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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 9 ottobre 1968

 

«Dovere del servizio e autorità»

AL CENTRO DEL PIANO DELLA NOSTRA SALVEZZA

Diletti Figli e Figlie!

Il Concilio, del quale non avremo mai finito di parlare, non per fare dell’erudizione sopra un avvenimento ormai chiuso e passato, ma per renderci conto delle idee vive, che in forza di tale avvenimento devono operare nella nostra vita religiosa e morale, ha messo in grande evidenza una parola antica, piena di significato nuovo. È la parola «servizio». Si è perfino divulgato nella Costituzione sulla Chiesa il termine greco «diaconia» (Lumen Gentium, n. 24); ed è parola riferita direttamente al ministero di coloro che nel Popolo di Dio hanno funzioni pastorali sia come Vescovi (ib. nn. 20, 24, 27, 32; Christus Dominus, n. 16), che come Sacerdoti (Presb. Ord.), o come Diaconi (Lumen Gentium, n. 29), o come Alunni nei Seminari (Optatam totius, n. 4, n. 9), o anche come Religiosi (Lumen Gentium, n. 46); ma si estende anche ai Laici (Lumen Gentium, n. 36; Ap. actuos. n. 29; Lumen Gentium, nn. 40, 42) e perfino ai Coniugi cristiani (Ap. actuos. n. 11). È una parola che fa sentire il suo eco imperativo in altre espressioni, che hanno grande risonanza nel discorso ecclesiastico, là dove si esprime sull’apostolato, sulla carità, sulla giustizia, sul bene comune (cfr. nel volume «L’Episcopat et Eglise Universelle» lo studio di P. Congar pp. 101-132).

Ed è parola da ricordare, perché si trova al centro del piano della nostra salvezza, la quale fu compromessa radicalmente dalla sua originaria negazione : «non serviam», io non servirò (cfr. Jer. 2, 20), dalla ribellione cioè dell’umanità all’ordine e all’amore di Dio; e dovette essere riassunta dal Messia redentore, chiamato appunto nella profezia d’Isaia «il servo di Dio» (Is. 42, 1, etc.), e attribuita da Gesù a Se stesso, come un programma suo proprio: «Il Figlio dell’uomo, dice Cristo di Sé, non è venuto per essere servito, ma per servire» (Matth. 20, 28); e in ogni suo aspetto (cfr. Phil. 2, 6-11) in ogni suo insegnamento (Matth. 18, 4; Luc. 22, 24-27), in ogni suo esempio (Luc. 9, 55; Jo. 13, 14-15) si presentò e si professò umile e sollecito non del vantaggio proprio, ma di quello altrui. Così gli Apostoli: S. Paolo, a cui non mancò, come apostolo, l’autorità e l’energia per affermarla, è sempre penetrato dal senso d’un suo dovere che egli definisce servizio, come, ad esempio, scrivendo, nella seconda sua lettera ai Corinti: «Nos autem servos vestros per Jesum», noi ci dichiariamo vostri servitori per amore di Gesù (4, 5); e ai Tessalonicesi: «Parvuli facti sumus in medio vestrum» , ci siamo fatti piccoli in mezzo a voi (1 Thess. 2, 7-12); preferendo usare indulgenza, piuttosto che comando (cfr. 2 Cor. 7, 6; 2 Cor. 8, 8).

POTESTÀ E AUTORITÀ GERARCHICA

Questa concezione del rapporto fra chi è costituito capo e responsabile della comunità ecclesiale e la comunità dei fedeli si perpetuò nella Chiesa, in riferimento, com’è ovvio, all’esercizio della potestà gerarchica, nella scia del precetto e dell’esempio del primo fra gli Apostoli, Pietro, che esorta specialmente i Seniori (cioè i Vescovi e i Sacerdoti) a comportarsi come pastori, «non come dominatori dei fedeli, ma come modelli del gregge cristiano» (cfr. 1 Petr. 5, 3); e anche quando tale potestà dovrà rivestirsi di autorità (cfr. 2 Cor. 10, 8; 13, 10), di dignità (Rom. 11, 13; 2 Cor. 3, 8), e di prestigio (cfr. 1 Cor. 4, 21; Gal. 1, 8; 2 Cor. 11, 28; cfr. S. Ignazio d’Antiochia e S. Cipriano, e la successiva tradizione), essa si attesterà sempre (difetti e esagerazioni a parte) come essenzialmente interprete della celebre formula di S. Agostino: prodesse, non praeesse, cioè: giovare, non dominare (De Civ. Dei, 19, 17; P. L. 41, 647), la quale diventerà protocollare col Papa Gregorio Magno (590-604), che, valendosi di analoghe espressioni già in uso (cfr. S. Agostino, Ep. 217, P. L. 33, 978) attribuirà a se stesso, come «sommo pontefice della felicissima Urbe Romana» (Giovanni Diacono, Vita S. Gregorii, II, 1; P. L. 75; 87), il titolo, rimasto tradizionale, di «servus servorum Dei» , servo dei servi di Dio (cfr. P. L. 77, 747: «Ego . . . cunctorum sacerdotum servus sum» (cfr. DACL 15, 1, 1360 ss.).

