dovette affrontare.

Di fronte alle popolazioni indigene la voce della Chiesa non cessò mai di levarsi, serena e ferma, attraverso le parole del mio Predecessore Paolo III che condannò con veemenza i tentativi di schiavizzarle (cf. Bula Sublimis Deus 1537). Nella prassi e nella disciplina ecclesiastiche, nonostante l’ostacolo rappresentato dell’ambiente culturale, all’indio fu riconosciuta la sua dignità di essere umano e i diritti che ne derivano. È significativa l’esperienza di fede realizzata dall’istituzione delle Missioni, nel riconoscere e nell’assumere tutti gli aspetti più positivi della cultura indigena, promuovendo le sue abilità, arti e occupazioni, conducendo pedagogicamente l’indio alla conoscenza della Verità rivelata e difendendolo da coloro che volevano sfruttarlo. Non possiamo non ammirare oggi l’intuizione pastorale dei primi missionari che accolsero con simpatia ciò che di più nobile trovarono in quell’universo culturale, come il carattere sacro attribuito alla creazione, il rispetto per madre natura e l’integrazione ad essa, lo spirito comunitario di solidarietà tra le generazioni, l’equilibrio fra il lavoro e il riposo, la lealtà e l’amore per la libertà; illuminando tutto ciò con l’esplicito insegnamento evangelico e integrandolo, sublimato, nel patrimonio cristiano questi annunciatori del Vangelo raggiunsero così una sintesi viva ed originale, promuovendo un’autentica inculturazione della fede.

Esempio luminoso di questa opera è, senza dubbio, il beato José de Anchieta, con la sua multiforme attività di artista, missionario, educatore e plasmatore di fede nelle vostre terre.

5. Riguardo alla schiavitù africana, ho già avuto occasione di implorare il perdono del cielo per il vergognoso commercio di schiavi al quale parteciparono anche non pochi cristiani e che, dal continente africano, alimentò la manodopera nelle nuove terre scoperte (cf. Visita alla Casa degli Schiavi, Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XV/1 [1992] 390). A quei tristi tempi non furono sufficienti le severe proibizioni dei miei venerabili predecessori Pio II nel 1462 e Urbano VIII nel 1693, né le invettive di Benedetto XIV (cf. Bulla Immensa Pastorum, 1740) che giunse a lanciare la scomunica a coloro che possedevano, vendevano e maltrattavano gli schiavi o che riducevano gli africani in schiavitù.

Nonostante la società e la cultura dell’epoca, la Chiesa non cessò mai di difendere gli schiavi dinanzi all’ingiusta situazione di cui erano vittime, come attestano, ad esempio, le Costituzioni di Bahia del 1707, prima normativa canonica elaborata in territorio brasiliano, che cercarono di attenuare il più possibile le terribili conseguenze della schiavitù (cc. 303 e 304). In ciò la vostra Chiesa seguiva l’esempio dell’Apostolo delle Genti che intercedette insieme al discepolo Filemone a favore dello schiavo Onesimo, da lui battezzato (cf. Fm 8, 21).

La storia della prima evangelizzazione sarebbe incompleta e profondamente ingiusta se non riconoscesse, accanto alle ombre frutto della fragilità umana, i meriti di coloro che piantarono la Croce nel vostro Paese, e con essa, i semi del Vangelo.

Non possiamo non ammirare oggi l’azione dei primi Vescovi. Nonostante nei primi tre secoli furono in numero insufficiente e dovettero affrontare tante situazioni avverse, furono i messaggeri dell’evangelizzazione e gli artefici di tanta saggezza cristiana e sollecitudine pastorale.

Non sarebbe un’esagerazione conferire anche ai sacerdoti diocesani, autentici missionari, parroci nelle più remote regioni, privi dell’indispensabile per una degna gestione, il titolo di eroi anonimi poiché, mediante un lavoro umile, coraggioso e tenace, conservarono la fede, combatterono gli abusi, corressero i costumi, appoggiarono le famiglie e promossero il rispetto delle istituzioni.

