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OMELIA
DEL SOMMO PONTEFICE
LEONE XII

QUI PACEM

 

Il Papa Leone XII.

Colui che, nascendo, aveva annunziato la pace; Colui che, prossimo alla passione, ci aveva lasciato la pace; Colui che, invocando la pace, aveva esalato lo spirito, oggi ancora annunzia la pace, ritornato vivo dagli inferi. È questa la prima parola, con la quale Egli induce i discepoli a riconoscerlo: affinché non solo dalla forma e dall’abito umano di cui si è vestito, e dalla forza della divinità, di cui non si è mai spogliato, che penetra nella chiusa dimora, ma anche dalla stessa benignità dell’amore, quello stesso Gesù Cristo, Dio e uomo, che essi conoscevano, possa essere da loro riconosciuto. «Quel giorno, di sera, essendo chiuse le porte, nel luogo ove i discepoli erano riuniti, per paura dei Giudei, venne Gesù, e stette in mezzo a loro, e disse loro: pace a voi». Oh, quanto è buono, possiamo esclamare, Venerabili Fratelli, diletti figli, oh, quanto è buono e soave, Signore, lo spirito tuo nei confronti di tutti! Eppure quelli cui rivolse un così benigno saluto erano gli stessi dai quali era stato abbandonato nel momento della maggiore angoscia, gli stessi ai quali Egli aveva preannunziato tutto ciò che Gli sarebbe accaduto, e che Lo avevano chiaramente udito predire la propria resurrezione il terzo giorno dopo la morte; addirittura avevano udito confermare la già avvenuta resurrezione da coloro che L’avevano visto, e tuttavia non si erano sentiti indotti a credere; proprio a loro, tuttavia, Egli appare annunziando pace, anche a quell’infelicissimo tra i mortali dal quale era stato tradito, se mai avesse voluto seguire l’esempio di Pietro, aperto alla speranza, piuttosto che quello di Caino, disperante della salvezza. Felici coloro che furono degni di tanto beneficio da Dio misericordioso; coloro che, appena il Signore li rimproverò per la loro incredulità, esecrando la propria durezza di cuore si unirono subito a Lui con perfetta carità, e che, dopo che L’avevano ferito con la loro infedeltà e che, tristi, L’avevano udito rimproverarli, esultarono di ineffabile gioia non appena Lo videro rasserenato.

Ma la felicità che toccò agli Apostoli, oggi si offre anche a noi. La pace infatti fu promessa sia ai prossimi che ai lontani, e Colui che è la nostra pace, Gesù Cristo, esorta anche noi, oggi, con quel saluto: pax vobis. Vi sarà dunque chi ricuserà di raggiungere infine nel Signore ciò che a lungo e invano cercò, errando lontano dal Signore?

Dunque non vogliate errare, o dilettissimi. Voi desiderate soltanto la pace, voi cercate insistentemente la pace, ma non trovate pace: perché dunque? Perché la cercate dove non è e non può essere. Sulle loro vie vi sono l’afflizione e l’infelicità, e non conobbero la via della pace; è questa, e Dio stesso lo afferma, la condizione di coloro che sperano di trovare la quiete e la tranquillità nel peccato. Sperano la quiete, e finiscono nella tempesta; si ripromettono la gioia, e non trovano infine se non tedio, e affanno, e terrori: anzi sentono principalmente crescere dentro di sé una tetra amarezza, proprio là dove, ingannati da una falsa immagine di bene, si erano ripromessi la massima felicità.

Né deve meravigliare: nessuno può gustare la vera pace, se non chi si sia riconciliato con l’autore della pace, con se stesso e col prossimo.

La carne concupisce contro lo spirito, lo spirito contro la carne: questo è l’incessante conflitto dentro di noi. Quando pensiamo di placare il nemico assecondando la concupiscenza della carne, lo infiammiamo maggiormente armandolo contro Dio e contro lo spirito, che è la parte principale di noi, il valore supremo di noi stessi.

Vogliamo dunque, quando che sia, raggiungere finalmente quella pace che tanto desideriamo, per quanto è possibile, in questa valle di lacrime? Sforziamoci d’indebolire quel nemico che non possiamo scacciare dalle interne viscere soggiogandolo allo spirito e alla ragione: il che possiamo fare con l’aiuto di Dio. Da ciò conseguirà anche, come insegna l’Apostolo, che «ogni amarezza ed ira, e sdegno, e clamore, e bestemmia saranno rimossi da noi insieme ad ogni malizia; siamo dunque vicendevolmente benevoli, misericordiosi, generosi, come Dio che si donò a noi in Cristo»; e sentiremo con gioia confermata dalla nostra stessa esperienza la fiducia in quella divina promessa: «Imparate da me che sono mite ed umile di cuore, e troverete la pace per le vostre anime».

