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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 13 marzo 1974

 

La coscienza morale postula Dio quale fine logico e principio ontologico

Fratelli e Figli carissimi!

Vogliamo fare insieme un passo sul grande cammino verso il rinnovamento cristiano, al quale siamo invitati da tre grandi impulsi, nascenti dalla Chiesa vivente, vogliamo dire dal recente Concilio, dall’Anno Santo già in atto nelle Chiese locali, e dal periodo quaresimale, che ci impegna ad una seria preparazione alla Pasqua?
Un passo solo, per oggi; ma tanto può bastare per introdurci in una grande corrente, potremmo dire in un travolgente torrente di questioni d’ogni genere, filosofiche, morali e religiose, la quale basterebbe a invadere e sconvolgere il nostro spirito, se appena vi volessimo indugiare, senza porre a noi stessi dei limiti ben precisi. Il passo ha il carattere d’un ritorno. Un ritorno verso quale direzione? verso noi stessi, ciascuno verso la propria coscienza. Della coscienza s’è già tanto parlato, e ancora si parla fino a fare di questa parola un luogo comune, dove confluiscono i più vari significati. Un neologismo, non certo accetto ai cultori della buona lingua parlata, si va divulgando col termine eteroclito di «coscientizzare», volendo dire cioè di rendere cosciente, consapevole, riflesso, responsabile. E sta bene.

Ma distinguiamo subito fra i diversi significati della parola «coscienza», quello che ora a noi preme, pur tributando il dovuto onore a tali significati, che hanno avuto nella storia del pensiero una risonanza, spesso ancora non spenta, che cosa è la coscienza? per esempio: un atto riflesso sul contenuto d’una conoscenza; conosci te stesso, ancora Socrate c’insegna; saper di sapere (Platone); specchio di sé (Plotino); e fra i moderni: riflessione introspettiva, analisi sulla interiorità vissuta; sentimento dell’io pensante; esperienza interiore; ecc. Ma noi non possiamo soffermarci su questo fertilissimo campo della coscienza psicologica per restringere il nostro interesse ad una zona particolare della coscienza in generale, una zona centrale, importantissima per la nostra vita religiosa, ed è la coscienza morale; a quell’atto cioè del nostro spirito mediante il quale applichiamo il nostro pensiero alla nostra azione (Cfr. S. TH. 1, 79). Consideriamo ora la coscienza quale giudizio sulla moralità del nostro agire, quale intuizione etica superiore e per ciò stesso in riferimento al criterio assoluto del bene e del male, riferimento che si polarizza nel suo centro inevitabile, quasi come un luogo geometrico postulato da un dato disegno, che è Dio.

La coscienza morale, condotta nel suo spontaneo e logico svolgimento, postula come termine logico e quindi come principio ontologico, Dio. Non per nulla anch’essa, la coscienza morale, è nella discussione moderna considerata un campo di battaglia, dal quale tuttavia, vulnerata e travisata, appena è rimessa nel suo normale funzionamento, riesce tuttora vittoriosa.
Lasciamo ogni controversia, e apriamo il Vangelo in una delle pagine più note e più tipiche, quella della storia (parabola si chiama, ma si potrebbe chiamare il paradigma della vita umana nell’analisi della coscienza morale) del figliol prodigo. Dice il Vangelo, cioè Gesù, il Maestro, narrando la storia del figliol prodigo, nella sua fase più infelice e al tempo stesso più salutare, che il povero protagonista della triste avventura, ritornò in se stesso, in se autem reversus (Luc. 15, 17). Ricordiamo questa semplicissima frase; essa è come l’ago di scambio per la traiettoria d’un convoglio fuori strada, Ritornò in se stesso: ma aveva bisogno di ritornare in se stesso un giovane pieno di vita, che non aveva altro cercato che se stesso, cioè di godersi la propria vita, mediante le esperienze della libertà e del piacere, le quali sembrano rivelare a un cercatore della vita la sua pienezza, la sua autenticità, la sua felicità?

Era così uscito da se stesso, dalla propria coscienza, dalla propria vera personalità, e giunto al fondo d’una disperata e ignobile miseria ritornò là donde era fuggito: ritornò in se stesso.
È drammatico, è stupendo. È sommamente istruttivo. Questo atto di riflessione solitaria, coraggiosa, personale sta alla radice soggettiva (non senza certamente un imponderabile, ma decisivo aiuto divino) del ricupero della vera e nuova vita dell’uomo. L’esame di coscienza, la verità su se stessi, la classifica secondo giustizia della propria condotta, il coraggio di piangere senza disperazione, eccetera, potrebbero condurci alle magnifiche analisi del male voluto e vissuto, e già sotto il peso d’un’auto-condanna, piena di straordinaria ricchezza, non solo passionale e letteraria, ma sapiente ed umana, bisognosa, diremmo quasi fin d’ora, meritevole di compassione e di riabilitazione.
Basti quest’unico pensiero: in se autem reversus. Quante lezioni ne potremmo ricavare! sul silenzio, sulla vita interiore, sulla capacità di autometamorfosi, sulla fortuna di ritrovare il proprio vero io, e con esso, domani, Dio, il Padre!
Il quadro clinico spirituale vale per tutti. Pensiamoci. Con la nostra benedizione spirituale.

                    



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