Index   Back Top Print

[ ES  - IT ]

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI AL SIMPOSIO
SU "EVANGELIUM VITAE E DIRITTO"
E ALL'XI COLLOQUIO INTERNAZIONALE
ROMANISTICO CANONISTICO

Venerdì, 24 maggio 1996

 

Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’Episcopato,
Illustri Signori!

1. Sono lieto di porgere il mio cordiale benvenuto a ciascuno di voi.

Rivolgo il mio pensiero innanzitutto a quanti prendono parte al Simposio su Evangelium vitae e Diritto, organizzato dai Pontifici Consigli per la Famiglia e per l’Interpretazione dei Testi Legislativi, in collaborazione con la Pontificia Accademia per la Vita.

Saluto il Signor Cardinale Alfonso Lopez Trujillo e lo ringrazio per i sentimenti espressi a nome anche di quanti hanno partecipato ai lavori. Saluto, inoltre, Monsignor Julian Herranz, Monsignor Elio Sgreccia, i qualificati rappresentanti degli Atenei Pontifici dell’Urbe, nonché gli illustri Docenti e Ricercatori delle oltre duecento Università e Facoltà di Scienze giuridiche di tutto il mondo, intervenuti al Convegno.

Esprimo vivo compiacimento per l’iniziativa congiunta dei tre Organismi Pontifici, che hanno reso possibile l’incontro nel comune intento di approfondire un aspetto fondamentale dell’insegnamento proposto nella Lettera Enciclica Evangelium vitae, quello, cioè, dei rapporti tra "cultura della vita" e ambito del Diritto dal punto di vista della ricerca filosofica, dell’impegno docente e dell’operatività legislativa. È un tema complesso, sul quale mette conto di riflettere con impegno.

2.

Saluto poi Monsignor Angelo Scola, Rettore della Pontificia Università Lateranense, ed i qualificati studiosi provenienti da ogni continente, che si sono dati convegno per discutere del rapporto tra Etica e Diritto nell’ambito della formazione dei moderni ordinamenti giuridici.

Questo tema costituisce una delle questioni fondamentali che, in ogni tempo, hanno messo alla prova le migliori energie del pensiero umano. Pertanto, studiare i moderni ordinamenti giuridici conduce a riformulare, con chiarezza, un adeguato e pertinente nesso tra etica e diritto, facendo costante riferimento ai principi fondamentali della persona umana, chiaramente puntualizzati nell’Enciclica Evangelium vitae.

3.

L’Enciclica ha inteso infatti riaffermare la visione della vita umana che scaturisce con pienezza dalla rivelazione cristiana, ma che, nel suo nucleo essenziale, è attingibile anche dalla ragione umana. Lo ha fatto non senza tener conto degli arricchimenti che la riflessione razionale è venuta maturando nel corso dei secoli. Di fatto, riconoscere il valore della vita dell’uomo, dal concepimento alla sua fine naturale, è una conquista della civiltà del diritto che deve essere tutelata come un bene primario della persona e della società. Oggi, tuttavia, in non poche società non è raro assistere ad una sorta di regresso di civiltà, frutto di una incompleta e a volte distorta concezione della libertà umana, che spesso trova pubblica legittimazione nell’ordinamento giuridico statuale. Avviene cioè che al rispetto dovuto all’inalienabile diritto alla vita di ogni essere umano si contrappone una concezione soggettivistica della libertà, svincolata dalla legge morale. Questa concezione, fondata su gravi errori relativi alla natura stessa della persona e dei suoi diritti, è riuscita, avvalendosi delle regole maggioritarie, ad introdurre non di rado nell’ordinamento giuridico la legittimazione della soppressione del diritto alla vita di esseri umani innocenti non ancora nati.

È utile pertanto mettere in rilievo, in prospettiva sia filosofica che giuridica, l’intimo rapporto che intercorre tra le Encicliche Veritatis splendor e Evangelium vitae: nella prima è posto in evidenza l’influsso che esercitano, nel sovvertimento dell’ordine morale e del diritto, "correnti di pensiero che finiscono per sradicare la libertà umana dal suo essenziale e costitutivo rapporto con la verità" (Giovanni Paolo II, Veritatis Splendor, n. 4, AAS 85[1993], 1136). Nella Evangelium vitae, parlando della urgenza di promuovere una "nuova cultura della vita" e del "nesso inscindibile tra vita e libertà", viene ribadita la necessità di riscoprire "il legame costitutivo che unisce la libertà alla verità", perché "sradicare la libertà dalla verità oggettiva rende impossibile fondare i diritti della persona su una solida base razionale" (Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, 96, AAS 87[1995], 510).