Cioè: il dovere del servizio è inerente all’autorità; e tanto maggiore è tale dovere quanto più alta è tale autorità. È un concetto che nasce dalla esplorazione della natura e delle funzioni della società umana; deriva dall’idea del bene comune e della pubblica utilità, dall’idea dell’eguaglianza fra gli uomini, dall’inviolabilità della persona umana; un concetto che deriva dal diritto naturale (cfr. Taparelli, Saggio di Diritto naturale, n. 426, etc.; Lener, Lo stato sociale contemp., p. 95 ss.); ma concetto che la storia dimostra quanto sia stato alterato e contraddetto dalle passioni umane. Cristo lo rivendicò al suo Vangelo (Luc. 22, 25); e nella Chiesa rimane; ed oggi la società civile parimente ne fa sua legge, anche se non sempre suo costume (cfr. Coste, Morale internat. 1964).

LE DOTI PASTORALI ED EVANGELICHE DELLA CHIESA

Rimane e rivive, oggi col Concilio; ed è uno dei criteri informatori del rinnovamento della vita ecclesiale. Non è una novità, ma una tradizione. Ci sia consentito citare le famose parole del Manzoni a proposito d’un suo personaggio ideale, Federigo Borromeo; il quale era «persuaso in Cuor suo . . . non ci esser giusta superiorità d’uomo sopra gli uomini, se non in loro servizio» (Promessi Sposi, c. 22). E rallegriamoci, noi tanto inclini a parlar male del nostro tempo, perché questo principio che stabilisce essere l’autorità un servizio non è più contestato da alcuno; e nella Chiesa di Dio trova unanime consenso, anche quando certe apparenze esteriori e certe forme consuetudinarie, che cedono gradualmente la successione ad un nuovo stile ecclesiale, conducono il pensiero ad altri concetti di potenza arbitraria, di utilità personale, di prestigio fastoso, di superiorità ereditaria, che la storia dei tempi passati ha accreditati come legittimi ma poi ha tramandati come fossero inerenti alla natura e all’esercizio dell’autorità. La storia contemporanea esige un’evidenza diversa: la Chiesa è servizio. E se ancora, e sempre, l’autorità nella Chiesa è necessaria, perché voluta da Cristo e da Lui derivante (Matth. 16, 18-19), e conserva perciò il suo indispensabile valore costituzionale e mistico, come veicolo dei misteri divini (1 Cor. 4, 1) e come interprete della verità (Luc. 10, 16) e della volontà di Cristo nella sua Chiesa (Io. 21, 15 ss.), essa tuttavia va più palesemente rivestendosi degli attributi che le sono propri, quelli pastorali, quelli evangelici; e come servizio si attesta, come amore perciò, come sacrificio coraggiosamente consumato per il bene altrui, per il bene del gregge di Cristo, per la Chiesa tutta (cfr. Jo. 10, 11).

Questa purificata visione della struttura gerarchica e comunitaria della Chiesa si presta a lunga meditazione, che la sua odierna vitalità dispiega in vaste considerazioni storiche, in nuovi propositi di sincerità ecclesiale, in sapienti elaborazioni di nuove norme canoniche; e ci induce a riflettere come tutti nella Chiesa abbiamo una nostra «diaconia» un nostro servizio da compiere. Né l’esaltazione della singola personalità umana, né la rivendicazione della civile libertà religiosa, né il primato operativo riconosciuto alla coscienza illuminata dalla dottrina autorevole della Chiesa circa la legge divina, ci dispensano dalla generosa, docile e ordinata prestazione del nostro servizio al bene dei fratelli e dell’incremento della vita ecclesiastica; ché anzi questi nostri personali diritti trovano in tale servizio una loro libera, onorevole e meritoria espressione.

TUTTI CHIAMATI A SVOLGERE UNA MISSIONE VOLUTA E DERIVATA DA DIO

Così pure questa vocazione di servizio, che nel sacerdozio ministeriale diventa missione totale, non cambia per nulla le prerogative delle funzioni della gerarchia, delle sue potestà dottrinali, giurisdizionali e santificatrici, quasi ch’esse derivassero democraticamente dalla comunità ecclesiale, dal Popolo di Dio, come taluno oggi va erroneamente affermando; esse derivano da Dio, da Cristo, dall’ordine sacro e dal mandato di chi nella Chiesa è gerarchicamente costituito; sono invece al bene del Popolo di Dio destinate; e se oggi questa destinazione acquista la sua primaria importanza, e comporta nell’esercizio dell’autorità forme sempre più corrispondenti alla sua natura spirituale e alla sua finalità pastorale, cioè al servizio che la giustifica e la esige piena di umiltà e di amore, tanto più essa vuole in sé rispecchiare l’immagine di Cristo vivente in chi nella Chiesa ne rappresenta, ne promuove, ne perpetua la missione salvatrice.

