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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI ALLA PLENARIA DELLA CONGREGAZIONE
PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI

Venerdì, 3 maggio 1996

 

Signor Cardinale Prefetto,
Venerati Fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio,
Fratelli e Sorelle nel Signore!

1. Sono lieto di incontrarmi con voi in occasione della Plenaria del vostro Dicastero. Il mio affettuoso pensiero va innanzitutto ai Signori Cardinali qui presenti ed in modo particolare al Prefetto della Congregazione Card. Antonio Maria Javierre Ortas, che ringrazio per le cortesi parole poc’anzi rivoltemi. Saluto il Segretario Mons. Geraldo Majella Agnelo, i Membri, gli Officiali, i Consultori e quanti prestano la loro opera nelle Commissioni speciali. Desidero ringraziarvi tutti per la competenza e la generosità con cui svolgete il vostro apprezzato servizio alla Santa Sede in un settore tanto importante per la vita della Comunità ecclesiale.

In questi giorni vi siete soffermati in un attento esame dell’attività ordinaria del quinquennio trascorso, richiamando i problemi incontrati e le soluzioni adottate e cercando, al tempo stesso, di prevedere quanto resta da incrementare e promuovere per il futuro. Siamo nella fase antepreparatoria del cammino verso il Grande Giubileo del 2000. Nella Lettera apostolica Tertio millennio adveniente, rilevando che "nell’Assise conciliare la Chiesa, proprio per essere fedele al suo Maestro . . . ha provveduto alla riforma della liturgia "fonte e culmine" della sua vita" (Giovanni Paolo II, Tertio millennio adveniente, n. 19: AAS 87[1995], 17), sottolineavo la necessità di esaminarsi sulla "ricezione del Concilio" in particolare per quanto concerne la liturgia (cf. Ivi, n. 36: 1. c., 28).

2.

Essa infatti nel suo insieme, e in special modo nella Celebrazione eucaristica, costituisce il culmine a cui tende l’intera azione della Comunità ecclesiale e insieme la fonte dalla quale promana la glorificazione di Dio, unitamente alla progressiva santificazione del credente nel concreto contesto delle circostanze in cui vive. Era dunque necessario che la liturgia venisse resa più consona a rispondere alle attese degli uomini di oggi e più assimilabile dalle diverse culture.

A questo proposito mi preme tuttavia ricordare che anche per la riforma della liturgia, in particolare del Rito Romano, vale quanto più in generale ho avuto modo di osservare nella Tertio millennio adveniente riguardo al Concilio: "Si ritiene spesso che il Concilio Vaticano II segni un’epoca nuova nella vita della Chiesa. Ciò è vero, ma allo stesso tempo è difficile non notare che l’Assemblea conciliare ha attinto molto dalle esperienze e dalle riflessioni del periodo precedente, specialmente dal patrimonio del pensiero di Pio XII. Nella storia della Chiesa, il "vecchio" e il "nuovo" sono sempre profondamente intrecciati tra loro. Il "nuovo" cresce dal "vecchio", il "vecchio" trova nel "nuovo" una sua più piena espressione (n. 18: l. c., 16). Come non ricordare allora che la riforma liturgica è il frutto di un lungo periodo di riflessione che risale fino all’azione pastorale di san Pio X e che ha trovato un singolare impulso nell’Enciclica Mediator Dei di Pio XII (AAS 39 [1947] 521-595), della quale il prossimo anno ricorderemo il cinquantesimo anniversario di pubblicazione?

Scopo di quanto è stato fatto per la vita liturgica, sia prima del Concilio Vaticano II che nel periodo dei lavori conciliari e poi della riforma liturgica che ne è scaturita come autorevole applicazione, era di facilitare l’assimilazione dello "spirito della liturgia" e, partendo da questo, la comprensione delle azioni liturgiche nel loro giusto ed essenziale valore.

Era evidente che lo spirito della liturgia non poteva essere ritrovato grazie ad una semplice riforma. Era necessario un vero e profondo rinnovamento liturgico. Uno "spirito", infatti, in quanto intrinsecamente legato ad "azioni" liturgiche, non può risiedere se non negli "agenti umani" della liturgia, chiamati ad "esercitare il sacerdozio di Cristo". Ciò tuttavia non significa che possano essere trascurate le forme mediante le quali il sacerdozio di Cristo si esprime e si esercita, cioè quei "segni sensibili" dai quali la liturgia non può prescindere.

3.

Il Concilio Vaticano II ha risposto alle attese degli uomini del nostro tempo chiamando i credenti, come ho ricordato nella Lettera apostolica Orientale lumen, "a mostrare con parole e gesti di oggi le immense ricchezze che le nostre Chiese conservano nei forzieri delle loro tradizioni" (Giovanni Poalo II, Orientale lumen, n. 4: AAS 87[1995], 748). Uno di questi "forzieri" è sicuramente il Missale Romanum, del quale state preparando la tertia editio typica. In esso la lex orandi ha racchiuso, per il Rito Romano, l’esperienza di fede di intere generazioni, insieme con molti tratti caratteristici di culture che sono state progressivamente trasformate in civiltà cristiane.

