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DOMENICA «LAETARE» NELLA CHIESA PARROCCHIALE DI
SANTA MARIA LIBERATRICE

OMELIA DI PAOLO VI

Domenica, 20 marzo 1966

 

È certamente la prima volta - così inizia il Santo Padre - che il Papa, Vescovo di Roma, viene al Testaccio. In quante altre circostanze Egli era qui col cuore, col suo interessamento, con la sua preghiera e benedizione! Sono sessant’anni che questa parrocchia è fondata: i Salesiani l’hanno costruita e coltivata. Testaccio, dal nome che un tempo incuteva un po’ diffidenza e paura, è ora diventato un quartiere bello, eletto, buono: pieno di tante energie spirituali. Ma il Papa non era mai venuto: ed ecco che questa sera è con voi. Nulla merita la Nostra persona; tutto merita il Nostro ministero, poiché siamo tra voi in ufficio di rappresentanza: una rappresentanza fedele, autentica, cordiale di Nostro Signore Gesù Cristo.

Abbiamo qui il Cardinale Vicario, cioè colui che, in nome del Papa, presiede alla vita pastorale della città: e con Lui sono due Vescovi ausiliari: tutti insieme per dire quale vuol essere l’interessamento, la cura per l’intero quartiere. I fedeli conoscono le ragioni particolari che hanno motivato la eccezionale presenza.

LA CURA DIRETTA DEL PAPA PER LA SUA DIOCESI

Prima di tutto - ne siano soddisfatti i cari Salesiani e i Parroci vicini, anzi tutti i Parroci di Roma - va ricordato che abbiamo messo nel Nostro programma pontificale e vescovile la cura diretta della Nostra città e diocesi di Roma. E perciò non deve più stupire alcuno se il Papa, profittando delle condizioni adesso favorevoli alla sua libera circolazione nella città, vada, quando e come può, a visitare direttamente i rioni e quartieri romani. Testaccio non poteva certo essere escluso dalla lista di queste visite che, per quanto nel Nostro desiderio vorrebbero essere moltiplicate, restano sempre poche e privilegiate. Siamo lieti, ora, che tale privilegio ed intento di predilezione si fermi questa sera sopra di voi, e Ci autorizzi a salutarvi tutti e a benedirvi.

Dopo aver elencato i vari titoli generali di quanti Lo ascoltano per accogliere uno speciale pensiero del Papa, la conferma del primo movente della visita. È insito nel suo stesso ministero pastorale. C’è poi il Concilio, di cui tutti hanno avuto notizia. Per esso la Chiesa è messa in stato di risveglio, di rinnovamento, con il proposito di affratellare i popoli, le genti, i cristiani; e di diffondere in mezzo alla società moderna, così mutata e cresciuta in pochi decenni, il Vangelo, la Parola di Cristo, il suo Messaggio.

Il Concilio, cioè i Vescovi della Chiesa di Dio, hanno riaffermato il proposito - ecco il secondo motivo dell’odierna presenza del Papa - di echeggiare con rinnovato vigore l’insegnamento di Cristo. Che cosa Gesù ha annunciato agli uomini? Il Regno di Dio. Figliuoli e fratelli, stasera è in mezzo a voi un particolare raggio del Regno di Dio: Appropinquavit in vos Regnum Dei. Il Signore Gesù ha aperto la sua predicazione e l’ha condotta sin verso la fine della propria vita pubblica, praedicans Evangelium Regni.

NECESSARIA ASPIRAZIONE:
«ADVENIAT REGNUM TUUM»

Benché qui si stia celebrando la Messa del Giubileo, i fedeli sanno che la Messa della quarta Domenica di Quaresima rievoca il brano evangelico della moltiplicazione dei pani. Dopo quel prodigio la folla voleva esaltare l’eccelso Benefattore e proclamarlo re: ma Gesù non ha voluto. Non intendeva che si facessero confusioni. Non sono venuto, Egli dirà, per il regno di questo mondo. E tale affermazione ripeterà al giudice nel giorno stesso della sua Passione: «Il mio Regno non è di questo mondo». C’è quindi un doppio regno: quello della terra e quello dei Cieli. Questo secondo ci interessa, è il Regno che noi tutti invochiamo, con il Pater noster, siccome il grande avvento della nostra salvezza e felicità: Adveniat Regnum tuum!

