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Un equilibrio del terrore

che conviene a tutti

 

di Giuseppe Fiorentino

Incurante delle pressioni internazionali, Kim Jong Un continua nella sua muscolare dimostrazione di potenza. Non è certo la prima volta che il regime di Pyongyang percorre la pericolosa strada della provocazione militare, ignorando sanzioni e risoluzioni delle Nazioni Unite. A segnare una preoccupante discontinuità con le crisi precedenti sono tuttavia la «narrativa della paura» e la «retorica dell’odio» che accompagnano l’attuale escalation nella regione e che sono state denunciate da Papa Francesco durante la recente udienza a un gruppo di leader religiosi coreani. Ma come mai Kim Jong Un può perseverare, apparentemente senza conseguenze,  nella sua sfida? Una prima risposta si può rintracciare nei fragilissimi equilibri della regione e nello speciale rapporto che lega Washington e Pechino. La Cina, storica alleata di Pyongyang, ha votato a favore delle ultime risoluzioni di condanna, ma ottenendo, insieme alla Russia, che queste non imponessero sanzioni capaci di strozzare l’economia nordcoreana. Gli Stati Uniti, dal canto loro, non hanno interesse a forzare la mano, perché in una certa misura la loro stabilità finanziaria dipende proprio da Pechino che controlla una bella fetta del debito pubblico di Washington. Ma c’è un altro motivo che spiega l’equilibrio del terrore lungo il 38° parallelo. Come hanno più volte denunciato i vescovi sudcoreani, a ben pochi interessa davvero una penisola unita e pacificata. Lo status attuale garantisce infatti un gigantesco volume di affari alle industrie degli armamenti.   Basti pensate che, con ogni probabilità, quella regione è proporzionalmente la più armata del mondo. E di fronte a questi enormi interessi, le altre valutazioni finiscono in secondo piano.

(©L'Osservatore Romano, 16 settembre 2017)