Affermare un diritto della persona alla libertà, prescindendo dalla verità oggettiva sulla stessa persona, rende di fatto impossibile la stessa costruzione di un ordinamento giuridico intrinsecamente giusto, perché è proprio la persona umana - così come essa è stata creata - il fondamento e il fine della vita sociale a cui il Diritto deve servire.

4.

La centralità della persona umana nel Diritto è espressa efficacemente dall’aforisma classico: "Hominum causa omne ius constitutum est". Ciò equivale a dire che il Diritto è tale se e nella misura in cui pone a suo fondamento l’uomo nella sua verità. Chi non vede come questo principio basilare di ogni giusto ordinamento giuridico sia seriamente minacciato da concezioni riduttive dell’essenza dell’uomo e della sua dignità, quali sono quelle di ispirazione immanentistica e agnostica? Simili concezioni hanno fornito, nel secolo che sta per concludersi, legittimazione a gravi violazioni dei diritti dell’uomo, in particolare del diritto alla vita.

In occasione del "Symposium" giuridico, promosso per celebrare il 10° anniversario della promulgazione del nuovo Codice di Diritto Canonico, osservavo che "come al centro dell’ordinamento canonico c’è l’uomo redento da Cristo e divenuto con il battesimo persona nella Chiesa . . ., così le società civili sono invitate dall’esempio della Chiesa a porre la persona umana al centro dei loro ordinamenti, mai sottraendosi ai postulati del diritto naturale, per non cadere nell’arbitrio di false ideologie. I postulati del diritto naturale sono infatti validi in ogni luogo e per ogni popolo, oggi e sempre, perché dettati dalla recta ratio, nella quale, come spiega san Tommaso, sta l’essenza del diritto naturale: "omnis lex humanitus posita intantum habet de ratione legis, inquantum a lege naturae derivatur" (San Tommaso, Summa Theol., I-II, q. 95, a. 2)" (AAS 86[1994], 248). Questo concetto era già stato in antecedenza ben compreso dal pensiero giuridico classico. Cicerone così lo esprimeva: "Est quidem vera lex recta ratio, naturae congruens, diffusa in omnibus, constans, sempiterna quae vocet ad officium iubendo, vetando a fraude deterreat, quae tamen neque probos frustra iubet aut vetat, nec improbos iubendo aut vetando movet" (Cicerone, De re pubblica, 3, 33: LACT, Inst. VI, 8, 6-9).

5.

Gli elementi costitutivi della verità oggettiva sull’uomo e sulla sua dignità si radicano profondamente nella recta ratio, nell’etica e nel diritto naturale: sono valori che precedono ogni ordinamento giuridico positivo e che la legislazione, nello Stato di diritto, deve sempre tutelare, sottraendoli all’arbitrio dei singoli ed all’arroganza dei potenti.

Di fronte all’umanesimo ateo, che misconosce o addirittura nega la dimensione essenziale dell’essere umano, connessa con la sua origine divina e col suo destino eterno, è compito del cristiano, e soprattutto dei Pastori e dei teologi, annunciare il Vangelo della vita, secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano II, che, toccando con frase lapidaria il fondo del problema, ha affermato: "In realtà, solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo" (Gaudium et spes, 22).

Tale urgente impegno interpella in modo singolare i giuristi cristiani, spingendoli a far emergere, nei settori di loro competenza, il carattere intrinsecamente debole di un Diritto precluso alla dimensione trascendente della persona. Il fondamento più solido di ogni legge che tutela l’inviolabilità, l’integrità, la libertà della persona risiede, infatti, nel suo essere creata ad immagine e somiglianza di Dio (cf. Gen 1, 27 ).

6.

A tale riguardo, un problema che direttamente investe il dibattito fra biologi, moralisti e giuristi è costituito dai diritti fondamentali della persona, che devono essere riconosciuti ad ogni soggetto umano in tutto l’arco della vita, e particolarmente fin dal suo sorgere.

L’essere umano - come ha richiamato l’Istruzione "Donum Vitae" e riconfermato l’Enciclica "Evangelium vitae" - "va rispettato e trattato come persona fin dal suo concepimento e, pertanto, da quello stesso momento gli si devono riconoscere i diritti della persona, tra i quali anzitutto il diritto inviolabile di ogni essere umano innocente alla vita" (Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, n. 60: AAS 87[1995], 469; cf. Istr. Donum Vitae, 1: AAS 80[1988], 79).

Questa affermazione trova piena corrispondenza nei diritti essenziali propri dell’individuo, riconosciuti e tutelati nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (art. 3).