Adunque il Papa è tra i diletti fedeli per ricordare la sublime verità: e in rapporto pure ad un altro motivo di sacro ministero: il Giubileo.

Qui il Santo Padre spiega come si attui tale mirabile forma di misericordia e di carità che la Chiesa talvolta adotta per riconciliare le anime con Dio, ricondurle alla reale carità col prossimo, e trarre da ciò nuove energie spirituali.

È un ritorno alla genuina letizia della unione con Dio. Ciò dichiara il già ricordato tratto del Vangelo delle Beatitudini: cioè dell’ammissione nel Regno dei Cieli di coloro che soffrono e presentano a Dio privazioni, dolori, angustie.

Dobbiamo chiederci: che cosa intendiamo noi per Regno di Dio o Regno dei Cieli? Una similitudine gioverà a dare chiara e adeguata risposta. La luce delle lampade che qui brillano è dovuta a un’energia, alla corrente detta elettricità. Se qualcuno interrompesse la corrente, le lampade si spegnerebbero, e noi saremmo nel buio.

ESSENZA NECESSITÀ VINCOLO DELLA RELIGIONE

Ebbene, la corrente che dà splendore al Regno che stiamo considerando è il contatto con Dio: l’innesto di noi con la vita divina. Se essa è nel nostro circuito umano, noi risplendiamo e in maniera ben più alta d’ogni fulgore terreno; saremo vivi di un principio superiore a quello della nostra esistenza temporale. È la vita soprannaturale, la quale dipende unicamente dalla nostra inserzione in Dio. Egli è la sorgente dell’essere, il nostro Creatore, il principio di tutto. Se si rinuncia a Dio, si abdica alla stessa vita; se interrompiamo i nostri rapporti col Signore, è come se si recidesse il filo che dà questa corrente vitale: promessa e garanzia d’una vita futura.

Sin dalla colpa di Adamo tale unione fu stroncata, con tutte le conseguenze che perdureranno nel tempo; ma viene Gesù e dice: Io ristabilisco il rapporto con Dio, Io ristabilisco il Regno del Signore. Fissiamo alquanto il pensiero alla sublime realtà: come definiamo noi il reale vincolo con Dio? Lo definiamo religione. La religione determina il rapporto con Dio, e la religione cattolica è quella che stabilisce in pienezza tale rapporto: l’autentico, il vero, l’unico; e riesce a porre Dio nella nostra comunione e nella nostra salvezza.

E le altre religioni? Sono sforzi, conati, tentativi, braccia levate verso il Cielo che cercano di arrivare, ma non corrispondono al gesto che Dio ha fatto per venire incontro all’uomo. Quel gesto si chiamerà il cristianesimo, la vita cattolica. Noi dobbiamo rifarci pertanto a tale atto di Dio per operare l’innesto della nostra vita umana con quella divina.

Conseguenza prima di tutto ciò? Il pensiero della importanza sostanziale, indispensabile, della Religione. L’essere religiosi è questione di vita o di morte. Come sorprende, come arreca dolore il vedere molti indifferenti e trascurati - un fenomeno che non fa onore nemmeno alla intelligenza umana - di fronte al problema religioso, ritenendolo cosa superflua, secondaria, facoltativa!

GLI INCALCOLABILI DANNI DEL LAICISMO

C’è tutta una corrente della vita moderna che prescinde dalla vita religiosa: un laicismo, cioè una rinuncia alla conoscenza di Dio. Si dice: non è necessaria. Basta guardare al lavoro, alla ricchezza, al benessere, al piacere; altro non c’è. E invece tutto l’ordine e il progresso umano sono stabiliti quale vigilia di preparazione al giorno eterno: sono la condizione per poter annodare quei vincoli che ci sosterranno al momento in cui la nostra vita terrena verrà meno per ancorarci a quella eterna.

Chi è senza fede, è senza luce; chi è senza religione, è senza speranza. Invece la fede e la speranza assicurano che la vita nostra continua al di là del terribile episodio che si chiama la morte.

E ancora: chi è senza contatto con Dio è privo di amore. Dio è amore. Se non siamo uniti a Lui ci viene meno il sentimento più nobile. Non abbiamo più ragione di chiamare gli uomini nostri fratelli, nessun motivo di sacrificarci per loro, né ragione di scorgere su ogni faccia umana lo specchio del volto di Cristo.