Colpisce questa unità di lingua e di cultura in un Paese dalle dimensioni di un continente, dove la Chiesa seminò città, scuole e ospedali e, mediante la sua predicazione e la sua catechesi, riunì i gruppi familiari e le diverse fasce sociali come strumento unico ed efficace di promozione di una coscienza nazionale e di formazione dell’unità politica del vostro popolo. Colpisce il modo in cui il messaggio evangelico si diffuse in ogni angolo del Brasile, tenendo conto che la Chiesa, per ragioni estranee alla sua volontà, si ritrovò in gran parte limitata nella sua libertà di azione, e che, nonostante la fragilità delle sue strutture e il ridotto numero dei suoi sacerdoti, seppe imprimere in quella nazione emergente i segni con i quali si distinguono i discepoli di Cristo, portando ai suoi abitanti il dono inestimabile della fede e infondendo in loro l’amore e il rispetto per il prossimo.

Non fu meno importante il ruolo svolto dai fedeli laici. La fiamma della fede accesa dai missionari continuò ad ardere e si propagò di piantagione in piantagione, di villaggio in villaggio, attraverso il culto domestico, riunendo in comunità le persone, libere e schiave, per lodare il Creatore. In verità, la famiglia, nella sua semplice e apparente fragilità, ebbe il merito di completare, in termini di evangelizzazione, il lavoro dei primi operai. In tale contesto, due furono gli artefici di questa evangelizzazione originaria: la madre di famiglia, custode e comunicatrice di una fede semplice e autentica, in particolare della devozione alla Vergine Maria, e la Mamma Negra, la quale nel silenzio del suo dolore, diede la testimonianza più viva e convincente della sua fede, mediante la sua bontà al servizio degli altri e per la sua forza d’animo in così tante e grandi prove.

6. Sono trascorsi quasi cinque secoli dalla prima evangelizzazione. Oggi si può affermare che l’animo del vostro popolo è indelebilmente segnata dalla fede cristiana. Il Brasile affonda le sue radici nella fonte perenne del Vangelo, radici che non può perdere senza compromettere il suo patrimonio culturale e anche la sua identità.

Dai frutti raccolti in tanti settori di vita ecclesiale e civile si può dedurre che è stata svolta “una valida, feconda e ammirevole opera evangelizzatrice” (IV Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano, Discorso di apertura, Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XV/2 [1992] 316). Io stesso posso testimoniare ciò nel ricordare i miei due Viaggi Apostolici del 1980 e del 1991 nel territorio brasiliano.

Cinque secoli di scoperta e di evangelizzazione! È come se ci trovassimo nuovamente all’inizio della traiettoria storica del vostro Paese, che oggi si presenta come una potenza emergente nel concerto delle nazioni, con un’eccezionale capacità di superare le sue sfide – grandi quanto esso – che devono essere correttamente interpretate come momenti di un processo di crescita, in vista di una maturità costituzionale dinamica e della conquista di una maggiore partecipazione e integrazione socio-economica.

Urge mantenere vivo l’entusiasmo dei primi missionari. Urge permeare la società attuale e le sue strutture di quei valori che non si sono sufficientemente radicati durante la prima evangelizzazione. Mi riferisco, tra gli altri, ai grandi valori della dedizione alla causa pubblica, dell’autostima e della fiducia nelle sue potenzialità, di un sano patriottismo e della solidarietà fra connazionali per costruire insieme il futuro della nazione.

Oggi una proposta per la nuova evangelizzazione, nuova nel suo ardore, nei suoi metodi e nella sua espressione (cf. Discorso ai Vescovi del CELAM, Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VI/1 [1983] 690 ss.), è presente, per le vostre Chiese, nel Documento di Santo Domingo, e in tanti altri documenti del Magistero Pontificio e Episcopale, nei quali si possono trovare le grandi linee che orienteranno le attività apostoliche della Chiesa in Brasile e nel Continente, in preparazione del 2000, anno di grazia del Signore.

In tal senso, non sono forse espressione della rinnovata animazione della vita religiosa nel vostro Paese quelle forme di “missioni popolari” del passato che, come so, stanno rinascendo in alcune diocesi brasiliane? L’intronizzazione della Croce di Santo Domingo in tanti focolari per risvegliare nei cattolici lo spirito e la responsabilità missionaria non è forse un segno della presenza consolatrice dello Spirito Santo nel cuore dei fedeli?

Il cammino della Nuova Evangelizzazione, ancor prima di riorganizzare le attività e le strutture pastorali, esige come primo passo la consapevolezza che l’allontanamento da Dio e dalla dottrina rivelata esige un deciso impegno di conversione interiore. L’autentica evangelizzazione deve ascoltare l’appello del Signore, “convertitevi, perché il Regno dei Cieli è vicino” (Mt 4, 17). Si tratta di porre i fedeli di fronte alle loro precise responsabilità nell’ambito familiare, professionale e sociale. È necessaria una nuova trasformazione affinché Cristo viva in ogni brasiliano e la sua immagine si rifletta senza distorsioni nella condotta personale e sociale.

