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Faust e l’asinello

 

di GianPaolo Dotto

Rileggendo il Faust, può sembrare che l’inizio sia stato scritto per chi cerca e insegna oggi, come già Goethe: «Filosofia ho studiato, diritto e medicina, e, purtroppo, teologia, da capo a fondo, con tutte le mie forze. Adesso eccomi qui, povero illuso, e sono intelligente quanto prima! Mi chiamano magister, mi chiamano dottore, e già saranno almeno dieci anni, di su, di giù, per dritto e per traverso, che meno per il naso gli studenti. E nulla, vedo, ci è dato sapere!». Allo sconforto dell’uomo che si pone come centro per capire si può proporre una meditazione.

La buona notizia che Gesù ha annunciato per le strade era la sua stessa persona, Dio sceso in terra. Per la rivelazione finale della sua regalità, il Signore ha scelto di passare tra la folla che lo acclamava sul dorso di un asinello. Chissà dov’era quell’asinello che Gesù aveva mandato a cercare. Probabilmente non aveva nessuna voglia di lasciare l’erba che stava mangiando. Gli asini sono semplici ma testardi, e possono mordere. Chissà come sono riusciti i discepoli a convincere l’asinello a lasciare la tranquillità del campo, per prendersi Gesù in groppa e portarlo in giro tra tanto frastuono. Di sicuro quell’asino non aveva capito quel che gli stava succedendo e che in qualche modo lo avrebbe reso molto famoso nella storia dell’umanità.

Questo asinello era forse parente di un altro altrettanto famoso, che una trentina di anni prima si era ritrovato in una stalla a scaldare con il suo soffio un bambinetto appena nato. La visione antropomorfica degli asini non è nuova e si trova per esempio in quella perla della letteratura latina che è l’Asino d’oro di Apuleio. Sono però arrivato a meditare sul destino e il compito degli asini leggendo un libro completamente diverso e bellissimo, scritto come storia della propria anima da Teresa di Lisieux, proclamata da Giovanni Paolo ii dottore della Chiesa.

Teresa racconta un’esperienza personale, in apparenza di poco conto. La giovane suora aveva condiviso una sua intuizione spirituale con una compagna di convento che subito se n’era appropriata, parlandone ad altre religiose come se fosse sua. Teresa rimase sconcertata a vedere rubata la sua idea. E mi è venuto in mente un altro asino di cui parla La Fontaine. Questo asino portava le reliquie di un santo e ovunque passava la gente gli rendeva onore e si inchinava. Anche noi portiamo in groppa un carico e anche noi, come l’asino di La Fontaine, ci sentiamo importanti per quel che portiamo e con cui ci identifichiamo. È però il nostro carico che ci guadagna il rispetto e riconoscimento degli altri.

Mi sono riconosciuto in questo asino, come penso tanti altri. Il valore e l’unicità della nostra persona sembrano il più delle volte dipendere dalla “originalità” di pensiero o di azione di cui siamo capaci e che si traducono in riconoscimenti e apprezzamenti. E quando questi ci vengono negati o usurpati sembra che tutto sprofondi. Questo succede a ricercatori e accademici come ad artisti, attori, sportivi e altri, in ambiti diversi e a qualunque età, a cominciare dall’asilo. Molto spesso dimentichiamo che siamo solo portatori di un carico che non ci appartiene, con qualche pietra preziosa insieme a tanta zavorra.

Nel nostro andare vorremmo trattenere quello che siamo e facciamo, e che ci distingue dagli altri. Ma rimaniamo solo degli asini ignoranti, chini sotto un carico che schiaccia. Invece di proteggerlo gelosamente, è meglio essere pronti a condividerlo con chi ci passa accanto. Ogni asino va per la sua strada e, se si trova in un bosco, molto spesso non sa dove andare. Ha però una scelta. Può procedere lentamente per conservare il carico, facendo attenzione che non cada. Oppure può lanciarsi felicemente in avanti, sapendo che, se qualcosa cade, non andrà perduto. Qualcuno la raccoglierà e a lui sarà sempre possibile trovare qualcosa di nuovo e di bello lungo il cammino.

Così facendo, può darsi che l’asinello si senta più libero e leggero, e che voglia prendere volentieri Gesù sulla groppa, portandolo in giro per le strade del mondo, perché tutti lo possano ascoltare e seguire. Così facendo è possibile che anche Faust, alla fine, possa adorare.

(© L'Osservatore Romano, 26 agosto 2017)