Davvero richiedono particolare attenzione, o dilettissimi, quelle parole: «Rimproverò la loro incredulità e durezza di cuore, perché non credettero a coloro che l’avevano visto risorgere». Non una sola volta essi avevano più o meno gravemente peccato, ed egli una sola volta li rimprovera. Che cosa significa ciò, se non che gli stava a cuore che agli Apostoli dispiacesse principalmente ciò che principalmente a lui era dispiaciuto, cioè che rimuovessero l’ostacolo maggiore alla pace prima che, offerta in primo luogo la pace con quelle parole, «pax vobis», e proferitele di nuovo (infatti ripeté ancora «pax vobis») largisse loro effettivamente quel dono? Infatti, quale posto può esservi disponibile per la quiete e per la tranquillità in quell’animo in cui, bandita la fede, vi sia perpetuo conflitto di opinioni, smodato dominio di sfrenata cupidigia? Se Cristo non è risorto, è vana – riconosciamolo – la nostra fede; ma se è risorto, è Dio colui che poté ritornare alla vita; divine sono le sue rivelazioni e i suoi insegnamenti, una sola è la fede che può appagare le menti volte qua e là dai diversi venti della dottrina e può placare gli animi inquieti. Se qualcuno dubita che Cristo sia risorto, lo si deve giudicare davvero accecato dalla sua malizia, come chi non veda ciò che è più chiaro della luce stessa. Non crederà dunque a quanto narrano uno o due testimoni ogni giorno; non crederà ai tanti che testimoniano la resurrezione di Cristo, e in particolare a quelli che riferiscono non una fallace diceria, ma una verità, che già avrebbero dovuto credere prima, per l’autorità di Cristo stesso, che l’aveva predetta, e fidando nella testimonianza di coloro che già avevano annunziato di averlo visto vivo; e tuttavia non credettero, se non quando lo videro coi propri occhi, entrato nella casa con le porte chiuse, e lo udirono parlare, e lo toccarono con le proprie mani? Aggiungi a questi i settantadue discepoli del Signore; aggiungi molti altri, alla cui vista si mostrò dopo che fu risorto; aggiungi, per dir meglio, Gerusalemme tutta, cui manifestò il miracolo della sua resurrezione attraverso gli Apostoli e i molti prodigi da loro compiuti. Che dirà di fronte a ciò l’incredulo? Dirà che furono ingannati quei testimoni, che pure non credettero al fatto se non convinti dall’evidenza della verità? O che vollero ingannare gli altri, che tanto numerosi, tanto concordi, al cospetto di re e di popoli, sopportando fatiche, scherni, tormenti e la morte infine, affermarono la fede nella resurrezione di Cristo? Gli increduli, riflettendo su ciò, sentendo il Signore rimproverarli attraverso la loro coscienza, che cosa avvertiranno nell’animo? Oh, miseri, se circonfusi di così limpida luce non la vedono; più miseri ancora se, vedendola, non credono, sommamente offendendo Dio e, nemici a se stessi, perseverano nel rifiutare la pace che Egli offre benigno. Crederanno però, crederanno alfine, quando Lo vedranno assiso nella sua maestà, quando Lo udranno non, come ora, rimproverarli per la loro salvezza, ma per loro confusione, e punizione, e disperazione; rifiutarono la benedizione ed Egli si allontanerà da loro: non avranno requie né di giorno né di notte.

Abbiate misericordia, Venerabili Fratelli fedeli in Cristo, figli dilettissimi, di una così grande sciagura, e pregate per loro; gioite dentro di voi considerando quanto siano secondo ragione, quanto gloriose, quanto gioconde le cose in cui credeste; e con quanto diritto possiamo dire a Dio con il re profeta: «Sono ormai troppo credibili le tue testimonianze». Ogni volta, poi, in cui riconosciate che i vostri comportamenti si allontanano dalla santità della fede che professate; ogni volta in cui, abbagliati dalle lusinghe fallaci della cupidigia, vi sarete abbandonati all’avarizia, o alla libidine, o alla superbia; ogni volta, infine, in cui abbiate infranto il precetto che il Signore, desideroso di portare la pace tra gli uomini, chiama «il suo comandamento» dicendo: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate a vicenda», pentitevi piangendo davanti al Signore. Così, allontanato tutto ciò che è di impedimento alla divina benevolenza, anche per voi si avvererà ciò che si verificò per gli Apostoli: che udiate il Signore pronunciare due volte «pax vobis», cioè che col primo saluto vi prometta, e col secondo vi doni la pace. Con quella sua pace (che supera ogni esperienza interiore) sovrabbondante nel vostro cuore, esclamerete con gioia insieme alla Chiesa: «Allietiamoci in questo giorno che il Signore ci diede, ed esultiamo»; pronti a rinnovare ciò con gioia infinitamente maggiore il giorno in cui, custodendo fino all’ultimo respiro la pace, il cuore e l’intelligenza vostra in Gesù Cristo, sarete annoverati nella beatissima schiera di coloro, di cui è scritto: «Siederà il mio popolo nella bellezza della pace, nei tabernacoli della fede, e in una splendida quiete».

(26 marzo 1826)



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