Cristo, redentore dell’uomo, vuole regnare nei cuori e nelle opere dei cristiani. La Nuova Evangelizzazione avrà un senso solo se sarà capace di trasmettere a ogni persona o istituzione il Vangelo di Cristo senza interpretazioni errate o letture riduttive. Da un lato colui che è chiamato a “insegnare Cristo” deve, prima di tutto, aspirare “alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù” (Fil 3, 8) e dall’altro, si fa sentire il bisogno di conoscere sempre meglio la fede (cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 428-429). Il mandato di Cristo “andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni... insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28, 19), è rivolto a tutti gli uomini e a tutte le donne, senza distinzione di razza, di cultura e di condizione di vita: ricchi e poveri, anziani o bambini.

7. Anche oggi, come nel passato, spetta ai Vescovi, con il loro presbiterio, essere i messaggeri e gli artefici di questa evangelizzazione trasformatrice. Come il Buon Pastore, devono ricordarsi di ciò che diceva San Paolo: “in ogni cosa ci presentiamo come ministri di Dio” (2 Cor 6, 4). A differenza della prima, la Nuova Evangelizzazione, deve affrontare situazioni umane e sociali in rapido movimento. Pensiamo, ad esempio, all’urbanizzazione e al massiccio incremento delle città, in particolare laddove è più forte la pressione demografica, come avviene nei grandi centri urbani del Brasile. Oggi, così come ai tempi dell’Apostolo delle Genti (cf. At 17, 22-31), esistono moderni areopaghi; vorrei evidenziarne uno, che merita particolare attenzione in quanto concerne la formazione evangelica degli individui, delle famiglie e dell’intero ambito sociale: i mezzi di comunicazione sociale.

Sono a conoscenza di alcune iniziative nel vostro Paese, in ambito diocesano e nazionale, destinate a rivolgere un’attenzione particolare al corretto uso di questi mezzi poiché, attraverso di essi, il messaggio del Vangelo possa essere trasmesso a tutte le persone, “ma con la capacità di penetrare nella coscienza di ciascuno come se questi fosse l’unico, con tutto ciò che egli ha di più singolare e personale, e di ottenere a proprio favore un’adesione, in un impegno del tutto personale” (Esortazione Apostolica Evangelii Nuntiandi, 45).

Come ho già osservato nell’Enciclica Redemptoris Missio, “i mezzi di comunicazione sociale hanno raggiunto una tale importanza da essere per molti il principale strumento informativo e formativo, di guida e di ispirazione per i comportamenti individuali, familiari, sociali” (Redemptoris Missio, 37). È necessario che gli agenti di pastorale imparino a conoscere e a usare i mezzi di comunicazione sociale di modo che il cristianesimo, con i suoi valori e il suo messaggio, oltre ad essere diffuso durante gli orari destinati ai temi religiosi, sia motivo ispiratore anche nelle trasmissioni dedicate all’informazione, ai temi scientifici, all’arte e al sano divertimento. I responsabili dei mezzi di comunicazione sociale devono prestare attenzione affinché si eviti qualsiasi forma di manipolazione della verità e dei valori etici; troppi interessi personali e forme discutibili di espressione culturale o artistica possono modificare la scala di valori e ferire i sentimenti più intimi della persona. I cittadini hanno, al contrario, il diritto di essere rispettati nelle proprie convinzioni morali e religiose come, d’altronde, la Sede Apostolica ricorda costantemente (cf. Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali, Istruzione pastorale Aetatis novae, 22-II-1992)

Gli orizzonti dell’evangelizzazione si estendono, pertanto, a tutti gli ambiti della vita, fino a giungere al nucleo sociale che più impegna l’individuo in quanto tale. Mi riferisco al lavoro comune di tutti i giorni. Dio Nostro Signore esorta tutti gli uomini e le donne di questo mondo a santificare la propria occupazione quotidiana, trasformandola in un’offerta gradita al Creatore. In essa risuona l’appello divino a essere santi in tutte le azioni poiché sta scritto “voi sarete santi perché io sono santo” (1 Pt 1, 16). Questo appello è rivolto a tutti coloro che operano nelle strutture temporali affinché, nell’ambiente in cui lavorano, vivendo come figli di Dio, aiutino anche il prossimo a scoprire la grandezza di questa vocazione.

I laici, in virtù della propria vocazione, possono e devono contribuire a risanare “le istituzioni e le condizioni di vita del mondo, se ve ne sono che spingono i costumi al peccato così che tutte siano rese conformi alle norme della giustizia e, anziché ostacolare, favoriscano l’esercizio della virtù” (Costituzione Dogmatica Lumen Gentium, 36). Il Vangelo deve essere proclamato con la forza della Parola, con il potere della fede sincera, ma anche, e soprattutto, con la credibilità che nasce da grandi esempi di vita, in particolare in seno alle famiglie. Come non fare qui riferimento alla famiglia cristiana “evangelizzatrice e missionaria” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2205)?

8. Quest’anno, d’altro canto, la Chiesa in Brasile sta promuovendo il V Congresso Missionario Latinoamericano, destinato a rafforzare l’impegno missionario delle comunità cristiane.

L’aspirazione nutrita dagli organismi missionari di una Chiesa unita nell’esperienza della stessa fede e arricchita da molteplici espressioni culturali e religiose, dovrà avere sempre, come punto di partenza, “la certezza che in Cristo c’è una “imperscrutabile ricchezza” (cf. Ef 3, 8) che nessuna cultura né epoca alcuna possono esaurire e alla quale possiamo sempre ricorrere noi uomini per arricchirci. Questa ricchezza è, innanzitutto, Cristo stesso, la sua Persona, perché Egli è la nostra salvezza” (Discorso inaugurale della IV Conferenza generale dell’Episcopato Latinoamericano, Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XV/2 [1992] 318)

9. Nel concludere, permettetemi di ricordarvi due grandi colonne che devono sostenere l’edificio della nuova evangelizzazione. Sono due le forze senza le quali non si può costruire nulla di solido e di duraturo: la prima è la comunione di mente e di cuore tra i membri del vostro numeroso Episcopato.

So che nel passato avete affrontato momenti difficili. Non si può negare il fascino esercitato da certe ideologie che hanno conquistato anche persone ben intenzionate e di buona fede. Ci sono state insicurezze; ci sono state perplessità. Forse c’è stato anche un atteggiamento condiscendente, al fine di non sacrificare la comunione ecclesiale. Gli anni sono trascorsi e le ideologie hanno svelato il loro vero volto. Di queste vicissitudini vi rimane ora il tesoro dell’esperienza che deve ispirare il vostro futuro.

La comunione episcopale riceve, d’altra parte, un’autentica forza di coesione quando possiede come punto di riferimento il Magistero della Chiesa. È questa una delle ragioni che vi ha portato da tanto lontano alla città di Roma. Per abbeverarvi alle acque che hanno dissetato venti secoli di evangelizzazione, conferendo loro il sigillo di autenticità attraverso la conferma dei fratelli (cf. Lc 22, 32). Rafforzate nel vostro clero l’obbedienza filiale al Successore di Pietro. Rimanete, pertanto, in comunione affettiva ed effettiva con il Capo del Collegio episcopale di cui siete membri.

10. Cari Fratelli nell’Episcopato, sono certo che il vostro soggiorno a Roma sta risultando felice e utile. Roma accoglie sempre a braccia aperte i Successori degli Apostoli che vengono qui al fine di “videre Petrum” (Gl 1, 18), chiamati da questa tanto veneranda e opportuna istituzione che è la visita “ad Limina”.

Desidero incoraggiarvi a proseguire con fedeltà e dedizione nei numerosi impegni che vi attendono nelle vostre diocesi. Portate ai vostri sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, ai vostri collaboratori e a tutta la comunità delle vostre diocesi, l’espressione della mia stima e del mio incoraggiamento.

Essendo vicina la grande celebrazione del Mistero pasquale, invoco la Vergine Maria, Stella della Prima e della Nuova Evangelizzazione, venerata dal popolo brasiliano con il bel titolo di “Nossa Senhora Aparecida”, perché accompagni, con la sua intercessione, lo svolgersi della comunione missionaria nella Chiesa, e affinché diventi più visibile, mediante lei, il volto di Cristo risorto.

Da parte mia, unitamente alle preghiere che rivolgo sempre a Dio per tutti i miei amati fratelli nell’Episcopato, vi imparto di tutto cuore la mia Benedizione Apostolica, che estendo volentieri ai collaboratori e a tutti i vostri diocesani.

 

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