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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AL SINODO DEI VESCOVI
DELLA CHIESA ARMENA CATTOLICA

Lunedì, 23 giugno 1997

 

Venerati Fratelli nell'episcopato!

1. Il mio cuore è pieno di santa esultanza nel porgere il benvenuto a Sua Beatitudine Giovanni Pietro XVIII Kasparian, Patriarca di Cilicia degli Armeni, ed al Sinodo dei Vescovi della Chiesa armena cattolica. Le porte della casa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, le porte della fraternità universale, si aprono per accogliere col santo bacio tutti voi, fratelli in Cristo e testimoni fedeli del suo Vangelo.

So che in questi giorni siete riuniti qui a Roma per completare lo studio dello ius particulare previsto dal Codice dei Canoni delle Chiese Orientali. Si tratta di un impegno di grande importanza e significato. Se il Codice, infatti, intende raccogliere le indicazioni comuni a tutte le Chiese orientali che già sono in piena comunione con questa Sede Apostolica, ciò nondimeno la Chiesa cattolica sa che ognuna delle Chiese orientali possiede la sua storia, le sue tradizioni specifiche, non solo nell'ambito liturgico, ma anche in quello disciplinare. Già il Concilio Vaticano II ricorda che "fin dai primi tempi le Chiese d'Oriente seguivano discipline proprie, sancite dai santi Padri e dai Concili, anche ecumenici. E siccome una certa diversità di usi e consuetudini . . . non si oppone minimamente all'unità della Chiesa, anzi ne accresce il decoro e non poco contribuisce al compimento della sua missione, il sacro Concilio, onde togliere ogni dubbio, dichiara che le Chiese d'Oriente, memori della necessaria unità di tutta la Chiesa, hanno facoltà di regolarsi secondo le proprie discipline, come più consone all'indole dei propri fedeli e più adatte a provvedere al bene delle anime" (Unitatis redintegratio, 16). E' dunque, afferma ancora il Concilio, "intenzione della Chiesa cattolica che rimangano salve e integre le tradizioni di ogni Chiesa particolare o rito, e ugualmente essa vuole adattare il suo tenore di vita alle varie necessità dei tempi e dei luoghi" (Orientalium Ecclesiarum 2).

2. Ciò che voi in questi giorni state compiendo è, pertanto, in certo modo, il completamento dell'opera rappresentata dal Codice Orientale: voi codificate le norme specifiche che riguardano la vostra Tradizione e portate a compimento, rispettando la giusta autonomia e la libertà del vostro specifico patrimonio, l'opera legislativa che riguarda la vostra Chiesa.

Vi è in questo un valore simbolico che voglio qui richiamare: la Santa Sede, se provvede a garantire gli elementi della comune appartenenza cattolica, difende e tutela il diritto delle Chiese orientali sui iuris ad esprimere, nelle forme stabilite, ciò che è loro proprio, secondo il seguente principio: "L'evangelizzazione delle genti sia fatta in modo che, conservando l'integrità della fede e dei costumi, il Vangelo si possa esprimere nella cultura dei singoli popoli, cioè nella catechesi, nei propri riti liturgici, nell'arte sacra, nel diritto particolare e infine in tutta la vita ecclesiale" (CCEO, can. 584 § 2). Universale e particolare si fondono dunque e si implicano vicendevolmente nella costruzione dell'una sancta.

L'essere cattolici non mortifica in alcun modo la vostra armenità, anzi, al contrario, la sostiene e la tutela, mettendola in intima comunione con tante altre espressioni della fede comune e consentendo ad altre Chiese di godere del contributo della vostra originalità.

3. Venerati Fratelli, la codificazione dello ius particulare sia per voi occasione ispiratrice per modellare su di esso la pratica pastorale, procurando di "tornare alle avite tradizioni", come il Concilio auspica, "qualora per circostanze di tempo o di persone" si fosse venuti meno ad esse (Orientalium Ecclesiarum, 6). Dal rispetto per la propria identità sgorga infatti lo sforzo di viverla integralmente, operando sia per il pieno recupero di essa, sia per renderla il più possibile comunicabile ai fedeli di oggi. Questo comporta in concreto il costante sforzo di riscoprire le vostre fonti patristiche e liturgiche, per ispirare ad esse la catechesi, la vita spirituale e persino la vostra arte sacra.

