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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 5 novembre 1975

 

Questo benedetto Anno Santo pone davanti al nostro spirito la questione somma e fondamentale: che cosa in fondo dobbiamo fare per rimettere ordine, equilibrio, saggezza, perfezione nella nostra vita?

Ci è stato detto che non è l’essere, che conta alla fine per la nostra salvezza, né tanto meno l’avere, o il potere; le quali cose sono pure preziose in se stesse, ma in ordine alla nostra salvezza sono doni che accrescono, non esauriscono la nostra responsabilità. Decisiva dev’essere per noi la tremenda questione, con cui Cristo ci aggredisce, si può dire, nel Vangelo: « Che cosa giova mai all’uomo guadagnare tutto il mondo, se poi perde l’anima? O che cosa darà l’uomo in cambio dell’anima sua? » (Matth. 16, 26). Ciò che conta, dicevamo, è il fare. L’azione diventa il valore più prezioso. La volontà decide il destino della nostra vita.

Ed ora ecco l’insistente nostra domanda: allora, che cosa devo fare? Domanda che nel Vangelo suona così, sulle labbra d’un « dottore della legge », che interpella Cristo: « Maestro, qual è il più grande comandamento della legge? » (Ibid. 22, 36). Tutti noi ricordiamo la semplice e sublime risposta: « Ama (ricordiamo bene e ripetiamo: ama) il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente » (Ibid. 22, 37); ed il Vangelo di S. Marco aggiunge: « e con tutte le tue forze » (Marc. 12, 30).

Amare Dio! grande parola! grande legge! Ma è facile? È possibile a noi, figli del nostro secolo? Dio: come lo conosciamo? Siamo più abituati a dubitare di Lui, che a pensare a Lui: come possiamo con quella forza e con quella totalità di sentimenti, di certezza, di propositi, che il Vangelo reclama? non vi è piuttosto una posizione critica nello spirito dell’uomo moderno, che una disposizione amorosa? non sopravvive in certe volgari abitudini del linguaggio popolare un’indegna facilità di bestemmia del santo e ineffabile nome di Dio, piuttosto che una professione di simpatia e di lode? e non sono arrivati i cervelli più audaci e più ottenebrati dall’ateismo moderno a prospettare l’ipotesi - ahimé! in certo modo consumata nei loro animi ciechi, non certo in se stessa ch’è la cosa più assolutamente impossibile -, l’ipotesi, diciamo, anzi l’affermazione della « morte di Dio »? Come può l’aridità religiosa del tempo nostro ammettere ancora che l’atto più importante e più impegnativo della nostra vita è l’amore a Dio? E poi: che cosa s’intende per amore? non è questa parola diventata assai equivoca e degradata in espressioni indegne non solo di Dio, ma dello stesso uomo? Perché non ci è fatta una lezione sul vero amore, quale si possa rivolgere religiosamente a Dio? Amore ricerca, amore attesa, amore ascensione, amore gioia, amore luce, amore dono, amore lode, amore amicizia, amore beatitudine? (cfr. S. Agostino, S. Bernardo, S. Francesco d’Assisi, San Francesco di Sales, e tutti i Santi che ci hanno detto qualche cosa del loro rapporto con Dio).

Noi presentiamo questo aspetto negativo della nostra questione per onestà di realismo psicologico, morale verso il nostro tempo. E per alzare la voce nostra e la coscienza di tutti su l’estrema importanza di restituire alla nostra religione la sua base fondamentale: l’amore a Dio. Ma potremmo anche dire qualche cosa su le aspirazioni, segrete o palesi, con cui l’anima umana, fatta per tendere a Dio, ancora oggi ci documenta la sua sete di Lui, inestinguibile sete, finché l’uomo resta uomo.

Ora tuttavia preferiamo, parlando a voi che nei passi stessi del vostro pellegrinaggio giubilare dimostrate l’ardente e concreta ricerca amorosa di Dio, suggerirvi alcuni consigli utili, noi pensiamo, alla soluzione della grande questione ch’è poi capitale per l’esito dell’Anno Santo.

Bisogna partire dalla certezza che Dio è! Il pensiero, nel suo più semplice e inevitabile cammino, nel suo istinto logico, potremmo dire, ci dà questa certezza: sì, Dio È! Ma è una certezza tormentosa se non è integrata dalla rivelazione stessa che Dio ha fatto di Sé; rivelazione estremamente delicata, e quasi gelosa, perché riservata a chi con limpido cuore è disposto a riceverla. La fede riempie di luce e di gioia lo spazio infinito scoperto dalla ragione, e anche dal cuore, come patria di Dio. È allora che la parola inebriante di Cristo arriva a noi: « Padre nostro, che sei nei cieli »! (Matth. 6, 9)

Ecco dunque la grande conquista, di cui non avremo mai abbastanza esplorate le dimensioni: Dio è Padre! Questo concetto esistenziale, metafisico, unico, originale, ineffabile è la sorgente della nostra religione; la quale pone questo principio: se Dio è Padre, Dio è Amore. Egli ci ama. Non finiremo mai di saziare ogni nostra aspirazione mentale, cordiale, spirituale, lasciando che questa convinzione penetri nel nostro spirito: noi siamo amati! amati da Dio! Tutto è bene per noi, se Dio ci ama! e così è! Ed ecco allora la soluzione, potenziale almeno, del nostro grande problema: se Dio mi ama, io non posso non amarlo. La carità di Dio verso di noi rimbalza, per quanto a noi è dato per sua grazia di fare, rimbalza forte, sincera, umana, felice, nella risposta verso di Lui: Si, o Signore, anch’io, Tu lo sai, anch’io Ti amo!

Tutto il resto viene da sé, con la nostra Benedizione Apostolica.

 



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