Pur nella distinzione fra le scienze coinvolte e, riconoscendo che l’attribuzione del concetto di persona appartiene ad una competenza filosofica, non possiamo non assumere come punto di partenza lo statuto biologico dell’embrione che è un individuo umano, avente la qualità e la dignità propria della persona.

L’embrione umano ha dei diritti fondamentali, cioè è titolare di costitutivi indispensabili perché l’attività connaturale ad un essere possa svolgersi secondo un proprio principio vitale.

L’esistenza del diritto alla vita quale costitutivo intrinsecamente presente nello statuto biologico dell’individuo umano fin dalla fecondazione costituisce, pertanto, il punto fermo della natura anche per la definizione dello statuto etico e giuridico del nascituro.

La norma giuridica, in particolare, è chiamata a definire lo statuto giuridico dell’embrione quale soggetto di diritti, riconoscendo un dato di fatto biologicamente inconfutabile ed in sé evocatore di valori che non possono essere disattesi né dall’ordine morale né dall’ordine giuridico.

Per la stessa ragione, ritengo di dovermi ancora una volta fare interprete di questi diritti inviolabili dell’essere umano fin dal suo concepimento per tutti gli embrioni che non raramente sono sottoposti a tecniche di congelamento (crioconservazione), diventando in molti casi oggetto di pura sperimentazione o, peggio, destinati ad una programmata distruzione con l’avallo legislativo.

Ugualmente, confermo come gravemente illecito per la dignità dell’essere umano e del suo essere chiamato alla vita, il ricorso ai metodi di procreazione che l’Istruzione "Donum Vitae" ha definito come inaccettabili per la dottrina morale.

L’illiceità di questi interventi sull’inizio della vita e su embrioni umani è già stata affermata (cf.. Giovanni Paolo II, Donum Vitae, I, 5; II.), ma è necessario che vengano assunti anche a livello legale i principi sui quali si fonda la stessa riflessione morale.

Faccio quindi appello alla coscienza dei responsabili del mondo scientifico ed in modo particolare ai medici perché venga fermata la produzione di embrioni umani, tenendo conto che non si intravede una via d’uscita moralmente lecita per il destino umano delle migliaia e migliaia di embrioni "congelati", i quali sono e restano pur sempre titolari dei diritti essenziali e quindi da tutelare giuridicamente come persone umane.

La mia voce si rivolge anche a tutti i Giuristi perché si adoperino affinché gli Stati e le Istituzioni Internazionali riconoscano giuridicamente i diritti naturali del sorgere stesso della vita umana ed altresì si facciano tutori dei diritti inalienabili che le migliaia di embrioni "congelati" intrinsecamente hanno acquisito dal momento della fecondazione.

Gli stessi Governanti non possono sottrarsi a questo impegno, perché venga tutelato fin dalle sue origini il valore della democrazia, la quale affonda le proprie radici nei diritti inviolabili riconosciuti ad ogni individuo umano.

7.

Illustri Signori, bastano questi brevi cenni per sottolineare quanto sia prezioso il vostro contributo per il progresso non solo della società civile, bensì e innanzitutto per la comunità ecclesiale, impegnata nell’opera della nuova evangelizzazione, alle soglie ormai del terzo millennio dell’era cristiana. È questa la grande sfida posta alla responsabilità dei credenti dall’impoverimento etico delle leggi civili nella tutela di certi aspetti della vita umana.

La concezione positivistica del diritto, insieme col relativismo etico, non solo tolgono alla convivenza civile un sicuro punto di riferimento, ma sviliscono la dignità della persona e minacciano le stesse strutture fondamentali della democrazia. Sono certo che con coraggio e chiarezza ciascuno saprà compiere quanto è nelle sue possibilità, affinché le leggi civili rispettino la verità della persona, la sua realtà di essere intelligente e libero, come pure la sua dimensione spirituale ed il carattere trascendente del suo destino.

Auspico di cuore che entrambi i Simposi, nei quali confluiscono i risultati delle ricerche compiute nei rispettivi Dicasteri e Istituzioni Accademiche, possano favorire la comprensione di come la dottrina della Chiesa, circa il rapporto tra Etica e Diritto, alla luce dell’Enciclica Evangelium vitae, sia esclusivamente al servizio dell’uomo e della società.

Auspico altresì, che grazie all’impegno di tutti la Chiesa possa "far giungere il Vangelo della vita al cuore di ogni uomo e donna e immetterlo nelle pieghe più recondite dell’intera società" (Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, 80).

Con tali voti imparto di cuore a voi, qui convenuti, ai vostri collaboratori ed a quanti vi sono cari la Benedizione Apostolica.

 

© Copyright 1996 - Libreria Editrice Vaticana 

    



Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana