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Una vera via crucis

Donne crocifisse

 

«Sono stremata e sfinita… Basta, basta! Qualcuno mi aiuti, datemi qualcosa almeno per pulire il mio sudicio volto… Sputata e disprezzata, trattata come un animale, giorno e notte oltraggiata e violentata… Qualcuno abbia pietà di me: almeno tu donna, sorella, madre! Io ti appartengo, tu potesti comprendermi… Vieni in mio aiuto». Nel buio della sera la voce di suor Eugenia Bonetti scandisce queste parole alla quinta stazione della via crucis, mentre le tantissime persone che stanno partecipando alla processione ascoltano in un silenzio attonito e doloroso.

    Sono soprattutto donne, di tutte le età, laiche e religiose, a sentire nel loro cuore la voce di questa sofferenza indicibile e a capire cosa significhi essere trattata come una schiava, non essere più padrone di se stesse, del proprio corpo. Donne fra le quali, anonimamente, si sono mescolate alcune di quelle prostitute salvate che gruppi di aiuto cattolici hanno saputo e potuto aiutare. Ma molti sono anche i giovani e i rappresentanti di gruppi etnici che conoscono da vicino questa piaga. Una partecipazione intensa e sentita, una tesa condivisione del dolore che raramente si è percepita con tanta forza.

    La città di Roma, sede del successore di Pietro, aspettava da secoli questa processione, da secoli aspettava che il clero prendesse coraggio e riconoscesse la vera emarginazione, la vera sofferenza. Si è giunti a questo grazie a Papa Francesco: sono i suoi appelli all’ascolto del dolore degli ultimi e degli emarginati, sono le sue richieste al clero di uscire dalla penombra protettiva delle chiese per andare nelle periferie che hanno dato la forza di innovare, di testimoniare in pubblico la misericordia più grande.

    Grazie quindi bisogna dire agli organizzatori, grazie alle associazioni cattoliche e ai movimenti che l’hanno sostenuta. Grazie a chi, coinvolgendo il servizio per le vocazioni del Vicariato di Roma, ha mandato un messaggio importante ai futuri sacerdoti: è qui, vicino a chi è emarginato e soffre, che troverete il significato profondo della vostra missione.

Per la prima volta, nel centro della città e a due passi da San Pietro, è stata catapultata con forza l’altra città, quella nascosta delle periferie malfamate, della sofferenza di migliaia di donne sfruttate e della sordida convivenza con questa schiavitù di tanti uomini che all’apparenza sono normali, perbene, in superficie magari buoni padri di famiglia, mariti affettuosi. Perché chiunque paghi una prostituta diventa complice di questo commercio, hanno ribadito a Roma tante voci.

    È un mondo dimenticato, al quale nessuno vuole pensare, un mondo sommerso di umiliazione atroce. Preferiamo vantare la nostra superiorità nei confronti del mondo islamico che disprezza le donne e la loro libertà, dimenticando che molte di queste schiave vengono proprio dagli stessi paesi da cui arrivano gli immigrati che nell’ultima notte dell’anno molestavano le donne nella piazza di Colonia.

    Ma è anche la prima volta che la Chiesa, pubblicamente, prende le parti delle donne costrette alla prostituzione, le libera da qualsiasi pregiudizio morale, le proclama davanti al mondo per ciò che sono: vittime. È un atto di rottura con il suo passato, in coerenza con la predicazione di Papa Francesco e con l’attività di aiuto che molte suore, sacerdoti e associazioni cattoliche — uniche a farlo — danno a queste poverette. A differenza delle femministe, che si propongono la difesa della libertà della donna e poi si dimenticano di queste vittime, preferendo puntare i riflettori sulle carriere, sul soffitto di vetro, sui ruoli di potere non ancora raggiunti. Fingendo di ignorare che, finché ci sarà questa schiavitù, non potrà esistere liberazione della donna. E per tutti, finché il corpo femminile viene sfruttato e umiliato, non ci sarà liberazione.

di Lucetta Scaraffia

(© L'Osservatore Romano, 28/02/2016)