Se non abbiamo la fede, la speranza, la carità - le tre virtù teologali che sono i tre vincoli che ci uniscono a Dio - siamo facilmente gente cieca, costretta ad essere schiava della terra: gente turbata dalle passioni che la fanno infelice e che pongono la fiducia degli uomini nelle cose più terribili: le armi, le lotte, la guerra, gli odi, i vizi.

TUTTI CHIAMATI A DIVENTARE «CONSORTES DIVINAE NATURAE»

Viene Gesù, viene il Vangelo, è annunciato agli uomini il Regno; la possibilità di riprendere contatto col filo dell’energia e della luce. È venuta la speranza, la bontà della vita, il perché delle nostre lacrime e dei nostri sacrifici; è venuto il vigoroso programma per essere uomini seri, retti, intelligenti; quelli cioè che vedono anche nel mondo esteriore il segno della Provvidenza, della Bontà e della Sapienza di Dio.

Come sintesi della presenza e della parola del Papa, tutti i diletti ascoltatori vogliano proporsi di rinsaldare il vincolo che li unisce al Signore.

Il sacro Rito è stato incominciato poco fa con il rinnovamento delle Promesse battesimali: tutti qui siamo cristiani e tali vogliamo essere, perché innestati nella radice della vita eterna di Dio; rami, fiori e frutti del grande albero della Chiesa.

Taluno può chiedere: ma quale sarà il prezzo per acquistare tanto bene; e quali saranno, in questa gara per giungere al Regno, i preferiti? Quali i privilegiati ad essere i consortes divinae naturae? Il Discorso della Montagna risponde nel modo più esauriente.

Ai poveri, a coloro che hanno il cuore vuoto, agli affamati ed assetati è assicurato ciò che il mondo moderno, con i suoi tentativi per vari aspetti degnissimi, per altri invece traditori e vacui, non riesce a dare, anche quando assicura la pienezza di una felicità terrena.

Coloro che, invece, hanno il cuore sgombro, non sazio, libero, essi posseggono la forza di rivolgersi a Colui che tutto può ed esternare necessità, insufficienze, miserie, afflizioni: e ricevere, proprio per questa loro fiducia e per questo amore, ogni dono.

San Paolo assicura che per i giusti omnia cooperantur in bonum; e Sant’Agostino in un impeto di sbalorditiva acutezza aggiunge, per coloro che si affidano contriti a Dio, etiam peccata. È infatti la infinita misericordia del Signore china ad ascoltare i gemiti del pentimento, le implorazioni, le preghiere: solo essa lenisce, soccorre, perdona.

VIVERE DI CRISTO E PER CRISTO

Che vuol dire una tale constatazione? Che tutti, tutti possiamo salvarci, giacché siamo chiamati, senza eccezione alcuna, ad essere redenti, a diventare cittadini del Regno celeste.

Lo stesso Divin Maestro, istituendo la Santissima Eucaristia, ce ne ha dato il pegno più certo e mirabile: Prendete e mangiate tutti il mio Corpo; bevete tutti il mio Sangue.

Nessuno quindi voglia ignorare l’invito, rimanere sordo e assente. Nessuno rifiuti una vocazione sublime e tremenda insieme: pronta e generosa sia la risposta affermativa agli appelli di Dio.

Sì, o Signore! Vieni, o Gesù Credidimus caritati. Noi crediamo all’amore, alla tua bontà; crediamo che Tu sei il nostro Salvatore, che tu puoi ciò che ad altri è precluso, irrealizzabile. Noi crediamo che tu sei la luce, la verità, la vita; abbiamo un solo desiderio: rimanere uniti con Te; ed essere non solo cristiani di nome, bensì cristiani convinti, apostoli, zelanti.

È imminente la Pasqua! Bisogna riallacciare le nostre relazioni con Cristo che è la vita; occorre che il Signore diventi nostra comunione e che noi viviamo di Lui e per Lui. Esultiamo all’annuncio prossimo della Resurrezione, del trionfo di Cristo, nostra salvezza. Dio è la vita - conclude il Santo Padre. - Lo ricorderete? Questo è il Vangelo.

                                                       



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