Il mio vivo auspicio è che la vita della vostra Chiesa porti sempre impresse le tracce dello spirito del popolo armeno, spirito del quale tanti monumenti religiosi, oltre che opere letterarie di inestimabile valore, sono esplicita testimonianza. Alcuni di tali monumenti sono già restituiti all'antico splendore ed all'uso liturgico, altri purtroppo restano tuttora abbandonati alla devastazione del tempo. Impegnandovi in questa impresa, contribuirete in maniera efficace a riscoprire le comuni radici religiose di tutto il popolo armeno, e potrete offrire un notevole impulso al progresso della causa ecumenica.

4. Venerati e cari Fratelli, so che vi state apprestando a ricordare con una solenne celebrazione i diciassette secoli della conversione al cristianesimo del popolo armeno. Si tratta di un avvenimento che costituisce per la Chiesa universale occasione di riflessione e di ringraziamento al Signore, essendo voi il primo popolo che abbia, come tale, abbracciato la fede divenendo cristiano. Per questo atto, altroché per la storia di fedeltà a Cristo che vi costò un altissimo prezzo di sangue, sento il bisogno di esprimervi cordiale gratitudine a nome di tutto il Popolo cristiano.

Gli eventi di allora stanno a dimostrare che nessuna conversione di massa è possibile, senza una conversione personale e interiore: la storia del re Tiridate e il profondo travaglio della sua anima, che lo portò a divenire da persecutore difensore di Cristo e del suo Popolo, costituisce un segno eloquente di questa profonda verità.

Lo stretto legame, poi, fra il battesimo dell'Armenia e la Chiesa di Cappadocia, realizzato attraverso la figura di Gregorio Illuminatore, sta ad indicare quella feconda apertura ecumenica che ha connotato tutta la storia del popolo armeno e che lo ha portato ad accogliere con riconoscenza non solo il contributo cappadoce, ma quello siriaco, bizantino ed anche latino. Gli Armeni hanno saputo ricevere questi contributi con grande apertura di spirito, fondendoli con l'apporto originale della propria sensibilità: ne è scaturito un modello ecclesiale e culturale, aperto e fecondo, che rappresenta un riferimento moderno per molti altri popoli.

5. Auguro di cuore e prego Iddio perché gli Armeni siano sempre degni testimoni di questo loro glorioso passato. Confido che la celebrazione del diciassettesimo centenario del battesimo del vostro Popolo sia per tutti voi una preziosa occasione per intensificare il legame comune di appartenenza, non solo alle radici etniche, ma anche alla comune fede cristiana, che con tale appartenenza è così strettamente identificata. Celebrare infatti un evento così importante del passato diventa tanto più eloquente messaggio di speranza per gli uomini d'oggi quanto più mostra chiaramente l'unità nell'odierno sforzo di evangelizzazione. Una comune origine non può non portare ad un comune impegno per una comune testimonianza. Più dunque si rinsalderà l'unità mediante la memoria storica e religiosa, più forte e convincente sarà l'annuncio di Cristo, morto e risorto. che voi siete chiamati a rinnovare nel nostro tempo, guardando già al grande Giubileo del 2000.

Con questi sentimenti assicuro la mia preghiera per voi qui presenti, per la vostra amata Chiesa, per i figli del popolo armeno, soprattutto per quanti soffrono difficoltà e travagli, sia spirituali che materiali. Su ciascuno invoco, per intercessione della Beata Vergine e dei vostri santi Patroni, l'abbondanza dei favori celesti, in pegno dei quali a tutti imparto di cuore una speciale Benedizione Apostolica.

 

© Copyright 1997 - Libreria Editrice Vaticana



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