La riforma liturgica ha voluto che si attuasse, su più vasta scala e con modalità diverse secondo i tempi e le necessità, quanto già si era verificato altre volte nella storia della Chiesa, come ad esempio nella straordinaria impresa pastorale dei santi Cirillo e Metodio, giacché "la rivelazione si annuncia in modo adeguato e si fa pienamente comprensibile quando Cristo parla la lingua dei vari popoli, e questi possono leggere la Scrittura e cantare la liturgia nella lingua e con le espressioni che sono loro proprie" (Giovanni Paolo II, Orientale Lumen, 7: l. c., 751).

4.

L’editio typica tertia del Messale Romano vi offre l’opportunità di riflettere su alcune caratteristiche di questo rinnovamento. Al riguardo, vale la pena richiamare quanto scrivevo nella Epistola apostolica Dominicae cenae: "Sebbene in questa tappa di rinnovamento sia stata ammessa la possibilità di una certa autonomia "creativa", tuttavia essa deve strettamente rispettare le esigenze dell’unità sostanziale. Sulla via di questo pluralismo (che scaturisce tra l’altro già dall’introduzione delle diverse lingue nella liturgia) possiamo proseguire solo fino a quel punto in cui non siano cancellate le caratteristiche essenziali della celebrazione dell’Eucaristia e siano rispettate le norme prescritte dalla recente riforma liturgica" (Giovanni Paolo II, Dominicae Cenae, n. 12: AAS 72 [1980], 143). Ed aggiungevo: "Occorre compiere dappertutto lo sforzo indispensabile, affinché nel pluralismo del culto eucaristico, programmato dal Concilio Vaticano II, si manifesti l’unità di cui l’Eucaristia è segno e causa" (Ivi, n. 12: AAS 72 [1980], 143).

So bene che il vostro Dicastero è impegnato a promuovere la massima fedeltà alle leggi liturgiche, richiamando alla memoria di tutti i principi che, al riguardo, ha formulato il Concilio Ecumenico Vaticano II: "Regolare la sacra liturgia compete unicamente all’autorità della Chiesa, che risiede nella Sede Apostolica e, a norma del diritto, nel Vescovo... Perciò nessun altro, anche se sacerdote, aggiunga, tolga o muti alcunché di sua iniziativa in materia liturgica" (Sacrosanctum Concilium, 22).

5.

Dev’essere, pertanto, a tutti chiaro che, se gli esperti con il loro apporto possono illuminare utilmente le scelte operabili, le decisioni in materia liturgica restano sottoposte alla diretta responsabilità dell’autorità ecclesiastica, la quale mira soltanto a favorire la partecipazione liturgica del popolo alla glorificazione di Dio e, insieme, a rendere più accessibili e fruttuose per ogni credente le possibilità di santificarsi.

Alle esigenze e finalità della vita cristiana può rispondere solo una liturgia che produca nel cuore in ascolto della Parola e proteso verso l’Eucaristia quel "silenzio carico di presenza adorata" di cui ho avuto modo di parlare nella recente Esortazione postsinodale sulla Vita consacrata (cf. Giovanni Paolo II, Vita Consecrata, n. 38). In un mondo pervaso da messaggi audiovisivi di ogni genere è necessario ricuperare zone di silenzio che permettano a Dio di far sentire la sua voce e all’anima di comprendere ed accogliere la sua Parola (cf. Giovanni Paolo II, Orientale Lumen, 16, l. c., 762). È quanto insegna il luminoso esempio di innumerevoli Santi e Beati, che ci hanno preceduto glorificando Dio con il raccoglimento orante della loro vita, e di Martiri, che hanno scelto per amore "il silenzio" del dono totale dell’esistenza quale risposta all’amore di Dio percepito nella Parola e nell’Eucaristia.

6.

Ecco perché risulterà di grande aiuto alla vita cristiana l’insieme delle riflessioni che avete sviluppato sia circa il culto dei Beati, sia circa il Martirologio Romano, in quanto libro liturgico, che contribuisce in modo singolare all’interscambio della venerazione dei Santi tra le Chiese, come comunicazione di doni, nello spirito della comunione dei santi. So bene che si tratta di un lavoro lungo e delicato, che occupa da molti anni la riflessione e il lavoro della vostra Congregazione. È arrivato il momento di portare a termine questa importante opera, così che il Martirologio si unisca agli altri libri liturgici già rinnovati. Apparirà così chiaramente che la parsimonia con la quale il Calendario Romano generale ha fatto spazio alle memorie dei Santi, per dare la precedenza al Giorno del Signore e alla celebrazione del suo Mistero, non significa affatto minor considerazione per tutti coloro che, a cominciare da Maria Santissima, rendono testimonianza con la loro vita alle meraviglie operate dalla grazia, in modo che i fedeli non solo commemorino e meditino i misteri della Redenzione, ma anche li raggiungano personalmente, vi prendano parte e vivano di essi (cf. Pio XII, Mediator Dei, AAS 39 [1947], 580).

Nell’auspicare che i lavori dell’Assemblea Plenaria contribuiscano ad una sempre più profonda vita liturgica del Popolo di Dio invoco sul vostro Dicastero la costante protezione di Maria, modello insuperabile di perfetta Orante.

Con tali voti, mentre vi ringrazio ancora una volta per la vostra generosa collaborazione, imparto con affetto a ciascuno di voi una speciale Benedizione Apostolica.

 

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