Voi vi accorgete, Figli carissimi, che così parlando (e prescindendo ora da ogni altro Confratello nella funzione gerarchica) non tanto Noi facciamo la Nostra apologia, quanto la Nostra umile autocritica; e che perciò Ci raccomandiamo alla vostra indulgenza, alla vostra obbedienza, alla vostra preghiera. Vi ricompensi il Signore mediante la Nostra Benedizione Apostolica.


Emigrati in Argentina in visita all’Italia

Un saluto particolarmente cordiale e commosso va ora al numeroso gruppo degli Emigrati italiani in Argentina, che tornano in Patria per un breve periodo di vacanze, per la prima volta dopo lunghe decine di anni. Diletti Figli e Figlie: «viaggio di ricordi» è stato chiamato tanto significativamente il vostro temporaneo ritorno organizzato dal Console italiano in Argentina e favorito da benemeriti Enti: e, certamente, una folla di ricordi vi accoglie ora, negli incontri con i congiunti, gli amici, i conoscenti del suolo natio, che un giorno avete lasciato, e vi seguirà e accompagnerà per tutta la vita, come pegno dolcissimo della vostra permanenza in Italia. Fra questi ricordi, ne siamo certi, voi conserverete quello di oggi; e Noi vorremmo proprio che le Nostre parole si stampassero a fondo nel vostro spirito, per dirvi tutto l’amore, l’incoraggiamento, la sollecitudine che il Papa, Vicario di Gesù Cristo, nutre per voi, perché siete anime umili, generose, buone, che hanno conosciuto strettezze e prove, e sfidato lotte e fatiche, conservando però integra e intatta la fede cattolica. Custoditela sempre in voi, questa fede immortale, come il patrimonio più prezioso e più santo dei vostri padri: e la vostra vita, anche in terra lontana, non mancherà di fiorire di consolazioni incomparabili. Scendano sempre su di voi le effusioni della grazia e della bontà divina: è la preghiera che facciamo per voi, mentre impartiamo a voi e ai vostri cari la Nostra particolare Apostolica Benedizione.

Esponenti colombiani della cultura

Amadísimos miembros de la Delegación Colombiana de «Cor-cultura»:

Un saludo especial de bienvenida y de gratitud por vuestra deferente visíta.

Vuestra laboriosa y primordial taréa, al servicio de la cultura, os convierte en mensajeros singulares, portadores de un fruto lleno de esperanza para el espíritu renovador de nuestro tiempo.

Que vuestra entrega apasionada a promover, cuanto de valor hay en el hombre, os impulse con entusiasmo y responsabilidad constantes, como ciudadanos profesionales y católicos activos, a mantener viva en la conciencia la llama del progreso humano y espiritual.

Nuestra Bendición para vosotros, para vuestras familias, para vuestros compañeros y para todos los hijos de la inolvidable Colombia.

Al personale dell’aeroporto Kennedy

Dear friends from Kennedy Airport,

We extend to you a most gracious welcome to the Vatican, and We wish you a most pleasant stay.

Your represent various national airlines and it is your concern to serve people as they begin or end their visit to different nations. We too experienced your service at Kennedy Airport just over three years ago when We visited the United Nations. When people travel they need assistance and understanding. We encourage you to demonstrate your love by being helpful.

We bless your work, your persons and your families.

Chers Fils et chères Filles du MIAMSI,

C'est avec une joie profonde que Nous accueillons aujourd’hui les membres de votre Bureau International, apôtres laïcs représentant dix-huit pays du monde, auprès de qui la présence de leur aumônier marque l’étroite union du sacerdoce et du laïcat dans la mission de l’Eglise.

Nous savons l’extension remarquable qu’a connu le MIAMSI depuis cinq ans, notamment dans cette Amérique Latine où vos efforts portent déjà des fruits, si encourageants, et où, naguère, Nous adressant aux classes dirigeantes à l’occasion du Congrès de Bogota, Nous leur demandions instamment «d’avoir le génie du bien dont la société a besoin».

Mais, Nous le savons, aussi, plus encore que d’une extension numérique et géographique, vous avez le souci d’une conversion des personnes de vos milieux assez profonde pour que leur cœur, leur «mentalité collective», soient atteints par l’action vivifiante de l’Esprit d’Amour et de Vérité.

C’est du fond de leur être renouvelé dans le Christ - qu’elles rencontrent dans l’Ecriture et les Sacrements, dans les événements et les personnes - que doit jaillir une action capable de transformer, en esprit de justice, de fraternité et de paix, les structures économiques, sociales, politiques, culturelles qui sont, pour une si large part, entre leurs mains.

Le Père Commun sait votre désir de servir et aimer l’Eglise. Aussi met-il sa confiance dans les apôtres des Milieux Indépendants pour que - dans le respect des consciences - soit révélé à tous ceux qui vous sont liés par les solidarités sociales le nom du Dieu-Père qui les aime en Jésus-Christ. Puissent-ils ainsi trouver en plénitude «la Voie, la Vérité et la Vie»!

Au moment où vous entamez les travaux de votre bureau dans ces perspectives apostoliques, Nous vous accordons de tout cœur, chers Fils et chères Filles, à vous, à vos familles, aux mouvements que vous représentez, en gage de Notre particulière affection, Notre Bénédiction Apostolique.

                                    



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